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INTRODUZIONE
Le App Mobile hanno acquisito un posto notevole nel mercato dei prodotti
informatici, data l’importanza economica raggiunta e visti i guadagni ottenuti dagli
sviluppatori indipendenti e dalle Software House. Si tratta essenzialmente di congegni
creati per dispositivi elettronici mobili, come smartphone e tablet, utilizzati per
molteplici attività, come ad esempio social network, giochi, produttività in generale,
navigazione web, e-mail, mappe e GPS, ecc. Questa evoluzione non ha portato il
legislatore a regolare la figura dell’App e del suo programmatore mediante una
disciplina ad hoc, essendo l’App composta da numerosi e distinti fattori, non solo
software; tale vuoto legislativo ha provocato squilibri tra gli autori progettisti delle
App e la scelta della disciplina da applicare.
Nel primo capitolo ci si soffermerà su alcune rilevanti controversie che si sono
succedute dal 2008 ad oggi, con l’obiettivo di ricondurre l’App sullo stesso piano
giuridico del software, partendo dalle considerazioni delle Corti degli Stati Uniti, per
poi evidenziare ulteriori aspetti esaminati dai giudici nazionali e dalla Corte di
Giustizia dell’Unione Europea, inerenti principalmente agli elementi specifici del
codice sorgente, del codice oggetto e dell’algoritmo. La tutela giuridica delle App
passa poi inevitabilmente attraverso le norme che tutelano il software, essendo
quest’ultimo l’elemento più importante per l’espressione delle funzioni che l’autore si
è prefissato di attuare all’interno dell’opera. La legge in questione fa capo a quella sul
diritto d’autore, più propriamente alla Legge 22 aprile 1941, n. 633, con cui, in
particolare, il D. Lgs. 29 dicembre 1992, n. 518, in attuazione della Direttiva
91/250/CE, ha qualificato il programma per elaboratore opera dell’ingegno. È da
rilevare come la giurisprudenza si conforma a tali prerogative, decidendo casi di
violazione del diritto d’autore d’App con il richiamo alle norme previste per il
software.
Questo lavoro vuole porre l’attenzione sui temi della tutela dell’App Mobile, la
quale, però, per rifarsi a quella del diritto d’autore, deve necessariamente avere
“carattere creativo”. In specie, in riferimento all’oggetto della protezione si
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analizzerà la dicotomia tra la forma di espressione e il contenuto, in cui si mira ad
evitare che si crei un particolare monopolio su idee di App che possono in realtà essere
realizzate mediante vari procedimenti tecnici.
In chiusura del primo capitolo, si delineeranno i diritti dello sviluppatore di una
App Mobile, che si esprimono in linea di massima attraverso l’art. 64-bis della L. n.
633/1941, nonché le aree, definite dalla dottrina “libere utilizzazioni” o “eccezioni al
diritto d’autore”, che identificano situazioni in cui gli utenti possono muoversi senza
il rischio di subire conseguenze legali, descritte dagli artt. 64-ter e 64-quater della
medesima Legge. Si offrirà, inoltre, un approfondimento sul titolo adottabile per
trasferire i diritti dell’autore sull’App, chiarendo fin da subito che l’alienabilità che si
effettua non deve essere intesa in relazione alla posizione che assume il titolare con
l’utente dell’App, ma proprio come attività di trasferimento della posizione privilegiata
tipica dell’autore, che porterà alla configurazione di un nuovo Dominus, differente
dall’autore originario.
Nel secondo capitolo, si passerà ad argomentare il tema fondamentale
dell’elaborato, rappresentato dal potere dell’App di convertirsi in un “veicolo” o
“vettore”, capace di raccogliere, oltre al software, ulteriori contenuti, originari dello
sviluppatore o appartenenti a parti terze. L’incertezza qui è data dal fatto che il
programmatore non conosce sempre con precisione le regole da seguire e di
conseguenza rischia di: a) ledere i diritti degli autori delle opere altrui che intende
inserire all’interno dell’App; b) progettare funzioni di alto livello per le stesse, ma
contrastanti con la normativa vigente in materia. A seguito dello studio della Direttiva
2019/771/UE e della Direttiva 2011/83/UE, dove si classificheranno le App tra i
contenuti digitali, si analizzerà il caso dell’App Uber Pop, accusata, a tal proposito, di
violare la legge che regolamenta il servizio pubblico di Taxi. Bisogna poi tenere
presente che le App non sono composte solo da software, ma anche da altri fenomeni,
come suoni, immagini, testi e video. Tale concezione porta la dottrina a conferire l’App
tra le opere collettive, presupposto che, anche se può sembrare che l’App sia la
creazione di un solo soggetto, risulta solitamente perfezionata grazie all’unione di più
autori. Questo stretto legame, che intercorre tra il titolare dell’App e i proprietari delle
altre opere, ci induce a stabilire se sia necessaria l’autorizzazione degli autori terzi per
integrare i loro contenuti nell’App o se sia sufficiente realizzare l’opera derivata ed
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accedere direttamente alla tutela ex art. 3 della L. n. 633/1941. Significativo e ulteriore
quesito sarà poi quello di scorgere se l’ordinamento fornisce gli strumenti per
proteggere l’App nella sua interezza ovvero prevede per lo più una protezione sulle
singole parti che la compongono.
Alla fine del secondo capitolo, si approfondisce un tema assai rilevante, che
corrisponde al rapporto tra le App e le banche dati. La criticità è subordinata alla
constatazione che la Legge non fornisce regole su come l’App possa esternarsi in una
banca dati e lascia che sia la giurisprudenza a dettare alcune regole di conformazione.
I giudici, infatti, ridisegnando i caratteri della banca dati in forma di App, ne ampliano
l’efficacia e ne definiscono una nuova realtà. A tal proposito si prendono in esame due
casi di App organizzate in forma di banche dati: il primo concerne l’accusa da parte
dell’azienda Satispay, creatrice dell’App Satispay, per la presunta indebita ripetizione
del software, della banca dati e della c.d. user experience per mezzo dell’azienda Sisal,
ideatrice dell’App Bill; il secondo attiene alla controversia tra l’App Faround
dell’azienda Business Competence e l’App Nearby del gruppo Facebook, le cui
dinamiche si basano sulle supposte violazioni del diritto d’autore e sui presunti atti di
concorrenza sleale.
Il terzo ed ultimo capitolo esaminerà la distribuzione delle App Mobile,
qualificando preliminarmente i servizi degli App Store tra i “servizi della società
dell’informazione”, capaci di regolare gli scambi di App e di seguire le prerogative
poste dalla disciplina sul commercio elettronico (Direttiva 2000/31/CE). Tale qualifica
sarà poi condivisa dalla Corte Superiore dello Stato della California che decide la lite
tra un gruppo di persone della California e la nota compagnia aerea Delta Air Lines.
In seguito, si evidenzieranno alcune criticità riguardanti i rapporti contrattuali tra i
principali attori chiave (fornitori/sviluppatori di App, piattaforme/app store e utenti
finali), in specie quelle connesse al momento in cui si realizza la transazione di una
App, nonché alle problematiche relative all’istituto dell’offerta al pubblico.
Successivamente, si affronterà un altro tema irto di complessità: quello relativo
al profilo soggettivo. Le figure in esame corrispondono agli operatori professionali
(Software house e aziende in generale) e al consumatore (utente finale), che
alternativamente collegati danno luogo ad accordi Business to Business (B2B) e
accordi Business to Consumer (B2C). Il fine sarà quello di valutare se le norme
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nazionali vigenti insieme al Regolamento (UE) 1150/2019 possano regolare gli
accordi che generano App B2B e App B2C, tentando di scorgere soluzioni efficienti,
capaci di ridurre l’asimmetria informativa che incide sul potere decisionale di coloro
che stipulano il contratto. La giurisprudenza, invece, rivolge particolare attenzione ai
consumatori minori, essendo più vulnerabili nell’eseguire transazioni di App o acquisti
all’interno delle stesse (i c.d. Acquisti in-App) rispetto a quelli medi. Da ultimo, si
delineeranno due profili rilevanti: uno inerente all’oggetto del trasferimento
nell’acquisizione di una App, che si realizza mediante il contratto di licenza con
l’utente finale (EULA), l’altro, invece, concernente la scelta della licenza con cui il
fornitore preferisce distribuire l’App. Quest’ultima opzione determina spesso diverse
implicazioni giuridiche, le quali possono tuttavia essere risolte tramite alcune soluzioni
specifiche, come ad esempio il meccanismo del Dual Licensing.
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CAPITOLO I
L’INQUADRAMENTO GIURIDICO DELLE APP MOBILE
SOMMARIO: I. Definizioni preliminari e profili giuridici-economici delle App Mobile. – II.
La protezione giuridica delle App. – 2.1. La dicotomia tra la “forma di espressione” e il contenuto. –
III. I diritti dello sviluppatore di una App Mobile. – 3.1. Il titolo adottabile per trasferire i diritti
dell’autore sull’App.
1. Definizioni preliminari e profili giuridici-economici delle App Mobile.
Per capire bene cos’è una App dal punto di vista giuridico bisogna partire
dall’analisi etimologica del termine: “App” è l’abbreviazione di “applicazione” che
deriva dal vocabolo inglese “application” e indica in linea generica un programma per
elaboratore o software
1
, installato su dispositivi mobili come smartphone, smartwatch,
tablet, smart TV, droni e smart cars. Per tale ragione, si introduce solitamente il
termine “mobile” vicino, così da esternarsi in un’unica espressione: App Mobile
2
.
1
Riguardo la definizione attribuita al software, in informatica è definito da A. LEGGIO,
Ingegneria del software, in Manuale di Informatica a cura di CIOFFI-FALZONE, Calderini, 1992, p. 717
come «l’insieme completo dei programmi, delle procedure e della relativa documentazione associata
ad un sistema», mentre da un punto di vista giuridico, l’Organizzazione Mondiale della Proprietà
Intellettuale (OMPI o WIPO – World Intellectual Property Organization – con sede in Ginevra) lo
qualifica, durante la riunione tenutasi a Canberra dal 2 al 6 aprile 1984, come «un insieme organizzato
e strutturato di istruzioni – in qualsiasi forma o su qualunque supporto – capace, direttamente o
indirettamente, di far eseguire o far ottenere una funzione o un compito o far ottenere un risultato
particolare per mezzo di un sistema di elaborazione elettronica dell’informazione»; R. BORRUSO,
Computer e diritto, Giuffrè, vol. I, Milano, 1988, p. 94 lo inquadra come «il complesso di tutte le
istruzioni necessarie per far eseguire al computer un determinato lavoro». Per avere altre premesse,
relative alle denominazioni utilizzate e agli aspetti tecnici del software, si veda M. FARINA, Elementi di
diritto dell’informatica, Cedam, Lavis, 2019, pp. 2-5, il quale precisa, innanzitutto, che “il nostro
ordinamento, da un punto di vista normativo, non conosce il termine software e che l’unica
denominazione ufficialmente utilizzata dal legislatore è quella di programma per elaboratore.
Nonostante ciò, per ragioni soprattutto pratiche, si è diffusa la prassi – anche in dottrina e in
giurisprudenza – di utilizzare indifferentemente l’uno o l’altro termine”, ed è la prassi che si seguirà in
questa sede.
2
Per un approfondimento sulla costituzione e la diffusione delle App cfr. L. HAMILL,
Introduction: Digital Revolution – Mobile Revolution?, in L. HAMILL, A. LASEN and D. DIAPER, Mobile
World. Computer Supported Cooperative Work. Springer, 2005 e I. IGLEZAKIS, Legal Issues of Mobile
Apps, Wolters Kluwer, Alphen aan den Rijn, 2020, pp. 17-18: «La rivoluzione digitale che ha portato
all’aumento dell’uso dei computer in tutto il mondo ha anche introdotto il concetto di mobile computing
che include portabilità, connettività e informatica onnipresente. I progressi tecnologici nella
fabbricazione di dispositivi a semiconduttore, poiché i transistor sono diventati più piccoli con la
8
La circostanza che l’App corrisponda ad un software deve tenere in
considerazione due rilevanti puntualizzazioni: in primo luogo, che si tratta di un
software applicativo
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, ossia un programma, già installato o da scaricare sul dispositivo
elettronico mobile in funzione di una qualsiasi esigenza
4
; in secondo luogo, che è un
software particolare, dato che deve avere connotati di immediatezza, praticità e facilità
di utilizzo
5
, racchiuse in un app-icon (logo) accattivante, che esaurisce alcune funzioni
distintive e identificative, oltre che rappresentare una riserva potenziale di valore
6
.
diminuzione del consumo energetico, hanno consentito sviluppo di dispositivi portatili intelligenti.
Inoltre, l’innovazione tecnologica ha stimolato lo sviluppo di reti mobili wireless digitali e ciò ha
consentito la proliferazione di dispositivi mobili come gli smartphone. I primi dispositivi portatili erano
gli assistenti digitali personali (PDA), che avevano le funzionalità dei PC palmari e furono prodotti per
la prima volta negli anni ‘80, ma differivano dai PC in quanto avevano un touchscreen e alcuni pulsanti,
mentre alcuni avevano uno stilo. Negli anni ‘90 i PDA acquisirono funzionalità telefoniche complete,
con aziende come IBM e Nokia in testa. Oltre a questi telefoni ibridi, i telefoni cellulari sono stati
sviluppati prima in Giappone, nel 1999, e successivamente, negli Stati Uniti, i professionisti hanno
iniziato ad adottare smartphone e dispositivi Blackberry con Windows Mobile, ma l’adozione di
smartphone da parte del pubblico è stata limitata. La svolta è arrivata con l’introduzione dell’iPhone
da parte di Apple nel gennaio 2007, che è stato il primo smartphone progettato per l’adozione di massa.
Un enorme passo avanti è stata anche l’aggiunta di App Store, un’applicazione che ha consentito il
download wireless diretto di software da parte di sviluppatori di terze parti. Negli anni successivi, gli
smartphone touchscreen hanno guadagnato popolarità e hanno sostituito i normali telefoni cellulari.
L’esistenza di app mobili rese disponibili tramite app store ha contribuito notevolmente a questo
sviluppo, in quanto forniscono efficienza d’uso e portabilità».
3
In particolare, G. CIACCI, G. BUONUOMO, Profili di informatica giuridica, Cedam, Milano,
2018, p. 68, affermano che: «ai “classici” produttori di software, tradizionalmente rappresentati da
vere e proprie aziende, più o meno strutturate, si sono aggiunte realtà molto piccole, addirittura anche
singoli programmatori che, grazie a nuove piattaforme di distribuzione e commercializzazione (come
Apple Store, o Google Play), sono entrati, più o meno “prepotentemente” nel settore. È la realtà delle
c.d. “app” (termine che sta per “application”, cioè applicazioni, e dunque identifica, con nome diverso,
il software applicativo di cui stiamo trattando), nate per gli smartphone, e quindi per apparati
diffusissimi che ne hanno determinato il relativo esponenziale sviluppo, alimentando enormemente il
settore del commercio elettronico, e quindi modificando sostanzialmente il relativo mercato». Sulla
stessa scia I. IGLEZAKIS, op.cit., p. 16: «le applicazioni mobili o (mobili) hanno conquistato un segmento
significativo del mercato dei prodotti informatici. Si tratta di software appositamente progettati per
dispositivi mobili, come smartphone, tablet, ecc.».
4
Cfr. M. A. MONANNI, Tutela del Software e Diritto d’autore, Convergenze e Interferenze,
Delos Digital, Milano, 2018, pp. 2-3, che spiega la differenza tra software applicativo e sistema
operativo. Il primo «è costituito da software che svolgono una funzione per l’utente finale»; il secondo
«si occupa di gestire tutte le risorse dell’elaboratore elettronico, di fornire una piattaforma comune, di
attivare e di controllare tutte le applicazioni […]».
5
Dalle denominazioni della dottrina e della giurisprudenza che si vedranno a breve, si presume
che proprio per tali indicazioni e caratteristiche si è stabilita la riduzione del termine nel linguaggio
comune da Applicazione ad App.
6
Cfr. R. VISCONTI, La valutazione delle mobile app, in Diritto Industriale, 2005, pp. 488-489.
9
L’App può interagire sia a livello software sia hardware dello strumento mobile
sul quale è installata, al fine di aumentare le probabilità di uso e gestione: fotocamera,
display e funzionalità di geo-localizzazione ne sono un esempio
7
.
Ogni dispositivo mobile dispone di uno Store
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o Market (veri e propri “negozi
digitali”), dal quale sono scaricabili e installabili le App
9
create dagli sviluppatori.
Queste, a seconda del sistema operativo adottato, si realizzano mediante un apposito
linguaggio di programmazione: Java, per il sistema operativo di Google, Swift per
l’iOS di Apple
10
.
Con l’ingresso nel mercato di questi nuovi dispositivi, si sono succedute
diverse controversie legali tra gli autori che li progettano. La ragione per la quale
sorgono i dibattiti può essere ravvisata nella scarsità di norme di legge che regolino la
figura dell’App e del suo creatore all’interno dell’ordinamento. Ecco allora che,
mancando i parametri legislativi sui quali la giurisprudenza possa fondare le sue
decisioni, vi può essere un rischio per le Corti sulla disciplina da adottare. Tra gli
istituti che possono provocare un errore di valutazione ci sono quelli sul Software, sul
Brevetto, sul Design e sul Marchio. Tra gli operatori del diritto si genera di
conseguenza confusione su come svolgere il patrocinio e/o risolvere i casi che hanno
7
In questi termini M. IASELLI, Diritto e nuove tecnologie. Prontuario giuridico ed informatico,
Altalex Editore, Milanofiori Assago, 2016, pp. 157-158.
8
I principali Store da cui si può effettuare il download delle App sono: l’App Store di Apple
per App iOS e il Google Play di Google per le App Android. Il primo è attivo dal 2008. Per un
approfondimento sugli Store si veda L. GUNWOONG e T.S. RAGHU, Determinants of mobile
apps’success: evidence from the App Store Market, in Journal of Management Information Systems,
2014, 31, 2, 133-170.
9
Sulle diverse tipologie di App esistenti, cfr. S. FEDE, Le App per dispositivi mobili: natura
giuridica e problemi applicativi, Altalex, 2015, pp. 3-5, che descrive le App Native, le Web App, le App
Ibride, le App di sistema e le App di terzi.
10
Cfr. D. GRILLI, App Mobile: Regimi fiscali, Aspetti contabili, profili giuridici, Maggioli
Editore, Santarcangelo di Romagna, 2014, p. 9, il quale spiega che «questi due linguaggi non sono
compatibili tra di loro». Una App elaborata con un determinato linguaggio di programmazione non è
conciliabile con altri sistemi operativi che ne usano uno diverso. Su altri aspetti tecnici dello sviluppo
delle App cfr. EWALD, Apps und Recht, in Baumgartner, Beck Verlag, 2013, p. 4, dalla quale
esposizione si ricava che «le App vengono sviluppate con kit di sviluppo software (SDK o devkit). Questi
sono usati per creare applicazioni per un pacchetto software specifico e sono tipicamente impiegati per
piattaforme specifiche. Per aggiungere funzionalità avanzate, pubblicità, ecc., gli sviluppatori di app
implementano SDKS specifici, mentre alcuni vengono utilizzati solo per sviluppare un’app specifica
per piattaforma. Quindi, ad esempio, per creare un’app Android su Java è necessario utilizzare un kit
di sviluppo Java […]. Gli SDK possono assumere la forma di interfacce di programmazione delle
applicazioni (API) utilizzate come librerie sul dispositivo per interfacciarsi con un particolare
linguaggio di programmazione o possono essere utilizzati per controllare le apparecchiature hardware
degli smartphone, come fotocamere, altoparlanti, sensori, etc.».