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I modelli di transizione


La transizione da un modello di economia pianificata ad un modello di economia di mercato si sviluppa intorno a tre principali aree di riforme: la stabilizzazione macroeconomica, il processo di privatizzazione dell'economia ed il cambiamento della struttura istituzionale. In ordine all'obiettivo finale di istituire mercati di beni e servizi sono stati scelti ed adottati vari approcci, i più importanti dei quali sembrano essere 2: l'approccio di tipo “Big Bang” e quello di tipo graduale. Il primo, associato al caso della Polonia, mirava a realizzare simultaneamente gli obiettivi di stabilizzazione e ristrutturazione dell'economia, attraverso la liberalizzazione dei prezzi e dell'intera struttira produttiva, un drastico programma antinflazionistico, la privatizzazione del patrimonio statale, la convertibilità della moneta, l'apertura al commercio internazionale e il raggiungimento dell'equilibrio di bilancio pubblico. L'approccio gradualista, associato al caso dell'Ungheria, prevedeva invece una politica di “soft landing” verso il capitalismo attraverso un programma più pragmatico e meno radicale. Il presupposto è quelli di ridurre lo shock dell'aggiustamento in modo da costruire una governance capace di far transitare l'economia verso un sistema di decisioni decentrate, senza creare divisioni e distruzione di capacità produttiva.
Nonostante la diversità delle condizioni economiche e politiche dei singoli paesi, lo schema “evoluzionista” è stato quello seguito dall'UE. In effetti, la terapia shock, se impostata e condotta in forma ideologica può condurre più alla creazione che alla soluzione dei problemi. L'approccio dell'UE trae origine da 2 livelli: metodologico e politico. “Sul piano metodologico, perchè la questione dei paesi in transizione venne pensata come un problema da affrontare nelle prospettive finali dell'allargamento, piuttosto che come problema a sé stante; sul piano delle politiche, a causa della complessità del processo avviato e gestito con l'obiettivo unitario della transizione con adesione”.
L'obiettivo della stabilizzazione è quello di superare gli squilibri nel livello dei prezzi, nel settore pubblico e nel tasso di cambio. Politiche monetarie restrittive, riduzione dei sussidi e dei trasferimenti assistenziali, svalutazione e convertibilità del tasso di cambio, controllo della dinamica salariale, disciplina fiscale costituiscono alcuni esempi di un'azione sistematica volta da un lato alla riduzione della domanda aggiunta ed al superamento della scarsità di beni e dall'altro all'introduzione di elementi di competitività nei fatti economici.
Anche la privatizzazione delle imprese svolge un ruolo centrale nel processo di stabilizzazione del mercato, di ristrutturazione produttiva, di adeguamento dell'offerta alla domanda e di intensificazione del progresso tecnico. Gli argomenti a favore della privatizzazione sono riassumibili in 3 componenti essenziali:
a) nell'uso più efficiente delle risorse in virtù della capacità dell'imprenditore privato di captare i segnali di mercato e di rischiare risorse proprie a differenza di quanto appare nel settore statale che invece mostra una sostanziale difficoltà a mantenere la disciplina finanziaria oltre il breve periodo;
b) nel rafforzamento dello stesso processo della stabilizzazione nel medio termine;
c) nell'incentivo ad adottare innovazioni tecniche, organizzative e manageriali per far fronte alla concorrenza sui mercati dei beni e dei capitali.
L'ultima area cui si è rivolta l'azione dei PECO è quella istituzionale. Al riguardo, non appare possibile sviluppare meccanismi di privatizzazione e condizioni di stabilità macroeconomica se il corso delle riforme non viene sorretto da una adeguata e credibile struttura istituzionale che, sotto il profilo legale e giuridico, sia in grado di offrire garanzia e certezza ai cittadini. Solo in questo contesto, i decentramenti del livello dei prezzi potrà riflettere la scarsità dei beni e dei fattori. Di qui l'importanza delle leggi a garanzia della proprietà privata, dell'indipendenza della banca centrale per poter esprimere autonome politiche monetarie di stabilità economica.

Si tratta ora di definire un modello di funzionamento in grado di spiegare il percorso della transazione. I risultati fin qui ottenuti dimostrano che la dinamica del percorso di trasformazione non si manifesta in eguale misura nei paesi dell'est, in quanto non appaiono omogenee le esperienze di transazione identificabili nelle 3 fasi, rispettivamente di recessione, di ripresa e di crescita sostenuta. Ci sono però alcune importanti considerazioni; innanzitutto i differenziali di crescita trovano parziale spiegazione nei diversi tempi di attuazione dei programmi di stabilizzazione. In generale, i paesi che adottano per primi i piani di controllo e stabilizzazione realizzano una ripresa più rapida della produzione e successivamente tassi di crescita più o meno stabili.
Si può considerare che la promozione della ripresa e della crescita viene affrontata e colta dai seguenti elementi:
a) condizioni iniziali dell'economia;
b) stabilizzazione macroeconomica;
c) riforme strutturali.
La crescita del PIL è un fenomeno recente. Infatti, la recessione iniziale, seppur manifestatasi con diverse intensità, colpisce tutte e 25 le economie in transizione. Al riguardo emerge un tratto comune, che coincide con le conseguenze derivanti dal collasso dell'URSS e soprattutto del Comecon. Gli shock esogeni, disintegrando il sistema dei rapporti intra-commerciali tra i PECO e l'Unione Sovietica, conducono a drastici tagli della produzione, ad un accumulo di scorte e ad un arresto delle esportazioni, nonché inducono i governi ad affrontare i difficili problemi di un'elevata disoccupazione.
Considerando i 2 restanti fattori di analisi, si perviene ad una lettura completa del percorso di transizione. Non basta il rapido avvio del programma di stabilizzazione per conseguire elevati tassi di crescita. I progressi nel tempo sembrano caratterizzati dall'attuazione e dai risultati delle riforme strutturali. In altri termini, si può individuare una relazione causale positiva diretta tra stabilizzazione e PIL, ed una indiretta, il cui legame è segnato proprio degli interventi compiuti in tema di riforme. Queste ultime esprimono l'intensità del fenomeno e caratterizzano l'esperienza del programma di stabilizzazione.
Nel Rapporto sulla transizione del 2001 di De Melo, i progressi della transizione verso l'economia di mercato vengono valutati in dieci differenti aree che coprono 4 segmenti del sistema economico: imprese, mercati, infrastrutture e sistema finanziario. Il sistema di classificazione da va “1” per i settori in cui non si registrano progressi a “4+” per gli stati che raggiungono gli standard dei paesi industrializzati. Lo sviluppo istituzionale costituisce la media non ponderata degli indicatori relativi alle “grandi privatizzazioni”, alla governance, alla politica per la concorrenza, alle infrastrutture ed alla finanza. I maggiori progressi vengono realizzati nel campo delle grandi privatizzazioni ed in alcuni settori delle infrastrutture. Ritardi persistono nella governance delle imprese e nelle politiche per la concorrenza. L'indice di sviluppo è ancora distante dai livelli medi dell'UE e ciò conferma indirettamente l'ipotesi di una convergenza che non potrà realizzarsi in tempo brevi.
Il ritorno alla recessione per Romania e Bulgaria è anche da attribuire alla mancanza di solide e stabili istituzioni che possono sorreggere la crescita. In altri termini, il ritmo di sviluppo appare condizionato dalle misure di politica economica intraprese e dalla qualità delle istituzioni.

Tratto da POLITICA ECONOMICA di Alessandro Remigio
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