La pragmatica musicale nella comunicazione liturgica dopo il Concilio Vaticano II. Cum musica fit sacra.
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27 inculturarsi, ma farsi carne, essere essi stessi corpo dell’esperienza generativa efficace della fede che nasce dall’incontro con Dio, soprattutto e in maniera privilegiata e insostituibile nel momento dell’azione rituale. Questo grande guadagno del Concilio Vaticano II ha creato e continua a creare grandi difficoltà e perplessità nel mondo musicale. L’immagine che si ha della musica per la liturgia prima del Novecento è una sorta di chiaro repertorio ricchissimo quanto monolitico e statuario, costituito dal canto gregoriano, dalla polifonia, dalla musica per organo e qualche escursione indulgente al canto popolare che solletica la devozione delle masse. La porta aperta dal Concilio Vaticano II ad un mondo ormai non più solo “romano” nelle forme e nell’ispirazione (tant’è vero che ad oggi tre quarti del cristianesimo mondiale trovano casa al di fuori dei confini europei), incide fortemente sulla necessità di rivedere le forme dell’annuncio, soprattutto rituali, della fede, e dunque i linguaggi e le coordinate di una espressione del rapporto col divino quanto mai ricca e variegata, quanto ricca è la tavolozza dei colori dell’esperienza umana. Così dagli anni ‘70 nel contesto ordinario delle nostre celebrazioni si può trovare di tutto nello stesso tempo, dal brano classico alla canzoncina pop, dal canto gregoriano a cappella alla musica con accompagnamento elettronico, all’assenza del musicale, avvertito come accessorio. Se la varietà delle scelte è opportuna e giustificata dalla necessità di venire incontro alle esigenze di un’assemblea liturgica sempre differente (talvolta disgregata in specifici gruppi e fasce di età di fanciulli, di giovani, di anziani, di famiglie, di scout...), e dunque dal compito della regia celebrativa di tenere presente la concretezza del popolo di Dio, occorre tuttavia ricercare (e una volta trovate salvaguardare) quelle che sono le conditiones sine qua non di una autentica efficacia (espressiva e quindi sacramentale) rituale. Non si può bypassare il linguaggio musicale. Il rito custodisce la propria efficacia nelle dinamiche del suo ritmo celebrativo. La fede non si gioca altrove rispetto al suo momento celebrativo, ma anche e soprattutto in esso, in quanto momento che appartiene alla vita e che ad essa inerisce come momento qualitativamente significativo per la sua capacità di dare senso al vivere ordinario. Se così è, le dinamiche celebrative devono rispecchiare la verità e l’autenticità del celebrato nelle forme con cui si celebra. La preghiera non può essere “lode a Dio” senza lode, non si possono elevare “inni e cantici” 1 1 Col 3,16: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali».
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Informazioni tesi
Autore: | Edoardo Marengo |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2018-19 |
Università: | Istituto Liturgia Pastorale S. Giustina - Padova |
Facoltà: | Teologia |
Corso: | Liturgia Pastorale |
Relatore: | Roberto Tagliaferri |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 230 |
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