1 
 
Introduzione 
 
L’obiettivo principale del lavoro è quello di analizzare e discutere i drivers della 
performance d’impresa. A questo scopo, dopo una review della letteratura nazionale 
ed internazionale, abbiamo svolto un’analisi statistica sui dati raccolti presso un 
campione di circa 500 imprese manifatturiere toscane. L’arco temporale considerato 
(2008-2012) comprende il periodo immediatamente successivo allo scoppio delle crisi 
economica globale. L’universo di riferimento della nostra analisi è composto dai 
“campioni manifatturieri toscani”, ovvero dalle imprese che alla fine del 2012 
rispettavano i seguenti requisiti: 
 Sede operativa in Toscana 
 Manifatturiere 
 Fatturato ≥ 2 milioni di euro 
 Forma giuridica di società di capitali 
 Esistenti all’inizio del 2008 
 Bilanci regolarmente depositati in Camera di Commercio nel 2008 e nel 2012 
 EBITDA/Fatturato medio ≥ 5% 
 EBIT/Fatturato medio ≥ 4% 
 Variazione Fatturato ≥ -10%. 
Fra le 363.473 imprese attive in Toscana nel 2012, in seguito a tale selezione ne sono 
state individuate 813. Banca Intesa Sanpaolo, l’ente promotore del presente studio, ha 
somministrato a queste aziende un questionario (appendice 1) composto da 69 
domande, volto a mettere in luce alcuni aspetti strutturali e strategici riguardanti sia la 
situazione attuale, sia quella prospettica. Le imprese che hanno completato il 
questionario sono 484: in termini di caratteristiche settoriali, dimensionali (sia per 
fatturato, sia per numero di addetti) e di età, tale campione è risultato rappresentativo 
dell’universo di partenza. 
Per quanto concerne la misura della performance d’impresa, abbiamo considerato 
come variabili dipendenti la variazione percentuale del fatturato nel periodo 2008-
2012 e il ROI del 2012. Abbiamo quindi cercato di individuare le principali relazioni 
esistenti fra le caratteristiche aziendali emerse dal questionario e tali variabili 
dipendenti. La presente analisi ha come scopo principale quello di individuare i 
caratteri strutturali e strategici che hanno consentito ad alcune imprese di raggiungere
2 
 
l’eccellenza competitiva. Un altro obiettivo del lavoro, strettamente collegato al primo, 
consiste nel ricavare le conseguenti implicazioni manageriali, fermo restando che i 
risultati del presente studio non rappresentano alcuna “ricetta per il successo”: ogni 
impresa infatti basa le proprie strategie competitive su drivers unici e diversi. 
Nel primo capitolo si analizzano i contributi della letteratura in tema di drivers della 
performance d’impresa, mettendo in luce le diverse prospettive dalle quali questo 
argomento viene affrontato (paragrafo 1.1). Nel paragrafo 1.2 focalizziamo 
l’attenzione sui principali metodi di misurazione della performance, considerando sia 
gli indicatori quantitativi, sia gli indicatori qualitativi.  
Il paragrafo 1.3 è volto ad esaminare i contributi della letteratura riguardanti i 
principali drivers della performance aziendale. In primo luogo ci concentriamo sui 
drivers appartenenti all’ambito della corporate governance (paragrafo 1.3.1), in 
particolare sull’indipendenza del board e sui caratteri di assetto proprietario. Il 
paragrafo 1.3.2 fornisce invece un approfondimento sulle caratteristiche del 
management, in particolare sull’importanza delle competenze manageriali interne nel 
processo di creazione del valore; parallelamente, esaminiamo il ruolo delle consulenze 
esterne finalizzate sia alla risoluzione di problemi impellenti, sia all’accrescimento 
delle competenze del management. Per quanto concerne gli aspetti strategici, ci 
soffermiamo sulle strategie di innovazione: in primo luogo viene effettuata un’analisi 
della letteratura riguardante i drivers dell’innovazione, affrontando questa tematica da 
una prospettiva knowledge-based ed esaminando il ruolo dell’attività di R&S come 
fonte di innovazione. Successivamente affrontiamo il ruolo critico della capacità 
innovativa delle imprese come fonte del vantaggio competitivo. 
Il secondo capitolo è dedicato all’analisi di un campione di 484 imprese manifatturiere 
toscane. Nel paragrafo 2.1 descriviamo i criteri di selezione dell’universo di 
riferimento delle imprese oggetto di analisi e dimostriamo la rappresentatività del 
campione. Dopo aver illustrato brevemente i due indicatori della performance utilizzati 
(Δ% fatturato e ROI) nel paragrafo 2.1.3, forniamo una descrizione dettagliata del 
questionario (paragrafo 2.2), raggruppando le singole domande in 12 variabili latenti 
in base alle tematiche affrontate. Nel paragrafo 2.3 proponiamo una prima analisi 
descrittiva dei risultati emersi in relazione a ciascuna domanda presente nel 
questionario.  
Per poter trarre conclusioni attendibili, svolgiamo un’analisi statistica utilizzando il 
software SPSS (paragrafo 2.4). La prima metodologia statistica utilizzata è la 
regressione lineare multipla (paragrafo 2.4.2), considerando come variabili
3 
 
indipendenti le singole risposte del questionario; come variabile dipendente viene 
considerato dapprima il Δ% fatturato, dopodiché proponiamo un’altra regressione in 
cui la variabile dipendente è il ROI. A causa del numero particolarmente elevato delle 
variabili indipendenti, l’analisi risulta affetta da un problema di quasi-
multicollinearità. Per superare tale inconveniente utilizziamo il metodo stepwise, 
effettuando una backward elimination (paragrafo 2.4.3): in questo modo è possibile 
risolvere il problema della multicollinearità. 
Nel paragrafo 2.4.4 approfondiamo ulteriormente l’analisi studiando, alla luce delle 
osservazioni emerse in sede di analisi descrittiva e di stepwise regression, l’influenza 
reciproca delle variabili. Da questa analisi emergono relazioni solide soltanto fra 
alcune delle variabili latenti precedentemente individuate. Riteniamo quindi opportuno 
esaminare anche gli effetti di interazione statistica fra i singoli items, moltiplicando i 
risultati ottenuti nelle singole risposte (paragrafo 2.4.5): in questo modo otteniamo 
alcune nuove variabili, denominate “variabili-prodotto”. Infine proponiamo una 
regressione lineare multipla utilizzando queste variabili-prodotto come variabili 
indipendenti (dapprima con il Δ% fatturato come variabile dipendente, poi con il ROI): 
i risultati mostrano che l’effetto congiunto di alcune coppie di variabili può incidere 
significativamente sulla redditività e sul dinamismo aziendale. 
Le osservazioni effettuate e le implicazioni che ne derivano sono descritte nel corso 
dell’analisi, tuttavia abbiamo ritenuto opportuno dedicare l’ultimo capitolo della tesi 
alle conclusioni e alle implicazioni manageriali; i risultati dell’analisi confermano in 
buona parte i contributi della letteratura esaminati nel primo capitolo. In primo luogo 
emerge il contributo fortemente positivo delle società di consulenza: sebbene tutte le 
aziende del campione ottengano buoni risultati sia in termini di crescita, sia in termini 
di redditività, quelle che si avvalgono di consulenze esterne (in particolare nell’area 
della produzione e in quella commerciale) hanno una maggiore probabilità di 
raggiungere l’eccellenza competitiva. Similmente, sembra che anche il contributo 
delle società di selezione del personale porti le imprese ad accrescere la propria 
performance: trattandosi perlopiù di family firms, possiamo ipotizzare che tale 
collaborazione abbia come effetto quello di ridurre il grado di managerial 
entrenchment, migliorando così il mix di competenze interne alle aziende. Fra le 
competenze interne, un ruolo decisivo è ricoperto da quelle di marketing, le quali 
contribuiscono a migliorare la redditività. Inoltre, sebbene le qualità tecniche dei 
prodotti offerti alla clientela siano un presupposto fondamentale per ottenere una 
buona performance, questo non è l’unico aspetto al quale le imprese devono prestare
4 
 
attenzione: ad esempio, per raggiungere l’eccellenza è opportuno offrire anche un 
adeguato livello di servizio, che risulta essere un importante driver della crescita. 
Infine, a conferma dei contributi della letteratura esaminati, i “campioni” 
manifatturieri toscani più innovativi ed orientati al cambiamento presentano una 
maggiore probabilità di raggiungere l’eccellenza competitiva rispetto alle imprese più 
statiche.
5 
 
 
Capitolo I 
 
Literature review 
 
1.1. La performance d'impresa: shareholder theory vs stakeholder theory. 
 
Il concetto di performance d'impresa è particolarmente ampio e articolato ed è 
estremamente difficile darne una definizione che sia unica e completa. In generale la 
performance può essere definita come "The accomplishment of a given task measured 
against preset known standards of accuracy, completeness, cost, and speed"
1
, ovvero 
"Prestazione, rendimento nella realizzazione concreta di un’attività, di un 
comportamento, di una situazione determinata"
2
. 
Venkatraman e Ramanujan (1986)
 3
 cercano di far luce proprio sul concetto di 
"business performance", un'espressione utilizzata da numerosi autori e affrontata da 
molteplici punti di vista. Essi affermano che sarebbe impossibile fornire una 
definizione che possa convogliare tutto quanto è presente in letteratura senza eliminare 
le diverse accezioni che ogni autore dà a questo tema. Tuttavia i due autori forniscono 
un'interpretazione schematica che riesce in parte a delineare questo complesso 
argomento. 
  
                                                           
1
 www.businessdictionary.com. 
2
 www.treccani.it. 
3
 Venkatraman N., Ramanujam V. (1986).  Measurement of Business Performance in Strategy 
Research: A Comparison of Approaches. The Academy of Management Review, Vol. 11, n. 4, pp. 801-
814.
6 
 
Figura 1. Circumscribing the domain of business performance. 
 
 
Fonte: Venkatraman N., Ramanujam V. (1986). 
La performance di un'impresa è quindi formata da due componenti: quella finanziaria 
e quella operativa. I cerchi concentrici mostrano graficamente come i risultati ottenuti 
a livello finanziario derivino dall'attività operativa dell'impresa. Secondo questa 
prospettiva, la performance aziendale nel suo insieme è quindi racchiusa all'interno 
dell'area del secondo cerchio. Le strategie organizzative e manageriali esulano invece 
dall'area dei risultati, sebbene esse siano un presupposto fondamentale per ottenerli. 
Connolly, Conlon e Deutsch (1980)
4
 adottano una prospettiva molto simile, 
concentrandosi però sull'efficacia organizzativa e sulle sue determinanti.  Essi 
definiscono un "multiple-constituency model" secondo il quale è impossibile "to 
produce a single effectiveness statement about any given organization": in questo 
modo i tre autori cercano di racchiudere gran parte delle teorie, diverse e contrastanti, 
che si occupano di trovare una ricetta generica per migliorare la performance 
d'impresa. Trattandosi di un termine che riguarda il modo e la misura in cui sono stati 
raggiunti gli obiettivi aziendali è chiaro che il suo significato varia anche in base alle 
aspettative, diverse e contrastanti, dei numerosi soggetti che si interfacciano con 
l'impresa. 
                                                           
4
 Connolly T., Conlon E., Deutsch S. (1980), Organizational Effectiveness: A Multiple-Constituency 
Approach, Academy of Management Review, Vol. 5, No. 2, pp. 211-217. 
domain of financial 
performance
domain of financial + 
operational 
performance
(Business Performance)
domain of 
organizational 
effectiveness
7 
 
In tempi più recenti Santos e Brito (2012)
5
, riprendendo alcuni modelli di valutazione 
della performance precedenti
6
, optano per una visione multidimensionale, 
distinguendo la performance aziendale in due componenti: finanziaria e strategica. In 
questo caso sembra emergere una complementarietà fra la componente finanziaria e 
quella strategica nel formare la business performance (o firm performance).  
 
Figura 2. multidimensionalità della firm performance. 
 
Fonte: Santos J., Brito L. (2012). 
 
Inoltre emerge nuovamente che, a prescindere da quelli che sono i drivers della 
performance (argomento che affronteremo nel paragrafo successivo), questa assume 
connotati differenti a seconda delle diverse prospettive dalle quali viene considerata. 
Si tratta di un aspetto fondamentale affrontato ampiamente in letteratura e che 
possiamo sintetizzare in una semplice frase: per chi deve creare valore un'impresa? Da 
questa domanda prendono vita i due macrofiloni riguardanti tale aspetto della dottrina 
economica: la shareholder theory e la stakeholder theory. 
La prima delle due visioni è strettamente correlata alla teoria dell'agenzia (cfr. 
paragrafo 1.3.1.1) introdotta da Berle e Means (1932), che affronta il problema della 
                                                           
5
 Santos J., Brito L. (2012), Toward a subjective measure measurement model for firm performance, 
Brazilian Administration Review. 
6
 In particolare i due autori brasiliani si riferiscono a Rowe W.G, Morrow J.L. (1999), A note on the 
dimensionality of the firm financial performance construct using accounting, market and subjective 
measures, Canadian Journal of Administrative Sciences.
8 
 
separazione fra proprietà e controllo
7
. Secondo la shareholder theory l'unico obiettivo 
di un manager dovrebbe essere quello di condurre l'attività d'impresa in modo tale da 
massimizzare il valore per gli azionisti, valore che è composto dal prezzo di mercato 
delle azioni e dai dividendi distribuiti. Come punto di riferimento di questa corrente di 
pensiero prendiamo Milton Friedman che, soprattutto nelle sue celeberrime opere 
"Capitalism and Freedom" (1962) e "Free to Choose" (1980), esalta il capitalismo e la 
libertà economica, considerati due presupposti fondamentali per il progresso della 
società. Ogni agente economico dovrebbe agire secondo il proprio interesse, pertanto 
anche gli azionisti di un'azienda devono avere come unico obiettivo la 
massimizzazione dello shareholder value; per questo motivo, un manager al quale 
viene affidato l'incarico di "agent" nei confronti degli azionisti, dovrà perseguire 
soltanto l'interesse di questi ultimi. Le teorie di Friedman hanno avuto fin dai primi 
anni una grande diffusione e trovano un ampio riscontro anche nella realtà attuale: ad 
esempio, in Italia vengono talvolta riprese da importanti quotidiani per analizzare 
l'economia contemporanea
8
. 
Un esponente simbolo della stakeholder theory è invece Robert Edward Freeman, il 
quale definisce gli stakeholders come "any group or individual who can affect or is 
affected by the achievement of the organization's objectives"
9
. Inoltre lo stesso testo 
riporta un semplice schema che illustra quelli che secondo Freeman sono gli 
stakeholders principali. 
 
Figura 3. I principali stakeholders di un'impresa.  
 
Fonte: Freeman (1984). 
 
                                                           
7
 Berle A., Means G. (1932). The modern corporation and private property. 
8
 Lottieri C. (2010), La lezione di Friedman alla fine libererà il mondo, Il Giornale. 
Carrubba S. (2010), C'è un Friedman ancora da adottare, Il sole 24 ore. 
9
 Freeman R.E. (1984), Strategic Management: A Stakeholder Approach, Cambridge University Press.
9 
 
Trattandosi di un concetto basilare per l'intera dottrina economica, le definizioni di 
"stakeholder" sono molteplici: ad esempio secondo Eden e Ackermann (2007)
 10
 si 
tratta di "people or small groups with the power to respond to, negotiate with, and 
change the strategic future of the organization". Possiamo quindi affermare che, a 
prescindere dalle diverse sfumature che ogni autore può dare a questo termine, gli 
stakeholders consistono nell'insieme dei portatori di interesse relativi all'impresa e che 
quindi possono influenzarla o esserne influenzati. I sostenitori di questo filone 
sostengono che sia troppo limitante per un'impresa avere come unico obiettivo quello 
di accrescere il valore azionario ma che, al contrario, debba considerare il benessere 
dei vari portatori di interesse: "The corporation is an organization engaged in 
mobilizing resources for productive uses in order to create wealth and other benefits 
(and not to intentionally destroy wealth, increase risk, or cause harm) for its multiple 
constituents, or stakeholders"
11
. Risulta evidente però l'impossibilità di soddisfare 
pienamente tutti gli stakeholders, i quali presentano interessi contrastanti fra loro. Per 
questo motivo Zattoni (2005)
12
 propone una classificazione finalizzata a identificare 
gli stakeholders critici: in tal modo il management di un'impresa si dovrà concentrare 
soltanto sulla soddisfazione delle esigenze di questi ultimi. Anche se si cerca di ridurre 
il più possibile il numero di portatori d'interesse ai quali rendere conto, il concetto di 
performance assume una valenza più ampia, complessa e pluridimensionale rispetto a 
quanto espresso dalla shareholder theory. Dallo schema ripreso dall'articolo di Santos 
e Brito precedentemente esposto emerge che, se considerata da questo punto di vista, 
un'impresa può essere valutata secondo molteplici canoni di performance dai vari 
soggetti che la circondano: mercato, società nel suo insieme, clienti, dipendenti etc.... 
Ovviamente, anche nel caso in cui si privilegi la stakeholder theory, gli azionisti (o 
comunque i soci dell'azienda qualora non si tratti di società per azioni) assumono un 
ruolo di spicco fra i portatori d'interesse. 
Le principali critiche mosse nei confronti della shareholder theory riguardano 
soprattutto le politiche finanziare di breve termine spesso adottate dai manager per 
aumentare il valore azionario, i comportamenti opportunistici degli azionisti di 
controllo, i danni causati alla società nel suo insieme e lo sfruttamento di alcune 
categorie di stakeholders (in particolare i dipendenti). Tali critiche sono state 
                                                           
10
 Eden C., Ackermann F. (2007), Making Strategy, The Journey of Strategic Management, European 
Journal of Operational Research. 
11
 Post, Preston, Sachs (2002), Redefining the Corporation: Stakeholder Management and 
Organizational Wealth. 
12
 Zattoni A. (2005), Chi dovrebbe governare un'impresa?, Economia&Management, pp.61-78.