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Commento di Ferruccio Auletta all’art. 2393 bis: la chiamata della società in giudizio


Con la chiamata della società in giudizio si realizza un caso di sostituzione processuale in senso stretto, e appare indubbio che l’azione spetti originariamente alla società. Tale tesi è avvalorata da più indizi: il fatto che l’azione è chiamata “sociale” di responsabilità; l’uso di “anche” i soci che rappresentino […]; la società dev’essere parte necessaria del giudizio in quanto titolare del diritto d’azione e legittimata in via ordinaria; la rappresentanza di soci di minoranza (cioè l’1/5 del capitale) e società è necessariamente disgiunta, cioè rappresentante comune per i primi e rappresentante organico per la seconda; gli incrementi patrimoniali a seguito dell’azione, rinuncia o transazione non spettano ai soci di minoranza, ma alla società.
Le parti passive sono gli amministratori (individualmente sebbene componenti il cda), i sindaci, i consiglieri di gestione, i liquidatori, i direttori generali nominati dall’assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati.
L’atto di citazione destinato alla società va consegnato, quando i rappresentanti della stessa siano proprio i soggetti cui l’azione si rivolge, al presidente del collegio sindacale, con l’evidente scopo di conferire i poteri rappresentativi, momentaneamente, ad un soggetto (il presidente del collegio) diverso da quello chiamato in giudizio che, per questo, è in evidente posizione di conflitto di interessi. E questo perché non vi è, a differenza di quanto previsto per l’azione della società (comma 4 art. 2393), la revoca dall’ufficio degli amministratori, cosicché questi potrebbero rimanere rappresentanti della società (art. 2384) durante tutto il giudizio (fermo restando, comunque, il potere cautelare del giudice). Il presidente del collegio sindacale, qualora così chiamato a rappresentare l’ente, viene munito della capacità processuale della società, almeno fino alla determinazione dell’assemblea che deliberasse di promuovere la propria costituzione in giudizio mediante un soggetto diverso.
Con riguardo alla necessaria chiamata in giudizio della società, non è problematico, per questa, costituirsi a sua volta in causa, anche al fine di assumere posizione di antagonismo rispetto agli attori. Anche se la società esercita la sua azione, il potere d’azione della minoranza, se già avviato, permane. Se non avviato, invece, la minoranza, una volta avviato quello della società, non potrà più attivarsi. Ciò poiché l’azione ex art. 2393-bis costituisce sì legittimazione ad agire autonoma e originaria, ma pur sempre straordinaria rispetto a quella che spetta originariamente alla società; ciò esclude che, una volta che sia stata fatta valere dal titolare del diritto, la minoranza possa agire de eadem re (agire due volte per lo stesso motivo). La minoranza potrà ad altro titolo entrare nel processo: come interveniente volontario che intenda sostenere le ragioni di una parte (proprio la parte della minoranza), e ciò permette, per dolo o collusione delle parti in suo danno, di ottenere dal giudice la restituzione nel termine per le attività processuali altrimenti precluse, o il diritto ad impugnare la sentenza o intervenire direttamente in appello.

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