PrEP: lo stigma paradossale. L'esperienza del Milano Check Point
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9 piuttosto statica del pregiudizio e degli stereotipi intergruppi, ipotizzando che siano caratteristici solo di alcuni individui. Fu soprattutto Muzafer Sherif (Sherif & Sherif, 1953), a partire dai suoi celebri esperimenti nei campi estivi per ragazzi tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, a ipotizzare che i meccanismi piscologici soggiacenti a queste dinamiche fossero il risultato di un’interdipendenza funzionale tra fattori intra-individuali, cioè interni, e fattori esterni, ovvero situazionali e sociali. Un’impostazione la cui validità sarà in seguito supportata, in particolare, dalle teorie della social cognition, le quali riconoscono che stereotipi e pregiudizi possono essere percepiti normalmente da chiunque, poiché si basano su processi fondamentali comuni a tutti gli individui (Costarelli, 2003). La teoria elaborata da Sherif descrive un conflitto realistico, che emerge quando i gruppi devono competere per risorse concrete: spiega le situazioni della vita sociale in cui esiste un reale conflitto di interessi, ma non spiega perché, in assenza di conflitti reali, i gruppi possano competere anche su un piano puramente simbolico. Diversi tentativi verranno compiuti per dimostrare empiricamente che i gruppi si discriminano a vicenda anche in assenza di conflitti reali, evidenziando in particolare l’interdipendenza tra i componenti di un gruppo, il cosiddetto common destiny o sorte comune (Rubini, 2003). Nel decennio successivo un ulteriore contributo in questa direzione venne dagli studi sulle categorizzazioni e, nel dettaglio, dal lavoro di Tajfel (1969). Benché non esplicitata (Rubini, cit..), la questione che Tajfel e i suoi collaboratori intendono affrontare è se sia possibile identificare dei fondamenti razionali per spiegare le discriminazioni interguppi e la formazione di pregiudizi e stereotipi sociali. Già in precedenza Bruner e Goodman (1947) avevano osservato il fenomeno per cui una categoria di stimoli veniva sovrastimata percettivamente dai soggetti sperimentali se le veniva attribuito un valore, mentre Campbell (1956) aveva indagato i processi di categorizzazione degli stimoli. Il passaggio che compie Tajfel è di estendere questo approccio dagli stimoli fisici ai fenomeni di categorizzazione sociale, evidenziando che l’organizzazione stessa degli stimoli in serie distinte, quindi in categorie differenti, può essere di per sé sufficiente a generare comportamenti discriminatori intergruppi. Nei suoi esperimenti Tajfel dimostra che, per generare il comportamento discriminante, è sufficiente la “minima” condizione categoriale di appartenenza a un gruppo, anche ristretto, e definisce questa evidenza paradigma dei gruppi minimi.
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Informazioni tesi
Autore: | Claudio Ferrara |
Tipo: | Laurea I ciclo (triennale) |
Anno: | 2019-20 |
Università: | Università Telematica "E-Campus" |
Facoltà: | Psicologia |
Corso: | Scienze e tecniche psicologiche |
Relatore: | Mario Pesce |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 82 |
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