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SARDignità. Interiorizzazioni mediatiche e pratiche autorappresentative in Sardegna.

Claudia Curreli

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La presente tesi costituisce un tentativo di far convergere le conoscenze da me interiorizzate in questo periodo di studi universitari in un'unica trattazione. In essa ho cercato di intrecciare le nozioni accademiche riguardanti i media, le pratiche comunicative di rappresentazione e distribuzione delle conoscenze e delle informazioni insieme ai miei studi autodidattici sulla storia e la cultura che più direttamente mi appartengono e che per anni ho sostanzialmente ignorato anche se continuamente percepito e osservato: quelli riguardanti la Sardegna.
Non è stato facile sintetizzare in un centinaio di pagine quello che vorrebbe essere un quadro di riferimento per successive ricerche e approfondimenti in materia. Il target di lettura esterno ha ulteriormente complicato il lavoro richiedendomi notevoli sforzi immedesimativi che a loro volta necessitano sicuramente un certo impegno anche da parte del lettore.
La parzialità del lavoro è sicuramente indiscutibile, sia nella sua inevitabile incompletezza dovuta principalmente alla sinteticità richiesta e alla mia modesta competenza in materia, sia in quanto esposizione di un punto di vista indubbiamente non neutrale e segnato da uno sguardo partecipante. Per sinteticità, non mi è stato possibile completare il testo con tutte le esemplificazioni dovute, e a questo scopo si è rimandato alla consultazione di testi esterni grazie alla quale la mia trattazione acquista una validità altrimenti meno percettibile.
La partigianeria è stata in qualche modo attutita dal fatto che la prospettiva che ha guidato la stesura del documento è stata quella della dignità: una prospettiva che per sua natura non può essere considerata esclusiva o endemica e che si basa su un valore che risulta ancora più indispensabile per l’analisi e la comprensione dei contesti spesso interessati da malessere e povertà. Un valore cui aggettivo corrispondente risulta per curiosa combinazione compreso nel nome stesso che la mia isola si trova a possedere sia in lingua sarda che italiana.
Proprio da questa coincidenza prende spunto il titolo della mia trattazione: il termine Sardignità per quanto sicuramente insolito è semplicemente un termine che mette in evidenza la necessità di un ottica dignitosa nella descrizione di tutti quei processi che riguardano l’insieme di pratiche, contenuti e significati che ricadono sotto il concetto aperto di Cultura Sarda; una cultura che seppure con la c maiuscola raramente è stata riconosciuta come tale poiché, per quanto fertile e fruttuosa, essa risulta, da secoli, delegittimata come periferica e minoritaria rispetto al centri di potere che l’hanno governata e amministrata e che con essa si sono trovati a interagire.

La trattazione si presenta come una panoramica che attraversa mezzi, spazi, tempi e usi non in modo asettico e soltanto descrittivo, ma mettendo in rilievo il ruolo del concetto di novità, invenzione, trasformazione eei mezzi, dei territori, dei tempi, degli usi tenendo sempre al centro e utilizzando come elementi unificatori almeno tre aspetti fondanti.

 Il primo aspetto fondante si basa su quella prospettiva sopra indicata, ossia quella che tiene il concetto di dignità propria e altrui come punto di partenza per qualsiasi riflessione culturale. In questo senso è sottinteso che nessun mezzo, nessuno spazio, nessun tempo è superiore o migliore di un altro anche se parallelamente ogni strumento, luogo ed epoca ha le sue peculiarità che per essere adoperate devono essere comprese.

 Altro elemento unificante è quello che vede le isole di Sardegna non come mero territorio geografico o Regione amministrativa ma come un luogo abitato e attraversato da “persone che comunicano” e quindi scambiano, tramandano, recuperano e diffondono informazioni.

 Il terzo e ultimo filo conduttore riguarda l’attenzione che durante tutta la trattazione viene rivolta alle pratiche di interiorizzazione dei media e di autorappresentazione attraverso gli stessi.

Nello specifico i capitoli sono quattro, preceduti da un’introduzione e seguiti dalle conclusioni e due appendici.

1) Mezzi:
Nel primo capitolo, dopo una panoramica generale delle epoche mediatiche create e attraversate dall’homo sapiens attraverso le rivoluzioni strutturali e tecniche ci si sofferma brevemente sui processi di convergenza e integrazione (che stanno attualmente interessando tutte le attività umane) e sulla descrizione delle pratiche di interazione, per poi arrivare in maniera abbastanza diretta alla deduzione della necessità di una adeguata alfabetizzazione che non comprenda solo le pratiche di scrittura e lettura ma di tutte quelle nozioni che permettano non solo di fruire ma anche usare ogni media costitutivo della propria società; dall’oralità alle reti e gli apparecchi digitali, passando per quelli analogici.
Conclusione che si va a delineare è allora che la relegazione ai sistemi esperti di qualsiasi pratica comunicativa, causata spesso dall’assenza di una aggiornata alfabetizzazione ed educazione mediatica fa sì che alcune pratiche comunicative non risultino interiorizzate dalla popolazione che comunque ne è in qualche modo condizionata, e che si trova a convivere con i significati che con essi o con parte di essi vengono veicolati.
In questo senso si fa allora riferimento alle nozioni di divario tecnologico e divario di rappresentazione che sono presenti in maniera abbastanza evidente nella società presa in esame uno squilibrio nei processi di produzione e distribuzione delle informazioni non solo causato da disparità economica ma anche di competenza. Uno squilibrio che da un lato ha ritardato o comunque reso più difficili le interiorizzazioni di quelli che sono stati di volta in volta i nuovi media ma che al contempo ha nutrito, rafforzato e portato a rinnovare le pratiche di comunicazione e memorizzazione orale. Nozioni che logicamente si vanno allora a toccare nella trattazione sono allora quelle di traduzione mediatica (per cui i contenuti pensati per essere veicolati con un determinato media sanno in qualche modo integrarsi con un altro) e quello di autorappresentazione (ossia tutte quelle rappresentazioni create all’interno di un certo contesto dagli stessi soggetti interessati da un determinato evento) Il capitolo si conclude con un accenno a quella che Ong definisce “oralità di ritorno”, o secondaria, ossia quella generata con gli sviluppi del fissaggio in un supporto e della trasmissione delle entità sonore che ha portato in un primo tempo (quello legato alla diffusione dei mezzi della comunicazione di massa quali radio, cinema e televisione) a una rilegittimazione dell’oralità e in un secondo tempo (quello legato ai media convergenti, digitali e on-line) a una suo uso più collettivo e partecipante.

2) Spazi:
Il secondo capitolo cerca di focalizzare l’attenzione su quello che risulta essere il contesto locale di riferimento: la Sardegna; un isola mediterranea, letteralmente “in mezzo alle terre” e di conseguenza solo parzialmente modello di isolamento, (ossia isolata solo in determinati spazi e tempi non coincidenti), fattore che ne fa un lieto esempio di “melting-pot radicato” dove nativi e migranti, Oriente e Occidente, Nord e Sud del mondo si trovano miscelati in un contesto raramente studiato nella sua effettiva complessità culturale. A questo proposito si mette in evidenza il fatto che nell’uso corrente il termine “Cultura Sarda” è un concetto aperto formato da membri legati tra loro da somiglianze di famiglia e non dalla condivisione di una nota caratteristica. Somiglianze che più che derivare da nessi etnici, identitari o politici, trovano unità in quel carattere di determinatezza che l’insularità geografica comporta e che fa della Sardegna una realtà culturale (oltre che spaziale) particolarmente interessante.
I flussi con l’esterno infatti, sono in un isola come la Sardegna un qualcosa di più facilmente identificabile, anche se, come in qualsiasi contesto, di difficile generalizzazione. Senza voler necessariamente fare riferimento al carattere odierno di Sardegna come Regione Autonoma della Repubblica Italiana, essa rimane un contesto si influenzato dalle varie culture e governi con cui le popolazioni che l’hanno abitata hanno avuto a che fare, ma anche e soprattutto nutrito dalle azioni e le pratiche che in tale contesto hanno trovato un’originale evoluzione e una stratificata specificità.
Una conclusione che sembra emergere spontanea in questo capitolo è che l’uso delle differenze come ricchezza culturale e segno di dignità sociale non potrebbe che avvantaggiare anche lo sviluppo economico soprattutto delle aree più povere e spesso più problematiche del sud e delle isole, oltre che di tutti quei contesti nelle quali il bilinguismo e il multiculturalismo (sia storico che recente) rappresenta una realtà che non può più ragionevolmente essere ignorata. In questo senso è plausibile affermare che ogni regione percepita come tale dai suoi abitanti possa e in qualche caso debba orientare le sue differenze non come fonte di competizione economica e giudizio morale ma di comprensione sociale, crescita culturale e scambio informativo.


3) Tempi:
Nel terzo capitolo si mettono in evidenza le epoche mediatiche nel contesto spaziale sardo attraverso una excursus storico ridotto all’essenziale e particolarmente focalizzato sui processi di transizione e interiorizzazione delle pratiche comunicative. Tralasciando per ovvie ragioni di sinteticità il passato più remoto si passano in rassegna alcune delle caratteristiche più palesi ai fini di comprendere le pratiche comunicative inerenti la cultura sarda. Il primo aspetto che viene messo in evidenza è quello per cui considerando che i primi documenti scritti utilizzando i volgari sardi, risalenti addirittura alla seconda metà dell’anno mille (1066-74) è evidente una precoce emancipazione dal latino che mostra come non si possa propriamente parlare nel contesto sardo di oralità primaria (ossia di quella di una cultura del tutto ignara della scrittura). Considerando allora come le pratiche di scrittura fossero in espansione durante il periodo Giudicale si và allora a esaminare come con l’invenzione della stampa (introdotta in Sardegna nel 1566) facilitò questo processo, notando come però come l’avviamento dell’Inquisizione Spagnola (1492) e l’introduzione della censura preventiva (1502) interruppero quella stagione di libertà che aveva accompagnato la stampa fin dalla sua comparsa, facendo dei libri quasi “una merce proibita” o per lo meno pericolosa. Continando la panoramica si và allora ad accennare di come se la classe dominante spagnola controllò le tipografie e di fatto limitò ogni tipo di circolazione e diffusione di testi scritti, quella Sabauda cercò “solo” di indirizzarne i contenuti e di inserirvi il proprio punto di vista. Per quanto riguarda l’autorappresentazione si fa un breve accenno al fenomeno giornalistico sardo italiofono e una particolare attenzione a quello dei “fogli volanti” contenenti fatti di cronaca o di importanza sociale sotto forma di poesia e canzoni in lingua sarda, testimonianza di una antica tradizione orale di selezione, interpretazione ed esposizione “giornalistica”. Considerando che la caratterizzazione e l’influenza politica del giornalismo vero e proprio continuò nel periodo fascista e nel dopo guerra si va allora ad esaminare come gli altri mezzi di comunicazione abbiano trovato uso in Sardegna. Considerato che la prima trasmissione radiofonica libera in Sardegna sia addirittura del 1943, e che dopo la sentenza della Corte Costituzionale n.202 del 76 la trasmissione in ambito locale sia radiofonica che televisiva fu di fatto legalizzata, si fa notare come questi mezzi abbiano trovato in Sardegna un luogo fertile e prolifico. Dal 1970 al 99 si contano quasi duecento radio e quaranta televisioni di cui però solo meno della metà resiste all’entrata in vigore della legge Mammì del 1995, che in più interrompe di fatto questa esponenziale crescita dell’uso di questi nuovi mezzi di comunicazione. Senza andare ad analizzare nello specifico le conseguenze delle leggi successive si fa sinteticamente notare come il potenziamento dei flussi esterni associata ad un non altrettanto grande sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa locali e a un crescente abbandono delle pratiche comunicative popolari proprie abbia portato a una diminuzione dei canali di autorappresentazione e autodocumentazione locali in Sardegna fino almeno alla legittimazione di internet come nuovo mezzo di comunicazione. Giusto per citare qualche esempio della rapidità con la quale le reti sono state sfruttate viene citata l ’Unione Sarda, edito a Cagliari dal 1889, che risulta il primo quotidiano europeo a pubblicare la sua edizione nel web, e la recente apertura della biblioteca digitale sarda, una banca dati curata dalla Regione dove sono disponibili migliaia di contenuti analogici recentemente digitalizzati.

4) Uso.
Il quarto capitolo fa in qualche modo il punto della situazione mettendo innanzitutto in risalto il fatto di come qualsiasi tecnologia e pratica comunicativa abbia effetti diversi in un contesto a seconda che essa sia usata esclusivamente dalle classi dominanti o sia interiorizzata anche dalle fasce popolari di una determinata società. Segue la constatazione che la ristrettezza di una adeguata educazione mediatica porta ancora oggi a notevoli problemi sociali in Sardegna anche se le pratiche autorappresentative hanno e lo scambio di informazioni dal basso stanno trovando nel web e nelle trasmissioni digitali il nuovo canale nella quale diffondersi ed evolvere. Il capitolo si conclude facendo notare come i FLOSS (free/libre and open source) -ossia i programmi cui codice sorgente risulta libero o aperto- e le politiche del Creative Commons stiano diffondendo un nuovo concetto di diritto d’autore che incentivi l’uso comunitario dei media e dei contenuti con essi veicolati, riproponendo di fatto e a livello allargato le regole di condivisione della conoscenza che avveniva in contesti prevalentemente orali.



Le conclusioni della tesi iniziano con una citazione di Pasolini, “la morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi”, e seguono con la famosa frase di Kranzberg “la tecnologia non è né buona né cattiva. E non è neppure neutrale”. Queste due citazioni ci aiutano ad arrivare al senso finale della trattazione: affinché la cultura sarda possa essere ancora compresa dai suoi depositari e conosciuta più dignitosamente nel resto del mondo è necessario che le tecnologie usate per comunicarla siano interiorizzate dalla popolazione in modo che essa possa effettivamente considerata viva. In questo senso si fa anche riferimento all’autorappresentazione in quanto autobiografia di una società tesa alla formazione di punti di vista condivisibili più che necessariamente condivisi, comprensibili più che uniformemente compresi, ottenuti mettendo in moto quel processo formativo che porti a una modellizzazione aperta, responsabile e polifonica della propria identità.

Nota: la trattazione contiene inoltre due appendici: nel primo vengono esposte alcune piccole considerazioni sul concetto di diversità.
Il secondo appendice contiene il progetto di un portale che ho ideato durante il ciclo di esami professionalizzanti che ho avuto modo di frequentare durante questa esperienza universitaria. Esso rappresenta solo un modesto esempio di come potrebbe essere possibile incentivare nel web le pratiche autorappresentative e collaborative di carattere culturale e artistico favorendo la convergenza virtuale dei contenuti e le interazioni nel contesto sardo così come in qualsiasi altro contesto locale.


C.C.


Studi

  • Laurea I ciclo (triennale) in Scienze della comunicazione
    conseguita presso Università degli Studi di Firenze nell'anno 2006-07
    con una votazione di 102 su 110
  • Diploma di maturità conseguito presso il Liceo scientifico "sperimentale Brocca" indirizzo linguistico
    con votazione 95/°

Altri titoli di studio

  • Illustrazione digitale
    conseguito presso Creative Station, Lisbona. www.creativestation.pt nell'anno 2009
  • Grafica e animazione 2D 3D
    conseguito presso Restart, Lisbona. www.restart.pt nell'anno 2009
  • Regia
    conseguito presso Accademia del Cinema diBologna nell'anno 2010

Lingue straniere

  • Inglese parlato e scritto: buono
  • Spagnolo parlato e scritto: ottimo
  • Francese parlato e scritto: discreto
  • portoghese parlato e scritto: buono

Conoscenze informatiche

  • Livello ottimo