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Capitolo Uno - Apprendimento collaborativo ed E-Learning 
 
 
1.1 L'apprendimento in rete 
 
La didattica d'aula di tipo tradizionale andrà sempre più intesa come un momento per avviare un 
percorso di apprendimento che, sotto la completa responsabilità del singolo, durerà anche a valle nel 
percorso di studi. Questo implica la necessità di una formazione duratura che sia in grado di 
sfruttare le potenzialità offerte delle tecnologie, in modo da poter accedere, sia a percorsi formativi 
personalizzati sia a comunità professionali che apprendono collaborativamente [Slavin, 1990; 
Trentin, 2001a]. In questo caso il supporto delle tecnologie di rete assume un ruolo importante, 
soprattutto quando associate alle metodiche della gestione della conoscenza e all'organizzazione di 
comunità di pratica entro cui favorire processi di apprendimento alla pari. Si parla, in questo caso, 
di comunità di apprendimento autogestite dove la crescita professionale si basa sulla condivisione 
delle esperienze, sull'individuazione delle migliori pratiche e sull'aiuto reciproco nell'affrontare i 
problemi quotidiani del proprio lavoro. Per questa ragione si preferisce parlare di apprendimento 
mutuato (o reciproco) per distinguerlo dalle altre strategie di apprendimento collaborativo, quelle 
dette direttive, dove cioè qualcuno (i tutor e/o i docenti) ha la direzione del processo formativo. 
 
L'apprendimento collaborativo in rete 
 
La rete è vista come: 
− ambiente dove si sviluppa l'attività di apprendimento (formazione in rete) o parte di essa 
(mista o integrata), sotto la gestione di  un erogatore del corso; 
− strumento in grado di favorire l'avvio delle cosiddette comunità di pratica, che mirino allo 
sviluppo di nuovi apprendimenti basati su processi collaborativi “autogestiti”. 
 
1.2 Formazione in rete 
 
La formazione in rete si sviluppa in un'alternanza fra momenti di studio individuale e interazione a 
distanza. Un approccio, quindi, che richiama aspetti sia della formazione a distanza di tipo 
tradizionale sia della formazione in presenza, più centrata sull'interazione fra tutti i partecipanti. In 
rete i partecipanti sono organizzati in vere e proprie comunità di apprendimento che, oltre a cercare 
di ridurre l'isolamento del singolo, cercano di valorizzare le conoscenze pregresse per favorire la 
crescita collettiva del gruppo [Harasim, 1990]. Parliamo di una formazione che ben si adatta a un
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adulto dove la condivisione dell'esperienza personale può portare un vantaggio alquanto importante 
per l'intero processo formativo. All'interno di gruppi virtuali la comunicazione è, in genere, gestita 
tramite la computer conference [Berge, 1995] e quindi sull'invio e la ricezione di messaggi 
elettronici organizzati per aree tematiche. Ove possibile, questa tipo di tecnologia viene integrata 
con la video-conferenza [Kaye, 1994], costosa ma che assicura un’elevata qualità di comunicazione. 
La strategia educativa maggiormente utilizzata è quella dell'apprendimento collaborativo, favorito 
da uno staff di tutor che di volta in volta assumono il ruolo di moderatori di discussione, facilitatori 
di attività esercitative, organizzatori di lavoro di gruppo, ecc. I corsi di formazione in rete si 
sviluppano in un intervallo di tempo più lungo rispetto a quello dei corsi tradizionali implicando un 
processo fortemente strutturato e articolato che, comunque, porta risultati qualitativamente molto 
elevati. 
 
Formazione mista (presenza/distanza) 
 
Le strategie di formazione in rete non sempre sono proponibili e questo per diverse ragioni, infatti, 
esistono contenuti che poco si prestano a essere trattati e fruiti via rete, e inoltre, i destinatari 
dell'azione formativa potrebbero adattarsi con difficoltà (o affatto) alle modalità di comunicazione 
tipiche della CMC, basate prevalentemente sull'interazione in testo scritto. Da qui nasce l'esigenza 
di strategie miste (presenza/distanza) articolate sulla complementarietà di momenti formativi in 
presenza e di attività in rete [Benigno e Trentin, 1998], in altre parole interventi che si avvalgono 
delle caratteristiche della formazione in presenza e di quella in rete. La formazione mista prevede 
un processo ciclico articolato in tre fasi: 
 
• un intervento in presenza di tipo tradizionale (lezione frontale, laboratorio, lavoro di gruppo, 
ecc.); 
• una fase di apprendimento individuale (studio di materiale strutturato e non); 
• un momento di attività in rete centrato su discussioni, esercitazioni, produzioni collaborative 
ecc. 
 
Formazione mutuata 
 
Finora abbiamo parlato di un apprendimento collaborativo che possiamo definire “direttivo”, dove 
cioè qualcuno gestisce l'intervento formativo proponendo attività collaborative. Però esiste un altro 
modo di intendere la collaborazione come nucleo fondante dell'apprendimento fra individui, quello 
cioè che si basa sulla condivisione delle esperienze, sull'individuazione delle migliori pratiche e 
sull'aiuto reciproco nell'affrontare i problemi quotidiani della propria professione. Possiamo definire
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questo tipo di apprendimento collaborativo come “mutuato” per distinguerlo da quello che abbiamo 
definito prima come “direttivo”. Com’è possibile vedere i diversi approcci possono essere 
raggruppati in almeno quattro categorie: 
 
Apprendimento autonomo 
 
• Uso libero della rete per l'accesso a repertori di materiali non strutturati secondo un esplicito 
percorso formativo, analogamente a quanto si potrebbe fare andando in un’immensa 
biblioteca. 
• Uso di materiali didattici strutturati, pensati per essere fruiti in autoistruzione. 
 
Apprendimento assistito 
 
• Uso di materiali didattici strutturati per essere fruiti a distanza con un supporto anche 
minimo da parte dell'erogatore (ad esempio guidando il fruitore nell'uso dei materiali). 
• Uso di materiali didattici, non necessariamente strutturati in un vero e proprio corso auto-
istruzionale,  con assistenza di tutor e di docenti messi a disposizione dall'erogatore, alcune 
volte con funzione di gestori di eventi, quali brevi workshop/seminari in rete sui temi del 
corso. 
 
Apprendimento collaborativo 
  
• Uso di approcci misti (presenza/distanza) basati sull'alternanza e la complementarietà fra 
momenti formativi in presenza e attività in gruppo di apprendimento a distanza. 
• Uso di approcci “puri” alla formazione in rete centrati sulla forte interazione di tutte le 
componenti del processo (partecipanti, tutor, esperti). 
 
Apprendimento mutuato/reciproco 
 
• Attivazione di comunità di pratica professionali attraverso cui favorire processi di 
apprendimento alla pari, basati sulla condivisione di esperienze, conoscenze e migliori 
pratiche nell'ottica di una crescita collettiva dell'intero gruppo. 
 
Processo di apprendimento Orientato alla gestione di: Piattaforma di riferimento 
Autonomo E-content Content Management System 
Assistito Percorsi formativi Learning Management System
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Collaborativo Processi collaborativi CSCL System (Computer 
Supported 
Collaborative/Cooperative 
Learning System) 
Reciproco Conoscenza e buone pratiche Knowledge Management System 
 
Tab. 1.1 – Relazione fra processo di apprendimento, suo modello gestionale e relativa categoria di 
piattaforma tecnologica 
 
Dalla formazione “formale” alla formazione in “pillole” 
 
La necessità di acquisire conoscenze in tempi rapidi per venire in contro ad una specifica esigenza 
professionale, poco si concilia con i tempi di attuazione di un programma formativo di tipo 
“formale”, caratterizzato da una serie di fasi quali: 
 
• identificazione dei bisogni formativi; 
• progettazione didattica; 
• sviluppo di materiali didattici di supporto; 
• eventuale proposta di attività online basate su strategie di apprendimento collaborativo; 
• erogazione dell'intervento formativo 
 
Il tempo necessario allo sviluppo di queste fasi difficilmente soddisfa l'esigenza dell'organizzazione 
moderna di agire “just-in-time”, con un'azione formativa che interviene sul problema con estrema 
precisione. Inoltre solo piccole parti dei contenuti trattati negli interventi di tipo “formale” sono poi 
funzionali alla specifica esigenza di una data situazione. Negli ultimi tempi, nel settore aziendale, si 
richiede, sempre più, un intervento mirato basato sul problema che da vita a quello che possiamo 
definire “formazione in pillole”. Quindi sempre più frequentemente viene chiesto di offrire qualcosa 
che stia a cavallo fra una consulenza e un intervento formativo, di agire cioè su uno specifico 
problema, ma al tempo stesso dare competenze e conoscenze all'impresa in modo da renderla 
autonoma nel risolvere, in futuro, problemi simili. Ecco che si viene a creare una nuova esigenza, 
quella di persone capaci di agire da “mediatori della formazione” [Trentin, 2001b], capaci cioè di 
creare un ponte fra esigenza formativa e risorse in grado di risolverle. Nel settore del knowledge 
management (gestione della conoscenza) [Cortada e Woods, 1999] si parlerebbe di “facilitatore”, 
cioè chi funge da anello tra l'esigenza formativa di una data learning community (comunità di 
apprendimento) e chi ha o sa dov'è la conoscenza necessaria in grado di soddisfarla ovvero il 
knowledge manager (gestore della conoscenza). Il settore della gestione della conoscenza (KM) ha
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ispirato molte imprese e comuni gruppi d’individui che hanno dato vita ad un approccio 
collaborativo “a rete” che si basa su di una semplice ma nel contempo potente idea: creare comunità 
che affidino la loro crescita professionale su processi di apprendimento mutuato. Parliamo di un 
modo di apprendere alla pari basato sull'attivazione di un processo tanto efficace quanto semplice: 
 
• se ho un problema, provo a chiedere aiuto a chi probabilmente l’ha già affrontato 
(socializzazione del problema); 
• se mi viene suggerita la soluzione e la comprendo, imparo una cosa nuova che entrerà a far 
parte del mio bagaglio conoscitivo (socializzazione delle migliori pratiche); 
• se nessuno ha la soluzione, è probabile che ugualmente possa trovare alleati in rete per 
ricercarla e attraverso questa collaborazione, far crescere le competenze della comunità a cui 
appartengo e che ha deciso di auto-sostenersi (problem solving con lo scopo di accrescere la 
base di conoscenza condivisa tipica di quella comunità).  
 
Si tratta quindi di comunità basate su una “collaborazione reticolare” ma non per questo legate 
necessariamente all'esistenza di una rete telematica. Da quanto detto possiamo dedurre che le 
tecnologie di rete possono, invece, creare le condizioni per dare continuità e amplificare gli scambi 
comunicativi all'interno della comunità ottimizzando la circolazione delle informazioni, delle 
conoscenze e delle buone pratiche [Kimmerling, 1993]. Pensiamo, ad esempio, come la 
messaggistica elettronica consenta l'invio, in un sol colpo, di una richiesta di aiuto a un ampio 
pubblico. La tecnologia di rete quindi come potente alleato in una situazione in cui ci sia bisogno di 
mantenere i contatti oltre gli incontri in presenza.  Uno strumento in grado di ottimizzare la 
circolazione sia di informazioni e materiali sia di pareri, suggerimenti, conoscenze che derivano 
direttamente dall'esperienza del singolo. La tecnologia è una risorsa necessaria, ma non ancora 
sufficiente per l'effettiva operatività in rete di una comunità di pratica. Proviamo a chiarire 
quest'aspetto molto importante. Spesso si sente parlare di comunità virtuali di pratica, intendendo 
con questo gruppi di professionisti che si attivano e mantengono il loro contatti prevalentemente (se 
non esclusivamente) attraverso la comunicazione in rete. Ma una comunità di pratica, per 
raggiungere il massimo della sua espressione, è necessario che sia prima di tutto una comunità 
reale, basata sulla conoscenza “fisica” delle persone, sulla stima e fiducia reciproca e soprattutto 
sulla loro consapevolezza, disponibilità e capacità di identificarsi in un'unica entità: la comunità 
stessa. Ci sono comunque delle eccezioni, come, ad esempio, le comunità virtuali dei 
programmatori software, una che riesce ad aggregarsi e mantenere i collegamenti solo via rete. Ma 
tali comunità sono costituite da persone abituate all'uso di tecnologie e in grado di appurare in 
maniera oggettiva la bontà o meno del contributo di uno dei membri della comunità, come, ad
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esempio, una soluzione software funzionante o no e quindi decidere velocemente se utilizzarla o 
meno per un determinato problema professionale. Se volessimo estendere quest'approccio a settori 
diversi, dove è indispensabile fidarsi di un collega anche soltanto sulla fiducia o sulla parola, le 
condizioni a cui si accennava prima sono proprio quelle che possono garantire il reale 
funzionamento della comunità. 
 
1.3 Apprendimento mutuato e gestione della conoscenza 
 
La crescita endogena (azione formativa generata dall'interno) è strettamente legata alla capacità di 
un'impresa di creare nuova conoscenza, di divulgarla all'interno della sua struttura, di inglobarla nei 
propri prodotti e servizi [Nonaka e Takeuchi, 1995]. Ma come possiamo gestire la conoscenza? Il 
settore del KM offre strumenti e metodi per l'acquisizione di conoscenza dai singoli e per la sua 
successiva trasmissione nei confronti degli altri. Nel suddetto settore si fa riferimento a due tipi di 
conoscenza [Polanyi, 1975; Takeuchi, 1998; Nonaka e Konno, 1999]: la conoscenza esplicita e la 
conoscenza tacita. 
 
La conoscenza esplicita può essere espressa in parole e numeri ed erogata sotto forma di dati, 
formule scientifiche, descrizioni dei prodotti, manuali, principi fondamentali e via dicendo. Quindi 
facilmente trasmissibile in forme definite e organizzate.  
 
La conoscenza tacita è altamente personale e difficile da definire, il che rende difficile anche 
comunicarla e condividerla. Inoltre, essa è profondamente radicata nelle azioni e nelle esperienze di 
un individuo. Abbiamo due diverse dimensioni di conoscenza tacita [Takeuchi, 1998; Nonaka e 
Konno, 1999]. La prima è la dimensione tecnica, che comprende le abilità e “trucchi del mestiere”, 
difficili da definire e spesso compresi nel termine “know-how” (il sapere come). Le percezioni 
altamente soggettive, le intuizioni, le previsioni e le ispirazioni provenienti dall'esperienza corporea 
fanno parte di questa dimensione. La seconda è la dimensione cognitiva, che consiste nelle 
convinzioni, nelle sensazioni, negli ideali, nelle emozioni e nei modelli mentali così radicati in noi, 
da darli ormai per scontati.  
 
Creazione e/o gestione della conoscenza 
 
La conoscenza esplicita può facilmente essere gestita da un computer, comunicata con mezzi 
elettronici e immagazzinata in un database. Invece la natura soggettiva e intuitiva della conoscenza 
tacita rende difficile trattarla o trasmetterla in forme logiche e sistematiche. Per comunicare e 
distribuire la conoscenza tacita all'interno di un'organizzazione è necessario convertirla in parole e
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numeri comprensibili a tutti. Grazie a questa conversione – da tacita a esplicita – che la conoscenza 
d'impresa viene creata. Durante questo processo il ruolo della tecnologia cambia rispetto a quello 
che invece ha nella gestione della conoscenza esplicita attraverso basi di dati. Infatti, nella 
conversione da conoscenza tacita a esplicita, l'esigenza primaria è quella di far comunicare le 
persone e quindi un supporto efficace può essere offerto dalle tecnologie di rete orientate alla 
comunicazione interpersonale, soprattutto quelle che favoriscono l'interazione di gruppo. 
 
1.4 Le comunità di pratica 
 
Etienne Wenger 
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  [1998b] definisce così una CdP: 
 
“Le comunità di pratica sottendono una teoria dell'apprendimento che parte dalla seguente 
assunzione: l'impegno in una pratica sociale è il processo fondamentale attraverso il quale noi 
apprendiamo e in tal modo diveniamo chi siamo. Il primo elemento di analisi non è né l'individuo 
né le istituzioni sociali quanto piuttosto l'informale “comunità di pratica” che le persone creano 
per condividere nel tempo le loro esperienze. Per denotare la caratteristica sociale 
dell'apprendimento, la teoria esplora in modo sistematico l'intersezione fra aspetti concettuali che 
riguardano la comunità, la pratica sociale, il significato e l'identità personale. Ciò che ne deriva è 
un ampio quadro di riferimento concettuale che individua nell'apprendimento un processo di 
partecipazione sociale.” 
 
Brown e Gray [1995] sperimentando operativamente le comunità di pratica ne hanno derivato i 
seguenti punti: 
 
1. L'apprendimento è fondamentalmente un fenomeno sociale. L'individuo accresce le proprie 
conoscenze attraverso le comunità sociali cui partecipa.  
2. La conoscenza è integrata nella vita della comunità che condivide valori, credenze, 
linguaggi e modi di fare. La conoscenza reale è integrata nel fare, nelle relazioni sociali e 
nell'esperienza della comunità. 
3. Il processo di apprendimento e il processo di appartenenza alla comunità di pratica sono 
inseparabilmente intrecciati. Questo ci consente di essere membri di una comunità 
adeguando il nostro status al gruppo. Al cambiamento dei nostri apprendimenti, cambia la 
nostra identità e conseguentemente la nostra relazione con il gruppo. 
4. La conoscenza e la pratica sono inseparabili. Non è possibile “sapere” se non si sa “fare”. 
Noi apprendiamo facendo. 
                                                 
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 Etienne Wenger è globalmente riconosciuto come uno dei massimi esponenti delle teorie dell'apprendimento applicate
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5. La capacità di contribuire alla comunità crea le potenzialità per l'apprendimento. Le 
circostanze che ci impegnano in azioni reali che hanno conseguenze sia per noi sia per la 
comunità di cui facciamo parte, forniscono le più efficaci situazioni di apprendimento.  
 
Le comunità di pratica professionali 
 
Per apprendere attraverso le comunità di pratica professionali è necessario uno sviluppo 
organizzativo che da un lato consenta alle comunità stesse di beneficiare dell'attenzione 
dell'organizzazione cui appartengono, dall'altro non ne soffochi l'autonomia e le dinamiche di 
sviluppo e funzionamento. Le CdP rappresentano un soggetto collettivo che crea apprendimento, 
genera cioè valore aggiunto intenzionale attraverso un processo collaborativo/cooperativo 
deliberato e strutturato, non focalizzato, continuo, trasformativo, in contrasto con il semplice 
scambio di informazioni o esecuzione di compiti assegnati. In altre parole, in una comunità di 
pratica il modello di apprendimento è di tipo collaborativo dove, l'acquisizione di conoscenze, 
abilità o atteggiamenti sono il risultato dell'interazione nel gruppo, cioè l'apprendimento individuale 
è il risultato di un processo di gruppo. Identificarsi in una comunità di pratica significa collegare il 
proprio contributo cognitivo alla costruzione dell'identità collettiva.  
 
La teoria sociale dell'apprendimento  
 
Il tipo di apprendimento messo in atto in una CdP ha una forte connotazione sociale, tanto che 
possiamo individuarne i forti legami con la teoria sociale dell'apprendimento formulata da Etienne 
Wenger [1998b]. La teoria di Wenger è composta di un insieme di assunti e di questioni che 
forniscono un ambiente da cui derivare un consistente insieme di principi generali e 
raccomandazioni per aiutare a comprendere la natura della conoscenza e gli aspetti sociali legati al 
processo della sua acquisizione. Vediamo una sintetizzazione di questi assunti: 
 
• noi siamo esseri sociali, questo aspetto è centrale per il nostro apprendimento; 
• la conoscenza è legata ad attività che posseggono un loro valore intrinseco; 
• il conoscere riguarda quindi la partecipazione al compimento di tali imprese e quindi un 
attivo coinvolgimento nelle vicende del mondo; 
• i significati che traiamo dalla nostra abilità di acquisire esperienza da quello che ci circonda 
e da quello che facciamo, rappresentano in definitiva ciò che viene prodotto dal processo di 
apprendimento. 
 
                                                                                                                                                                  
all'impresa ed un pioniere nel settore delle comunità di pratica.
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Apprendimento quindi come partecipazione attiva nella pratica di una comunità sociale e nella 
costruzione di una propria identità in relazione a tale comunità. La teoria sociale dell'apprendimento 
integra una serie di componenti capaci di caratterizzare la partecipazione sociale come un processo 
di apprendimento e di conoscenza [Wenger, 1998b]. Tali componenti, mostrate nella seguente 
figura, includono: 
 
• significato – l'apprendimento come esperienza dei significati legati a noi stessi e al mondo 
che ci circonda; 
• pratica – l'apprendimento come processo legato al fare, riferibile alle risorse sociali, ai 
modelli e alle prospettive condivise che possono sostenere il mutuo coinvolgimento 
nell'agire; 
• comunità – l'apprendimento come appartenenza, come insieme di configurazioni sociali 
nelle quali le nostre imprese sono definite cose di valore da perseguire e dove la nostra 
partecipazione è riconosciuta come competente; 
• identità – l'apprendimento come qualcosa legato al divenire, che cambia chi siamo quando 
entriamo a far parte del contesto che caratterizza la comunità a cui si appartiene.  
 
 
Fig. 1.1 – I componenti base per una teoria sociale dell’apprendimento 
 
Praticare e apprendere alla pari collaborativamente 
 
Il concetto di practice richiama quello del “fare” inserito all'interno di un contesto sociale e 
relazionale. La pratica non è sola relativa a delle azioni o a delle modalità d'intervento concrete, ma 
presidia il processo attraverso il quale il singolo attribuisce un senso alla propria esperienza nel 
mondo. La possibilità di confrontarsi e di scambiarsi opinioni e pareri in merito a una specifica
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attività contribuisce in modo efficace al processo di elaborazione collettiva di un significato 
dell'attività stessa. La pratica, quindi, non è semplicemente un mero insieme di procedure operative, 
ma è fondativa dell'identità del singolo. Etienne Wenger [1998b] definisce le comunità come veri e 
propri “sistemi sociali di apprendimento” che si sviluppano a partire da linguaggi, significati e 
identità condivise e che saldano il contributo individuale in termini di esperienza e conoscenza al 
patrimonio cognitivo della comunità nel suo complesso.  
 
La spirale della conoscenza nelle learning organization  
 
Il concetto di organizzazione che apprende (learning organization) è stato fortemente influenzato 
dall'idea che un'organizzazione in grado di produrre continuamente conoscenze è un'organizzazione 
fortemente competitiva sul mercato [Isvor, 2001]. In un noto lavoro, Nonaka e Takeuchi [1995] 
rappresentano l'evoluzione della conoscenza organizzativa come un processo a spirale, articolato in 
quattro fasi: 
 
1. Socializzazione 
2. Esternalizzazione 
3. Combinazione 
4. Internalizzazione 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Fig. 1.2 – La spirale della conoscenza secondo Nonaka e Takeuchi 
 
In sintesi, il modello basato sulla cosiddetta spirale della conoscenza, prevede un ciclo che inizia 
con uno scambio (socializzazione) di conoscenze tacite, a cui segue un processo di 
esternalizzazione delle stesse che le trasforma in esplicite. Il ciclo termina con la combinazione e 
l'assorbimento (internalizzazione) della nuova conoscenza creata, all'interno della base di 
conoscenze tacite della comunità. Le conoscenze tacite così acquisite favoriscono nuovi processi di
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socializzazione; ecco quindi che si riapre il ciclo e la conoscenza complessiva della comunità 
riprende il suo movimento verso l'acquisizione di nuovi saperi e nuove pratiche. 
 
1.5 La memoria comunitaria 
 
Facendo uso delle funzionalità messe a disposizione dalle ICT è possibile assecondare uno dei 
compiti delle comunità di pratica ovvero quello di provvedere alla crescita e al mantenimento 
“fisico” della propria base di conoscenza condivisa. Questa è una funzione strategica, poiché 
altrimenti non verrebbe trattenuta alcuna memoria di quanto sviluppato, in termini di nuova 
conoscenza, da parte della comunità. Quest'aspetto è strettamente collegato a un altro concetto, 
quello di memoria comunitaria. Possiamo definire la memoria comunitaria (MC) come una sorta di 
setaccio fra informazioni presenti su larga scala sotto diverse forme (repositori digitali, memorie e 
conoscenze trattenute nella mente delle persone, ecc.) e le attività giornaliere dei membri di un 
gruppo. E così come una libreria digitale si basa su una struttura generale e su modi convenzionali 
di accedere ai diversi contenuti, anche una MC è caratterizzata da una propria struttura e da un 
dominio di contenuti di riferimento legati allo sviluppo delle attività comunitarie. Ma non è così 
immediato per le persone raccogliere, mantenere, condividere e applicare i materiali che fanno parte 
della memoria della propria comunità. Inoltre memorie comunitarie utili e facilmente utilizzabili 
richiedono specifici supporti per [Marshall e altri, 2001]: 
 
• l'acquisizione e l'aggiornamento di contenuti e di mappe cognitive; 
• l'identificazione dei materiali e dei membri della comunità rilevanti per lo svolgimento di un 
dato compito; 
• la definizione di un assetto gestionale riconoscibile e condiviso all'interno 
dell'organizzazione. 
 
Il concetto di memoria comunitaria (MC) 
 
Librerie digitali e sistemi informativi distribuiti favoriranno sempre più l'accesso delle comunità a 
una vasta tipologia di materiali, inclusi quelli che normalmente si trovano in repositori pubblici o di 
gruppi di lavoro. Per fare in modo che queste risorse online siano realmente utili alle emergenti 
comunità professionali, è necessario creare solidi collegamenti fra i repositori distribuiti e le 
pratiche nelle quali possono essere efficacemente usati. I materiali utilizzabili da una comunità 
possono provenire da diversi repositori, alcuni organizzati in veri e propri archivi elettronici, altri 
più transitori (messaggi di posta elettronica, contributi a forum, ecc.), altri ancora derivati da 
dialoghi e interazioni più o meno occasionali. Tutto ciò, combinato sia con gli artefatti prodotti