2 
 
strutturare il percetto attraverso l’impiego di alcune leggi percettive appartenenti 
al soggetto e non desumibili dall'ambiente. 
   Attraverso i principi di somiglianza, vicinanza, movimento comune, chiusura, e 
buona forma, individuati per la prima volta da Max Wertheimer
2
, la 
Gestaltpsychologie ha dimostrato che un campo percettivo si segmenta in modo 
tale che ne risultano unità ed oggetti percettivi il più possibile equilibrati, 
armonici e costituiti da parti che si appartengono e che stanno bene insieme. 
   In merito a ciò, la Gestaltpsychologie ha parlato di vere e proprie qualità 
formali
3
 della realtà percettiva, intendendo affermare che l’attività percettiva del 
soggetto tende ad organizzare la realtà percepita secondo qualità strutturali,  di 
movimento, di causalità, ed espressive
4
, definite  dai gestaltisti  fisiognomiche
5
.  
L’individuazione delle qualità fisiognomiche nella realtà percepita, permette di 
effettuare un interessante collegamento tra la dimensione emotiva e la percezione 
facendo riferimento alla possibilità di regolare direttamente le emozioni 
attraverso la percezione di tali qualità. Derivate da particolari rapporti strutturali 
degli stimoli percepiti, le qualità fisiognomiche, nella prospettiva gestaltista, 
generano delle risposte emotive automatiche, non implicanti la valutazione dello 
stimolo, o la tendenza ad associare l’espressione emotiva percepita ad uno stato 
interiore attraverso un processo inferenziale.
6
  
L’individuazione delle qualità fisiognomiche nel volto umano rendono, ad 
esempio, possibile l’accesso diretto all’umore di una persona, e la comprensione 
di alcuni aspetti salienti della sua personalità attraverso precisi rapporti strutturali 
tra gli elementi del volto che vengono percepiti direttamente. 
                                                          
2
 Max Wertheimer (1180-1943).Psicologo fondatore della Gestaltpsycologie. Nel 1912 pubblicò 
l’articolo “Experimentelle Studien über das Sehen von Bewegung”, considerato come la prima 
pubblicazione in cui compare l’impostazione teorica della Gestalt. Wertheimer descriveva la 
percezione del movimento fenomenico o fenomeno φ, inaugurando una metodologia definita come 
fenomenologia sperimentale. Grazie all’applicazione di tale metodo, la Gestalt pervenne alla 
concezione secondo la quale l’esperienza diretta è fin dall’inizio organizzata in una totalità di cui 
si devono indicare le leggi organizzative. Wertheimer ha dunque così individuato i principi di 
unificazione formale che consentivano di spiegare in che modo si organizza la realtà fenomenica.  
3
 Cfr. Capitolo uno della presente tesi. 
4
 Cfr. Capitolo uno della presente tesi. 
5
 Cfr. Capitolo uno della presente tesi. 
  
 
3 
 
   La presenza di meccanismi percettivi non mediati da processi cognitivi, che 
permettono dunque di riconoscere immediatamente le emozioni altrui, attivando 
delle risposte comportamentali automatiche, è stata attestata anche da alcuni studi 
di psicologia evolutiva
7
, che hanno infatti dimostrato che il bambino, già nel 
primo anno di vita, è in grado di riconoscere l’espressione del volto materno, 
relazionandosi ad esso in modo automatico, attraverso risposte mimiche 
immediate. 
   Il contributo degli studi gestaltisti sull’espressione riconosce che le reazioni agli 
stimoli espressivi non sono presenti soltanto come risposta alla fruizione dei volti 
o del corpo dell'uomo, ma sono anche il risultato della percezione di oggetti 
inanimati, dotati anch’essi di qualità fisiognomiche: quando un fulmine, ad 
esempio, squarcia un cielo nuvoloso durante un temporale, è possibile che in noi 
esso eserciti un'impressione di aggressività, realizzata non sulla base della nostra 
conoscenza della natura fisica dell'evento in questione, ma per la presenza delle 
qualità espressive che ci colpiscono direttamente. 
L’individuazione delle qualità fisiognomiche negli oggetti inanimati ha permesso 
alla Gestaltpsychologie di parlare di arte, giacché, come rileva Arnheim (1966), 
l’arte sembra presentare stimoli particolarmente espressivi, utilizzando in 
abbondanza le qualità fisiognomiche per suscitare impressioni emotive nei suoi 
fruitori. 
Un’interessante questione è nata proprio dalla chiarificazione della natura delle 
impressioni suscitate dalla fruizione dell’opera d’arte, e dunque dall’analisi 
dell’esperienza estetica: la teoria gestaltista entra in aperta polemica con le teorie 
classiche dell’espressione, che rifiutano infatti l’esistenza di qualità 
fisiognomiche nella natura inanimata e ricorrono ai concetti di empatia e di 
proiezione per spiegare l’animazione della realtà priva di vita.
8
 
                                                                                                                                                               
6
 Si inserisce, a questo proposito, la critica che la teoria gestaltista ha mosso nei confronti della 
fisiognomica, presente nel capitolo tre della presente tesi. 
7
 Vedi il modello intersoggettivo di Trevarthen, o il fenomeno del contagio emotivo di Wallon, 
trattati in modo esaustivo nel capitolo quattro della presente tesi. 
8
 Cfr. Capitolo tre della presente tesi. 
  
 
4 
 
 Come rileva Carrol C. Pratt, nell’Introduzione al lavoro di Köhler Evoluzione e 
compiti della psicologia della forma (1969), la dottrina dell’empatia estetica, 
elaborata per la prima volta da Theodor Lipps, e ripresa da George Santayana
9
, 
riconosce l’emotività nella realtà inanimata unicamente a seguito della tendenza 
umana ad immedesimarsi nella realtà percepita, proiettandovi sentimenti e 
sensazioni proprie: quando una persona guarda, ad esempio, delle colonne in un 
edificio, secondo la visione lippsiana, riconosce, attraverso la proiezione dei suoi 
sentimenti cinestesici sulle colonne, il peso subito dalle colonne e il senso di 
oppressione che ne deriva. La dottrina dell’empatia negli oggetti inanimati, in 
questo senso, sembrerebbe dunque ignorare totalmente il fatto che l’espressione 
trae la sua origine dal pattern percepito, essendo vista infatti unicamente un 
riflesso dei sentimenti umani  proiettati su di essa. 
Arnheim, in Arte e percezione visiva (1954), parlando della polemica avviata dalla 
Gestaltpsychologie nei confronti delle dottrine proiettive, risolve la questione 
proprio attraverso l’individuazione delle qualità fisiognomiche, che permettono 
infatti di comprendere come l’espressione emotiva nelle opere d’arte, tragga la 
sua origine dal pattern percepito, e non sia il risultato di un confronto 
dell’oggetto-stimolo con uno stato d’animo umano: “ […] Nelle grandi opere 
d’arte il significato più profondo è trasmesso agli occhi con poderosa 
immediatezza, dalle caratteristiche percettive dello schema compositivo.”
10
 
In questo senso, dal momento che l’espressione emotiva è una caratteristica 
intrinseca del percetto, così come la forma e il colore, si può concludere che essa è 
un contenuto primario della visione, tanto che, cogliendo attraverso l’espressione 
degli oggetti della natura ritratti dall’opera d’arte tutti gli elementi di un 
determinato stimolo e i loro precisi rapporti strutturali, l’individuo può reagire in 
modo appropriato all’ambiente in cui vive, attribuendo un ordine ed un significato 
ad ogni stimolo che percepisce e relazionandosi ad esso nella giusta misura. 
L’arte, in questa prospettiva, come rileva Arnheim (1954), attraverso le qualità 
fisiognomiche, offre la possibilità all’individuo che la fruisce di pervenire a 
                                                          
9
 Cfr. Capitolo tre della presente tesi. 
  
 
5 
 
sentimenti, alle intenzioni e agli stati interiori, non solo degli uomini, ma anche 
della realtà inanimata, in modo tale che questi possa relazionarsi ad essa nel modo 
più  appropriato possibile attraverso la regolazione delle proprie risposte emotive 
ed istintive. 
11
 
In questo senso, anche l’arte, così come tutte le forme di percezione può 
contribuire a regolare le proprie emozioni, attraverso la presentazione di stimoli 
particolarmente espressivi, a cui il fruitore, anche se non esperto, può rispondere 
in modo automatico, sulla base della sola organizzazione percettiva, senza 
ricorrere a processi cognitivi e valutativi.  
                                                                                                                                                               
10
 R. Arnheim (1954), Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano, 1971, p. 362. 
11
 Cfr. Capitolo quattro della presente tesi. 
  
 
6 
 
 
1. La percezione: le qualità fisiognomiche nella 
Gestaltpsychologie. 
 
 
1.1.    La nascita delle qualità fisiognomiche e l’approccio della  
        Gestalttheorie. 
 
   Per qualità fisiognomiche si intendono quegli aspetti della realtà animata e 
inanimata, che permettono di pervenire direttamente ad uno stato emotivo, 
attraverso un semplice atto percettivo. 
   Secondo alcuni studi di estetica queste qualità sono particolarmente presenti 
nelle produzioni artistiche, che forniscono, infatti, alcuni aspetti come le buone 
proporzioni, l’armonia dei colori e delle forme, l’espressione efficace di stati 
emotivi, in modo del tutto intuitivo.
12
   
Come rileva Arnheim (1958), grazie alla presenza delle qualità fisiognomiche 
nell’arte è possibile trovare un punto di tangenza tra il sentimento e la dimensione 
artistica, dato che in molti scritti d’arte, si è fatto spesso riferimento a termini 
come emozione e sentimento, utilizzati per descrivere il contenuto e la funzione 
dell’attività artistica. Esiste, infatti, uno stato emotivo che è strettamente connesso 
alla dimensione artistica: l’emozione che è provata innanzi ad un’opera d’arte, sia 
durante la sua fruizione, sia nella sua produzione, viene definita, come è 
sottolineato dalle teorie estetiche contemporanee, emozione estetica e si riferisce 
ad un sentimento che si prova innanzi alla contemplazione della bellezza e 
dell’armonia che sono elementi solitamente peculiari di un’opera d’arte.
13
 
                                                          
12
 R. Arnheim (1966), op. cit., p. 428: “[…] Non si tratta della percezione di aspetti statici 
riguardanti la forma, la grandezza, la tonalità cromatica o l’altezza sonora, che possono essere 
misurati con qualche genere di scala, bensì quella riguardante le tensioni orientate che sono 
trasmesse da questi stessi stimoli.[…] Il punto fondamentale per ciò che riguarda la presente 
discussione è che esse sono percepite immediatamente, proprio come la dimensione, la quantità o 
la localizzazione.” 
13
 R. Arnheim (1966), op. cit., p. 376: “ Tra le ragioni per le quali parole come emozione e 
sentimento vengono scelte di frequente per descrivere la produzione e il recepimento dell’arte, vi 
sono le seguenti tre: 1) Si dice che l’arte è fatta e ricercata perché dà piacere, ed il piacere viene 
descritto come emozione. 2) Si dice che gli aspetti particolari della realtà colti e riprodotti 
dall’opera d’arte non siano accertabili né alla percezione sensoria, né all’intelletto, ma ad una terza 
capacità conoscitiva, detta sentimento. 3) Gli aspetti della realtà inerenti all’opera d’arte non solo 
  
 
7 
 
   E’ opportuno, tuttavia, a questo punto, fare una precisazione molto importante 
per comprendere meglio in che modo l’arte e l’emozione possono essere legate 
insieme: nel passato si credeva che l’emozione fosse suscitata dal contenuto 
dell’opera d’arte, mentre dagli anni Cinquanta, gli studi di Arnheim, hanno 
contribuito a diffondere l’idea che l’emozione è connessa all’arte non per il suo 
contenuto, quanto piuttosto perché essa presenta schemi sensoriali, immagini e 
pensieri come forme che hanno la capacità di trasmettere qualcos’altro.
14
 L’arte si 
occupa infatti dell’espressione esterna di stati mentali che vengono classificati 
come emozioni, e che consistono in patterns visibili o udibili, come ad esempio 
un volto umano o un pezzo musicale, che determinano reazioni emotive nei 
fruitori. Da ciò si può concludere che l’arte crea una risposta emotiva
15
, non tanto 
per il suo contenuto, quanto piuttosto perché fornisce uno stimolo sensoriale 
appropriato a determinate risposte di carattere emotivo. 
Se l’emozione, dunque, come sottolinea Antonio Damasio (1999), è “l’insieme 
delle modificazioni corporee che vengono innescate durante un atto percettivo”, 
allora si può concludere che l’arte suscita l’emozione come qualunque altro 
processo che implichi la percezione di uno stimolo.
16
 
   E’ tuttavia opportuno sottolineare che all’interno di tutto l’ambito della 
percezione, l’arte costituisce un campo privilegiato per studiare i fenomeni 
emotivi: Keith Oatley (1992), ad esempio, sottolinea che l’arte costituisce un 
ambito particolarmente adatto per investigare le emozioni, perché ha il merito di 
rendere più esplicite tutte le intuizioni umane, riuscendo a cogliere, quindi, in 
modo più immediato la natura del fenomeno emotivo.
17
 
                                                                                                                                                               
vengono percepiti come informazione concreta, ma risvegliano gli stati mentali che vengono 
definiti emozioni o sentimenti.” 
14
 R. Arnheim, ivi, pp. 382-383. 
15
 Cfr. a questo proposito la nuova definizione di emozione fornita da Antonio Damasio (1999) 
Emozione e coscienza, Adelphi, Milano, 2000, p.70: “Le emozioni sono complicate collezioni di 
risposte chimiche e neurali, che formano una configurazione[…] Tutte le emozioni usano il corpo 
come teatro (milieu interno, sistemi viscerale, vestibolare e muscolo-scheletrico) […] la varietà di 
risposte emotive è responsabile dei profondi cambiamenti del paesaggio del corpo e del cervello”. 
Per un approfondimento di tale argomento, si rimanda al cap. 2 della presente tesi. 
16
 R. Arnheim (1958), L’emozione e il sentimento nella psicologia dell’arte, in Documenti sulla 
psicologia della forma, a cura di M. Henle, Bompiani, Milano, 1970, p. 426. 
17
 K. Oatley (1992), Psicologia ed emozioni, Il Mulino, Bologna, 1997, p.158. 
  
 
8 
 
   Seguendo le considerazioni di Oatley, è dunque possibile concludere, che l’arte 
presenta stimoli che forniscono particolari condizioni elicitanti: gli oggetti artistici 
vengono reputati adatti a suscitare i sentimenti e le emozioni nei soggetti che 
entrano a contatto con essi. 
   Queste condizioni elicitanti, come ha rilevato Renzo Canestrari (1983), sono 
definite qualità estetiche o espressive, perché alludono all’espressione di uno 
stato interno emotivo o mentale, presente sia in oggetti inanimati, sia in esseri 
viventi. 
Analizzando il termine espressione, Galimberti fornisce la seguente definizione, 
utile per comprendere la natura delle qualità espressive: “L’espressione è il modo 
di apparire di un essere vivente nella sua condotta e nella sua forma fisica, ad un 
altro essere vivente.” (1992); in tale senso gli oggetti sembrano fornire 
un’espressione diretta attraverso qualità che sono collocate nell’oggetto e che non 
dipendono affatto da ciò che l’osservatore sa intorno alla natura fisica degli 
oggetti e degli eventi percepiti.
18
 
   Le qualità espressive, sono state per lungo tempo oggetto d’interesse da parte di 
molti studiosi che hanno fornito delle definizioni assai differenti. 
Il primo che aveva parlato di qualità espressive era stato Heinz Werner
19
, 
psicologo viennese, che si era occupato della psicologia dello sviluppo infantile, 
con particolare interesse allo sviluppo della percezione.  
   Werner concepiva il mondo psichico infantile come indifferenziato: il bambino 
si comporta, infatti, secondo l’autore, in modo autistico ed egocentrico, tanto che 
concepisce il mondo circostante come indifferenziato rispetto alla sua realtà 
interiore. 
                                                          
18
 R. Arnheim (1966), op. cit., p.79. 
19
 Heinz Werner, (1890-1964). Teorico della psicologia dello sviluppo psichico infantile, ha 
insegnato a Monaco e ad Amburgo. Emigrato negli Stati Uniti, a seguito di persecuzioni razziali 
nel 1933, è diventato professore di psicologia alla Clark University, formando intorno a sé un 
gruppo di studiosi autorevoli nel campo della psicologia dei processi cognitivi e dello sviluppo. La 
sua opera principale è Eiführung in die Entwicklungspsychologie, pubblicata nel 1928.Werner qui 
elabora una concezione dello sviluppo psichico del bambino, che comprende un insieme di 
principi generali validi per confrontare i processi psichici infantili con quelli degli animali, degli 
uomini primitivi e degli individui affetti da disturbi psichici e poter quindi individuare delle leggi 
di sviluppo e di organizzazione comuni.  
  
 
9 
 
 Secondo Werner, i processi affettivi e cognitivi, in un primo momento, appaiono 
dunque strettamente connessi alla realtà esterna e quindi tendono a fondersi con le 
funzioni percettive, dando luogo così alle percezioni fisiognomiche, per le quali 
gli oggetti percepiti assumono una connotazione affettiva.  
Le percezioni fisiognomiche sono quindi il risultato di un processo di 
dinamizzazione affettiva della realtà esterna, e Werner ritiene che esse siano la 
causa dell’animismo
20
 infantile, ossia quella tendenza di un soggetto a considerare 
la realtà inanimata come dotata di volontà, d’intenzionalità e di capacità emotive.  
In tale prospettiva, lo sviluppo mentale consisterebbe in un processo di 
differenziazione tra la mente del bambino e il mondo esterno: esso determina il 
distacco dell’Io dalla realtà fisica e il progressivo articolarsi delle funzioni mentali 
secondo un’organizzazione gerarchica. 
   Werner, in Comparative Psychology of mental development (1948), sostiene che      
“Fra i popoli primitivi, come pure fra i bambini, si constata un tipo di pensiero che 
in modo molto appropriato può essere definito come pensiero concreto”. La 
caratteristica dei bambini e dei primitivi è dunque l’inscindibilità dell’attività 
concettuale e dei processi immaginativi e percettivo-motori. Soltanto la nascita 
graduale del pensiero astratto permette il superamento di quest’unione. 
Werner conclude però, che anche quando questo processo di differenziazione è 
ultimato, noi non giungiamo mai ad una completa autonomia delle funzioni 
psichiche inferiori e di quelle superiori: i processi psichici inferiori rimangono 
subordinati a quelli superiori, nel senso che il pensiero astratto non può 
assolutamente fare a meno del materiale fornito dalla percezione.  
Il pensiero assume infatti una funzione di selezione dei dati senso-motori, 
percettivi ed immaginativi: tramite interpretazioni e giudizi, il pensiero opera 
dunque una mediazione nella molteplicità delle impressioni sensoriali, che 
risultano così ordinate e organizzate secondo una modalità più precisa e 
determinata.
21
 
                                                          
20
 Cfr. a questo proposito il paragrafo 1.3. del presente capitolo. 
21
 La posizione di Werner è definita teoria organismica, termine che vuole indicare la stretta 
interdipendenza e integrazione delle funzioni dell’organismo, sensoriali, cognitive e motorie, nello 
  
 
10 
 
   Le posizioni di Werner nei confronti delle qualità fisiognomiche sollevano 
alcune questioni di estrema importanza, come il problema concernente alla 
percezione della realtà e quindi la differenziazione tra una realtà psichica e una 
fisica, che è chiamata in causa nel momento in cui percepiamo il mondo esterno: 
le qualità fisiognomiche, secondo Werner, sono infatti viste come elementi che 
nascono dalla confusione tra una realtà fisica ed una interiore ed emotiva.  
   Il problema dei rapporti tra il mondo fisico e quello interiore è stato oggetto di 
riflessione anche per la Gestaltpsychologie, che ha risolto la questione attuando 
una distinzione tra la realtà fisica e quella fenomenica.  
All’interno di queste riflessioni i principali esponenti della Gestaltpsychologie 
hanno affrontato anche il problema delle qualità estetiche, offrendo un contributo 
assai importante, anche se non troppo approfondito, alla psicologia dell’arte.
22
 
   Il contributo che la Gestalttheorie offre alla psicologia dell’arte e all’estetica in 
generale, proviene dallo studio della percezione, che ha portato molti studiosi che 
hanno aderito a questa scuola ad approfondire alcuni concetti, innescando un 
processo di superamento delle concezioni del pensiero tradizionale. 
   Il primo concetto che è stato sottoposto ad una critica severa è stato proprio 
quello di percezione, che, nell’ottica tradizionale era concepita come un aggregato 
di sensazioni.
23
 
   Il primo studioso che si è contrapposto ad una tale visione, e che per questo 
motivo è indicato da molti come uno dei principali precursori della 
Gestaltpsychologie, è stato Christian von Ehrenfels
24
, che, nell’articolo Über 
                                                                                                                                                               
sviluppo ontogenetico e nella loro interazione con l’ambiente. La teoria organismica si basa perciò 
sulla concezione che la mente umana vada incontro ad una crescente centralizzazione gerarchica 
resa possibile da funzioni ordinatrici superiori, che danno forma e direzione alle attività inferiori. 
22
 Si legga in proposito ciò che Carrol C. Pratt dice nell’introduzione di Evoluzioni e compiti della 
psicologia della forma, Armando, Roma, 1971, cit., p. 34: “E’ un peccato che nessuno dei membri 
del triumvirato della Gestalt abbia scritto un trattato particolare sulla filosofia e sulla psicologia 
dell’arte. Un articolo di Koffka fu pubblicato nel Symposium of art (atti dell’incontro tenutosi a 
Bryn Mawr, 1940), ma molte questioni importanti ricevettero solo una risposta parziale[…]”. 
23
 Esponente principale di questa visione era stato Edward B.Titchener, allievo di W. Wundt a 
Lipsia e successivamente professore alla Cornell University. Titchener è stato uno dei divulgatori 
del metodo introspezionista. Egli considerava la percezione come un conglomerato di sensazioni 
che ottenevano un significato unicamente dall’esperienza passata. 
24
 Christian von Ehrenfels (1859-1932). Allievo di Brentano a Vienna, ha insegnato a Graz, 
Vienna e infine a Praga. Come allievo di Brentano, von Ehrenfels è considerato aderente alla 
  
 
11 
 
Getaltqualitäten (1890), ha precisato infatti che la forma non è data dalla semplice 
somma delle parti, ma è una vera e propria qualità formale, ossia un elemento 
terzo che si aggiunge alla somma centrale delle singole sensazioni periferiche. 
Von Ehrenfels offre un esempio di qualità formale in una melodia, che non può 
essere mai considerata un semplice aggregato delle singole note costitutive, ma 
qualcosa di diverso.  
  Natale Stucchi (1984), nell’introduzione all’edizione italiana di Über 
Gestaltqualitäten,
25
 parla delle qualità formali in questi termini: “[…] Da un 
complesso di note si può animare una melodia con caratteristiche del tutto diverse 
dagli elementi che la compongono […]”. Una melodia suscita quindi sensazioni 
che non sono semplici ricordi o immagini dei singoli elementi, ma forme sonore, 
brevi e determinate, che risaltano su uno sfondo emotivo non analizzato.
 26
 
Le forme sostituiscono quindi l’insieme delle singole parti, e sono colte con 
immediatezza: esse sono universali nel reale, cioè costituiscono un concetto 
esplicativo con cui intendere la realtà, anche se sono indipendenti dalla 
percezione.
27
 
Le qualità formali permettono di comprendere come l’esperienza percettiva non 
sia dunque una semplice giustapposizione dei dati sensoriali, ma sia costituita da 
elementi che si aggiungono agli aggregati delle singole sensazioni, come un 
qualcosa di diverso. 
   La trattazione di von Ehrenfels era stata accettata con entusiasmo dagli 
psicologi della scuola austriaca, che infatti avevano iniziato a ritenere valida 
l’esistenza in sé delle qualità formali.
28
 Tuttavia, se le qualità formali non 
                                                                                                                                                               
prospettiva fenomenologica, e quindi è indicato come precursore della Gestaltpsychologie. 
Luciano Mecacci sottolinea che “In effetti nelle ricostruzioni storiche della Gestalt, […], si è 
sempre considerato l’articolo di von Ehrenfels, Über Gestaltqualitäten (1890), come il suo 
precursore”. (Da Storia della psicologia del Novecento, Laterza, Roma, 1992, p.39). 
25
 Forma ed esperienza. Antologia dei classici della percezione, a cura di F.Funari, N. Stucchi, 
D.Varin, Franco Angeli Milano, 1984, p. 37. 
26
 C. von Ehrenfels, Le qualità della forma, in Rivoluzione della psicologia contemporanea, 
antologia e fonti, a cura di G. Mucciarelli, Clueb, Bologna , 1979, tr. it. dell’articolo di von 
Ehrenfels, Über gestaltqualitäten, 1890, p. 380. 
27
F. Funari, N. Stucchi, D. Varin (1984), op. cit, p. 37. 
28
 Cfr a questo proposito le posizioni di G. Kanizsa in Idee-guida della Gestalt nello studio della 
percezione in L’eredità della psicologia della Gestalt, a cura di N. Caramelli e G. Kanizsa, Il 
  
 
12 
 
costituivano nella loro reale esistenza, oggetto di dibattito per la scuola austriaca, 
un tema di grande discussione era stata invece l’interpretazione della loro genesi.  
   Von Ehrenfels pensava che le qualità formali derivassero dall’opera dell’attività 
psichica che riusciva ad integrare, tramite la fantasia, i dati sensoriali e ad 
analizzarli, grazie all’intelletto, nei loro rapporti di somiglianza e semplicità.  
   Le posizioni di von Ehrenfels sono state riprese da Meinong
29
ed elaborate nella 
teoria degli oggetti, secondo la quale l’oggetto è sia un contenuto mentale, ma 
può anche corrispondere ad una realtà esterna; quest’ultimo prende il nome di 
contenuto fondante, e tramite un’attività di produzione e fondazione, origina gli 
oggetti più complessi, ossia quelli che costituiscono il contenuto mentale, che 
vengono dunque chiamati contenuti fondati. 
   Le posizioni di Meinong hanno aperto una riflessione che ha delineato, in modo 
assai preciso, l’indirizzo psicologico della Scuola di Graz: seguendo la teoria degli 
oggetti, infatti, alcuni colleghi di Meinong, hanno iniziato a parlare di un 
intervento attivo della mente nei processi sensoriali, che si trovano così ad essere 
organizzati in una forma grazie ad essa. 
                                                                                                                                                               
Mulino, Bologna, 1988, p. 19: “Le qualità formali non presuppongono l’affermazione che nel tutto 
non vi siano le parti, ma equivalgono a dire che le parti non possono essere scomposte 
arbitrariamente e che esse sono reali parti di un tutto così come appaiono alla percezione”. 
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 Alexius  Meinong (1853-1920). Allievo di Brentano a Vienna, si è trasferito a Graz, dove ha 
fondato il primo laboratorio austriaco di psicologia. 
  
 
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   Non tutti gli esponenti della Scuola di Graz hanno accettato tuttavia le posizioni 
di Meinong: un esempio è fornito da Vittorio Benussi
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, che si è distanziato da 
Meinong a seguito dello studio di alcune illusioni ottico-geometriche. 
Benussi aveva riscontrato, infatti, che in presenza di stimoli costanti si può avere 
una plurivocità formale, cioè una varietà di percezione di forme.  
Le plurivocità formali sono definite dall’autore rappresentazioni d’origine 
asensoriale, perché risultano essere sganciate dai dati della realtà sensoriale e 
dipendenti invece dall’attività della mente, che opera in modo più o meno 
cosciente. Oltre alle rappresentazioni asensoriali, ve ne sono, tuttavia, alcune 
definite sensoriali, cioè rappresentazioni che non mutano se i dati sensoriali sono 
costanti.  
Dalla distinzione di rappresentazioni asensoriali e sensoriali, Benussi dunque 
conclude che la genesi della percezione della forma non è da imputare unicamente 
all’intervento di processi psichici superiori, come voleva Meinong, ma è 
necessario postulare più processi di natura psichica. 
   Alla fine del primo decennio del Novecento, il dibattito sul rapporto tra 
percezione, sensazione, dati sensoriali e qualità formali si era sviluppato al punto 
tale da far nascere la nuova impostazione di pensiero, che prende il nome di Teoria 
della forma. 
   L’atto di nascita della Gestaltpsychologie coincide con la pubblicazione nel 
1912, dell’articolo Experimentelle Studien über das Sehen von Bewegung, in cui 
compaiono per la prima volta le ricerche sperimentali di Max Wertheimer sulla 
visione del movimento.  
                                                          
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 Vittorio Benussi (1878-1927). Psicologo sperimentale, si è laureato in filosofia sotto la guida di 
Meinong, ottenendo il dottorato di psicologia nel 1905. A Graz, Benussi ha lavorato nel 
laboratorio di Meinong. Poiché si rifiutava di rinunciare alla nazionalità italiana, ha ottenuto 
l’insegnamento di Psicologia sperimentale solo nel 1918 a Graz. Trasferitosi a Padova nel 1919, è 
diventato nel 1923 professore ordinario di Psicologia sperimentale nella facoltà di Lettere e 
Filosofia di Padova. Sofferente di crisi depressive, si è suicidato nel 1927.  
I suoi studi possono essere suddivisi nel seguente modo: dopo un primo periodo dedicato ai temi 
delle illusioni ottico-geometriche, della percezione delle gestalten  e della percezione del 
movimento, Benussi si è occupato dei fenomeni della suggestione ipnotica e di psicoanalisi. Da 
Benussi hanno avuto origine la scuola psicologica di Padova e l’interesse di Musatti per la 
percezione e la psicoanalisi.