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Le origini dell’istituto del collocamento


Di fronte al fenomeno della disoccupazione, l’intervento più antico e diffuso è stato rappresentato dall’istituto del collocamento.
Per mezzo di esso il legislatore mirava a regolamentare l’incontro preliminare tra domanda e offerta di lavoro, attraverso un’apposita attività amministrativa di controllo e selezione.
Il collocamento era concepito come una funzione pubblica e gratuita di mediazione in vista della conclusione del contratto di lavoro.
Per molti decenni l’obiettivo del controllo pubblico è stato quello di un’equa ripartizione dei posti disponibili.
A questo stesso fine, nel periodo pre-corporativo, nacque il c.d. collocamento di classe o sindacale, mediante il quale i sindacati, istituendo uffici di collocamento, si proponevano di tutelare i lavoratori nella ricerca dell’occupazione e, nello stesso tempo, di rafforzare il loro potere contrattuale mediante la contrattazione delle assunzioni.
Durante il periodo corporativo, invece, il collocamento assunse le vesti di funzione pubblica: caratteristica fondamentale introdotta dalle leggi del tempo fu il principio del monopolio pubblico del collocamento, accompagnato dal correlativo divieto dell’esercizio da parte dei privati dell’attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro.
Dopo la caduta dell’ordinamento corporativo, il primo intervento in materia fu rappresentato dalla l. 264/49, la quale riproduceva con poche varianti il contenuto delle leggi emanate durante il periodo precedente.
Essa, infatti, confermava la funzione pubblica del collocamento e ribadiva il principio del monopolio statale, nonché l’obiettivo dell’equa ripartizione delle occasioni di lavoro, attraverso la regola dell’assunzione mediante la c.d. richiesta numerica da parte delle imprese (cioè con mera indicazione del numero e della categoria e qualifica professionale dei lavoratori da assumere) agli uffici pubblici di collocamento.

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