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Un profilo dell’autarchia in Italia 1936-1940

L’autarchia caratterizzò l’economia fascista in particolare dal 1936 al 1940.
Nata inizialmente come misura provvisoria mirata ad ammortizzare le misure sanzionatorie adottate dalla Società delle Nazioni contro l’Italia a seguito dell’invasione dell’Etiopia, ha finito per divenire una presenza stabile nell’economia del regime.
A seguito dell’autarchia, dovevano essere ridotte al minimo indispensabile le importazioni e sostituite con produzioni interne; le esportazioni andavano invece incentivate, sempre al fine di diminuire il grave disavanzo della bilancia commerciale.
La politica autarchica non fu però generalmente all’altezza delle aspettative. Ciò fu dovuto essenzialmente alla scarsa disponibilità di materie prime del Paese ma, soprattutto, alla dipendenza energetica dall’estero, una realtà che fu forse sottovalutata dal regime e che fu la causa principale del mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dai piani autarchici. La produzione prefissata da tali piani per ogni settore produttivo non raggiunse le soglie previste altresì per il calo della domanda sia estera che interna. Non migliorò la situazione la campagna africana tanto cara al Duce, che si rivelò una conquista tutt’altro che conveniente, dal punto di vista delle materie prime, del problema energetico e del miglioramento della bilancia commerciale.
Nonostante la perseveranza con cui il regime perseguì l’obiettivo dell’autosufficienza economica, le misure intraprese non furono sufficienti o adeguate. Spesso la produzione all’interno costava molto di più che acquistarla all’estero ed inoltre tale politica provocava, come ben si può immaginare, ritorsioni da parte dei Paesi che esportavano in Italia. Anche sul piano interno non mancò il generale malcontento del popolo dovuto alla mancanza di beni che prima venivano importati: inoltre il consumo pro-capite era ridotto al minimo della sussistenza per poter destinare la maggior parte delle risorse all’esportazione esportazioni o all’industria di guerra.
In questo breve studio si esaminano le scelte dettate da tale politica, gli obiettivi ed i risultati raggiunti; vengono esaminati i vari settori produttivi, in particolare l’agricoltura e l’industria, il problema dell’energia e come i piani autarchici ne hanno determinato l’andamento: si evince che il costo della produzione interna di molti beni è risultato nel complesso nettamente maggiore di quello che si sarebbe sostenuto importandoli.
Occorre tuttavia considerare anche il contesto economico di quel periodo, caratterizzato da una grave e prolungata crisi a livello internazionale e, per contro, che l’esperienza autarchica ebbe comunque il pregio di spingere la produzione interna alla maggior efficienza, sfruttando al massimo le poche risorse del paese.
Insomma si cerca di riportare in superficie un pezzo della recente storia economica del paese, cercando di capire pregi e difetti dell’economia autarchica per non ripeterli in futuro ma trarne insegnamenti.

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4 INTRODUZIONE L’autarchia caratterizzò l’economia fascista in particolare dal 1936 al 1940. Nata inizialmente come misura provvisoria mirata ad ammortizzare le misure sanzionatorie adottate dalla Società delle Nazioni contro l’Italia a seguito dell’invasione dell’Etiopia, ha finito per divenire una presenza stabile nell’economia del regime. A seguito dell’autarchia, dovevano essere ridotte al minimo indispensabile le importazioni e sostituite con produzioni interne; le esportazioni andavano invece incentivate, sempre al fine di diminuire il grave disavanzo della bilancia commerciale. La politica autarchica non fu però generalmente all’altezza delle aspettative. Ciò fu dovuto essenzialmente alla scarsa disponibilità di materie prime del Paese ma, soprattutto, alla dipendenza energetica dall’estero, una realtà che fu forse sottovalutata dal regime e che fu la causa principale del mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dai piani autarchici. La produzione prefissata da tali piani per ogni settore produttivo non raggiunse le soglie previste altresì per il calo della domanda sia estera che interna. Non migliorò la situazione la campagna africana tanto cara al Duce, che si rivelò una conquista tutt’altro che conveniente, dal punto di vista delle materie prime, del problema energetico e del miglioramento della bilancia commerciale. Nonostante la perseveranza con cui il regime perseguì l’obiettivo dell’autosufficienza economica, le misure intraprese non furono sufficienti o adeguate. Spesso la produzione all’interno costava molto di più che acquistarla all’estero ed inoltre tale politica provocava, come ben si può immaginare, ritorsioni da parte dei Paesi che esportavano in Italia. Anche sul piano interno non mancò il generale malcontento del popolo dovuto alla mancanza di beni che prima venivano importati: inoltre il consumo pro-capite era ridotto al minimo della

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Informazioni tesi

  Autore: Gessica Castellino
  Tipo: Laurea I ciclo (triennale)
  Anno: 2007-08
  Università: Università degli Studi di Torino
  Facoltà: Giurisprudenza
  Corso: Diritto ed economia per le imprese
  Relatore: Fiorenzo Mornati
  Lingua: Italiano
  Num. pagine: 59

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Parole chiave

accordi clearing
agricoltura nel fascismo
anni '30
autarchia
campagna africana
commercio estero
controsanzioni
crisi 29
economia fascista
fascismo
guerra d'etiopia
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