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Capitolo II
Il Terzo Mondo: i viaggi in Medio Oriente, India e Africa (1965-1970)
1. Il Terzo Mondo di Pier Paolo Pasolini
Pasolini è sempre stato un gran viaggatore. Anzi, egli non è mai stato un semplice
viaggiatore, ma un vero e proprio esploratore.
Una tra le sue più grandi avventure inizia tra il giugno e l’agosto 1959, quando egli si
cimenta in un viaggio lungo le coste italiane, a bordo della sua Fiat 1100, percorrendo
il paese da Ventimiglia a Palmi, fino al punto più meridionale della penisola, in Sicilia,
per poi ritornare su dalla costa orientale, fino a Trieste. Da questo viaggio nasce il
resoconto La lunga strada di sabbia (1959)
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, che permette a noi posteri di immaginare
che cosa doveva apparire la società italiana alle soglie del boom economico, che la
mutò per sempre.
Oltre ad acquisire, lungo il corso della sua vita, una profonda conoscenza di tutta la
penisola italiana – che ha portato Pasolini ad innamorarsene sempre di più – egli valica
frequentemente non solo le barriere nazionali, ma anche quelle continentali. Pasolini
conosce l’India nel 1961, grazie a un viaggio compiuto insieme agli scrittori, amici del
regista, Alberto Moravia ed Elsa Morante. Essi passano per Bombay, New Delhi,
Benares, Gwalior, Kajurao, Malabar, Calcutta. I suoi sentimenti e le sue annotazioni,
sono contenute nel libro L’odore dell’India (1961)
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, a noi utilissimo per capire il
motivo ed alcune sfaccettature del film da farsi che realizzerà qualche anno dopo,
Appunti per un film sull’India (1968).
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P. P. Pasolini, La lunga strada di sabbia, fotografie di Philippe Séclier, Contrasto, Roma 2015
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P. P. Pasolini, L’odore dell’India, prefazione di Giorgio Pressburger, Garzanti, Milano 2015
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I due anni successivi Pasolini è in Africa: visita il Sudan, il Kenya, il Ghana, la Nigeria
e la Guinea. Vi tornerà tra il 1968-69 per realizzare il film Appunti per un’Orestiade
africana (1970). Per non parlare nuovamente del viaggio, già citato, in Palestina e
Giordania per la realizzazione de Il Vangelo secondo Matteo.
Egli alterna, nel corso degli anni Sessanta, il suo impegno politico e sociale in penisola,
con esili dal mondo occidentale in generale, in Africa e Oriente – i quali,
paradossalmente – lo aiutano ad avvicinarsi ancora di più ai problemi, sociali e politici,
europei e soprattutto italiani.
Egli è estremamente attratto dal Terzo Mondo proprio perché è qualcosa di
completamente diverso dall’Occidente, e dal suo modello ormai consolidato di società
capitalista. Esso rappresenta un mondo ancora non totalmente omologato, ancora
detentore del senso del sacro, mitico, arcaico, dove la realtà – così come la intende
Pasolini – regna sovrana. Il Terzo Mondo è per il regista un «luogo alternativo (fatto
di realtà), sottratto al potere perentorio e capillare della società dei consumi
(generatrice di irrealtà.)»
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Esso, inoltre, ricorda a Pasolini l’Italia precedente il boom
economico, l’Italia che Pasolini per tutta la vita, in ogni raccolta poetica, in ogni film,
cerca e vuole conservare come cosa sacra. Egli non rimpiange banalmente «l’Italietta»,
cosa di cui verrà accusato da Calvino, che è un’Italia «piccolo-borghese, fascista,
democristiana […] provinciale e ai margini della storia». Pasolini rimpiange l’universo
contadino transnazionale di cui fanno parte tutte le culture sottoproletarie urbane,
«questo mondo contadino pre-nazionale e preindustriale, sopravvissuto fino a pochi
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T. Toracca, L’ambiguità del Terzo Mondo: il rimpianto drammatico di Pasolini, in Novella Di
Nunzio e Francesco Ragni (a cura di), «Già troppo volte esuli.» Letteratura di frontiera e di esilio,
CTL, Perugia 2014.
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anni fa» in Italia. Per questa ragione, aggiunge, «dimoro il più a lungo possibile nei
paesi del Terzo Mondo, dove [questo universo contadino] sopravvive ancora, benché
il Terzo Mondo stia anch’esso entrando nell’orbita del cosiddetto Sviluppo».
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Occorre a questo punto chiarire che cosa intenda Pasolini con “Terzo Mondo”. Il ‘suo’
Terzo Mondo, come si evince anche da queste ultime parole, «non è confinato
all’Africa o all’Oriente. I suoi confini non sono geografici ma tematici.»
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Pasolini
sostiene che non ci sia differenza fra un villaggio calabrese e uno indiano o
marocchino, e che infondo si tratti di due varianti di un fatto che è lo stesso.
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L’India,
l’Africa Nera, i Paesi Arabi, l’America del Sud, i Ghetti negri degli Stati Uniti, l’Italia
del Sud o le zone minerarie dei grandi paesi nordici con le baracche degli immigrati
italiani, spagnoli, arabi, eccetera costituiscono quello che Pasolini chiama il “Terzo
Mondo” poiché accomunato dallo stesso stile di vita, e dalla stessa condizione sociale.
Egli, generalizzando in questo modo il problema del Terzo Mondo, lo idealizza
utopicamente, scorgendo in esso l’unica e sola possibilità di salvezza per l’umanità o
per se stesso. Con i versi «Africa! Unica mia / Alternativa» Pasolini conclude la poesia
«Frammento alla morte»
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, esprimendo questo sentimento. Al tempo stesso, egli è
colmo di sfiducia: reduce dall’esperienza occidentale, proietta l’epilogo dello sviluppo
italiano sul Terzo Mondo, condannandolo come luogo predestinato a essere dominato
dai modelli occidentali. Pasolini alterna, parlando del futuro del Terzo Mondo, toni
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P. P. Pasolini, Lettera aperta a Italo Calvino: P.: quello che rimpiango, su «Paese sera», in
Pasolini, Scritti corsari, pp.51-53.
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Toracca, L’ambiguità del Terzo Mondo: il rimpianto drammatico di Pasolini, in Novella Di Nunzio
e Francesco Ragni (a cura di), «Già troppo volte esuli.» Letteratura di frontiera e di esilio
42
Ibid. Cit. di Pasolini in un’intervista con Ferdinando Camon (1965)
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P. P. Pasolini, La religione del mio tempo, prefazione di Gianni D’Elia, Garzanti, Milano 1995,
pp.164-166
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profetici e rivoluzionari a toni apocalittici, conscio che «l’acculturazione del Centro
consumistico, ha distrutto le varie culture del Terzo Mondo e che il modello culturale
offerto agli italiani (e a tutti gli uomini del globo, del resto) è unico.»
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Per quanto
desideri che esso possa essere un’alternativa reale, lo continua a considerare
atrocemente preistorico e proiettato irrimediabilmente verso gli stessi modelli di
sviluppo occidentali. Ad alimentare la sfiducia nella capacità di insorgenza, o
addirittura di sola sopravvivenza, da parte del Terzo Mondo, è la repentinità con cui
esso stia subendo il medesimo processo di sviluppo neocapitalistico. Ma c’è qualcosa
di peggiore nel percorso di sviluppo nel Terzo Mondo:
Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbatter quel padrone senza
diventare quel padrone […]. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone,
altrettanto predoni, che vogliono tutto a qualunque costo.
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La differenza fondamentale e insormontabile tra lo sviluppo occidentale e quello
terzomondista è che in questi ultimi paesi, il modello capitalistico non incontra ostacoli
ideologici (come il comunismo in Occidente) e quindi avviene in maniera impetuosa.
Pasolini così spiega questo concetto, specificatamente riguardo il africano:
Se da un lato il Terzo Mondo descritto da Pasolini (e cioè in sintesi: un universo
transnazionale ideologicamente contrapposto al neocapitalismo) rappresenta bene,
fisiologicamente, questo “dietrofront” rispetto ai principi del capitalismo, e cioè la loro
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Toracca, L’ambiguità del Terzo Mondo: il rimpianto drammatico di Pasolini, in Novella Di Nunzio
e Francesco Ragni (a cura di), «Già troppo volte esuli.» Letteratura di frontiera e di esilio
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P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti e S. De Laude, Mondadori,
Milano 1999, p.846.
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assenza, la loro ancora scarsa incidenza sui corpi, sul paesaggio, sulle tradizioni (ed è
questa, in sostanza, la prospettiva in cui si deve leggere il suo esilio terzomondista),
dall’altro lato tuttavia, l’ambiguità con cui egli descrive l’Africa e l’Oriente (vale a dire
i loro rituali arcaici e le loro accelerazioni consumistiche) è troppo marcata per non
essere significativa di qualcos’altro. Il Terzo Mondo pasoliniano non coincide a pieno
con quel mondo precedente la rivoluzione antropologica prodotta dal neocapitalismo,
con quel mondo cioè di cui l’Italia precedente il boom economico rappresenta l’esempio
più evidente, perché il Terzo Mondo è privo di una base ideologica (di una coscienza
critica) alternativa al capitalismo e al neocapitalismo. [...] mentre in Africa o in Oriente
il modello capitalistico non ha incontrato e non incontra ostacoli ideologici (e proprio
per questo la spinta all’imitazione è così impetuosa), nell’Italia (e nel mondo
occidentale) precedente l’affermazione del neocapitalismo è esistita invece una vera e
propria alternativa ideologica, ovvero il comunismo.
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La “Profezia” decantata da Pasolini riguardo “Alì dagli occhi azzurri”
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viene così
successivamente da lui condannata: essa «è già stata smentita, è già stata superata. In
Occidente, infatti, il nuovo potere ha introiettato le ragioni della rivoluzione e ha reso
quel tipo di linguaggio e quel tipo di lotta totalmente inoffensivi. Anche il Marocco,
ammette amaramente Pasolini, diventerà in cinquant’anni «un’avanzata nazione
neocapitalistica».
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46
Ibid.
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P. P. Pasolini, Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano 1976, pp.93-99. Nella poesia Pasolini
profetizza l’irrompere in Europa di una moltitudine di africani “con le bandiere rosse / di Trotzky al
vento...”
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Toracca, L’ambiguità del Terzo Mondo: il rimpianto drammatico di Pasolini, in Novella Di Nunzio
e Francesco Ragni (a cura di), «Già troppo volte esuli.» Letteratura di frontiera e di esilio