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I test genetici per la trombofilia

27 ottobre 2020

La ricerca genetica applicata all'uomo ha prodotto negli ultimi 20 anni il trasferimento delle conoscenze nella pratica clinica (effetto traslazionale) principalmente attraverso lo sviluppo dei test genetici.
Secondo la definizione di Harper del 1997, “i test genetici consistono nell'analisi di un gene, del suo prodotto o della sua funzione, dei cromosomi o di altro DNA, per identificare o escludere una modificazione che può associarsi ad una malattia genetica”.
Tuttavia, dato che i test genetici non analizzano necessariamente solo le condizioni patologiche, l'autorevole Human Genetic Commission britannica nel 2009 ha recentemente ridefinito i test genetici indicandoli come “le analisi rivolte ad individuare la presenza, l'assenza o la mutazione di un particolare gene, di un cromosoma, di un prodotto di un gene o di un metabolita, che sono indicative di una specifica modificazione genetica”.
Sono definiti predittivi o di suscettibilità i test che identificano la componente genetica delle malattie multifattoriali. Essi valutano, nella persona che si sottopone al test, la presenza di una suscettibilità o di una resistenza nei confronti di una malattia complessa e comune, diversa da quella media della popolazione, attraverso l'analisi dei polimorfismi genici.
Oggi sappiamo che ogni persona dimostra il 99.9% d'identità genetica rispetto a un'altra. Il restante 0.1% del nostro DNA rappresenta la variabilità individuale, che è sostanzialmente dovuta alla presenza di polimorfismi.
Quando si parla di malattie complesse, come nel caso delle trombosi, da un punto di vista genetico bisogna aver chiaro il concetto di polimorfismo genico.
Si definisce polimorfismo genico, una variazione genetica con una frequenza superiore all'1% nella popolazione. Esso può essere presente all'interno di regioni codificanti (esoni) o non codificanti (introni) del gene e può essere determinato da sostituzioni, delezioni o inserzioni di singole basi o di sequenze di DNA.
Viene stimato che ogni 300 nucleotidi si manifesti un polimorfismo, il più comune dei quali è associato alla mutazione di un singolo nucleotide (SNP) e circa l'1% di questi non sia silente, ma si traduca in manifestazioni fenotipiche.
In particolare, gli SNP possono essere responsabili di una modificazione (qualitativa o quantitativa) di proteine con funzione nota che, se alterata, può spiegare la suscettibiliità individuale verso lo sviluppo di una data patologia.
Da qui la convinzione che il genoma di ogni persona sia “imperfetto” per la sola ragione di appartenere alla specie umana.
È, infatti, noto che ogni persona, presa a caso, è eterozigote per un numero significativo di mutazioni. [...]