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Le caratteristiche dell'interepretazione critica

Le caratteristiche dell'interepretazione critica




Entrambe le motivazioni sono contestabili in qualche loro parte.
Non si può dire che il giudizio sia qualcosa di posticcio di cui è possibile sbarazzarsi sempre senza problema; per la maggior parte dei casi non c’è affatto bisogno che una recensione esprima in modo esplicito un giudizio perché sia presente l’instaurazione di un sistema valutativo: lo stesso dilungarsi su certe sequenze, la cura della costruzione dell’analisi, la revisione di giudizi precedenti, sono elementi sufficienti per fare cambiare ad un film posizione in una data scala di valori.
L’analisi dell’attività concreta di interpretazione porta a pensare che il problema della qualità sia la vera posta in gioco dei vari atti di analisi. Oggi le routines interpretative mettono a disposizione una serie di strumenti che, nel rispetto di certe procedure, permettono di individuare isotopie spazio-temporali, ossessioni d’autore, stratificazioni antinomiche del senso, praticamente dove si vuole. Sul piano pratico l’interprete ha i mezzi per rivalutare o svalutare ciò che più gli aggrada: a leggere le recensioni si ha a volte l’impressione che il critico ipercompetente, mosso dal proprio narcisismo ermeneutica, abbia definitivamente sostituito l’efficacia dell’interpretazione per ciò che una volta si chiamava “il bello del film”; nel senso che la qualità non è più specifica-del-nel-testo, ma, oggi in modo più visibile di un tempo, un effetto costruito dal discorso.
Il legame strettissimo tra strumenti d’analisi e strutture valoriali, nonché la molteplicità delle loro combinazioni reciproche fanno avere una mobilitazione di schemi e temi non del tutto dissimili che pero portano ad un’articolazione antinomica del giudizio, o fanno avere la giustificazione di un elemento poco credibile sul piano referenziale attraverso la mobilitazione di un tema mappato sul personaggio. Ecco cosa si intende per effetto-qualità.
Esistono delle strategie nell’impiego delle routines che consentono di giustificare sul piano dell’argomentazione una serie di scelte di gusto. Quando l’analista guarda per la prima volta il film, inizialmente ha a che fare con una serie di sensazioni grezze, poi – e solo poi – subentra l’elaborazione intellettuale formalizzata. È inevitabile che il primo momento incida almeno in parte sul secondo. L’interprete ha a sempre a che fare con un insieme di stati d’animo e con un’insieme di pratiche intellettuali; tra il momento del punctum e quello dello studium c’è la stessa distanza che separa, in filosofia della scienza, contesto della scoperta e contesto della giustificazione: il critico può essere improvvisato finché vuole dal film, ma deve renderne conto attraverso un insieme formalizzato di procedure.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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