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INTRODUZIONE 
 
Lo spazio, spiega Lotman (1970), ha una sua lingua che ne regola i rapporti interni. Da 
questi nasce un sistema di articolazioni in grado di creare un modello culturale a tutti gli 
effetti. Il semiologo russo spiega poi (Lotman 2006) l’importanza dello studio della città al 
fine di comprendere un determinato insieme culturale. Allo stesso modo in cui la cultura 
considera la natura come altro da sé, malgrado facciano parte entrambe dello stesso sistema 
culturale, anche la città determina, secondo regole locali, la propria alterità: ossia la non-
città. 
L’oggetto di un’analisi semiotica è, sempre e comunque, il testo, qualsiasi forma esso 
assuma. La città rispecchia la definizione originaria della testualità, ovvero quella di tessuto 
(dal latino textus): fatto, cioè, di nodi, di pezzi che si legano tra loro secondo relazioni di 
senso. La città stratifica e gerarchizza gli elementi che la compongono, predisponendo i 
processi dinamici per le loro trasformazioni (Marrone 2009; Volli 2009). L’ambiente 
urbano, in perenne cambiamento, intrattiene con chi lo abita un rapporto di doppia 
influenza. Da un lato il senso dello spazio viene modificato o creato dalle pratiche urbane 
dei cittadini; dall’altro, la configurazione di un luogo, la disposizione degli edifici, la loro 
natura fisica o estetica, il sistema stradale e tutto ciò che fa di un insieme di abitazioni una 
città a tutti gli effetti parla una lingua precisa. Da qui un’ulteriore biforcazione. In primo 
luogo lo spazio è capace di influenzare il comportamento di chi lo vive: le sue pratiche, i 
suoi usi, la sua quotidianità. In secondo luogo lo spazio parla di sé, si descrive, mostra al  
mondo le caratteristiche che vuole mostrare. Proprio su questo punto la spazialità incrocia la 
cultura: un ambiente è in grado di raccontare la storia di sé, in ottica passata, presente o 
futura; ma anche la cultura di chi lo vive e di chi lo ha vissuto. C’è dell’altro: seguendo la 
logica identitaria per opposizioni, principio per cui, differenziandosi rispetto a un altro da 
sé, si costruisce l’identità, uno spazio è in grado di descriverne un altro che gli si oppone da 
un punto di vista fisico o delle pratiche antropologiche e, in un’attenta analisi delle 
differenze, può dire qualcosa in più anche su se stesso. 
La città possiede due dei caratteri maggiormente costitutivi del testo: la chiusura, ovvero 
una definizione interna ben precisa di elementi che si reggono reciprocamente e la 
biplanarità, che concerne l’interdipendenza tra i piani dell’espressione e del contenuto.
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Un’analisi semiotica dello spazio urbano tiene quindi conto di tutti gli elementi costituenti il 
tessuto cittadino, compresi i comportamenti degli abitanti. Un’attenta disamina delle 
relazioni tra l’insieme spaziale e le pratiche di fruizione permette di tracciare delle linee 
generali con cui si può ricostruire l’identità di una realtà urbana. Partendo da queste 
congetture, Gianfranco Marrone e il suo staff hanno provato a descrivere, analizzandone 
vari quartieri e luoghi di socializzazione, la città di Palermo secondo una prospettiva 
semiotica (Marrone 2010). I suggerimenti di carattere pratico e concettuale offerti da questo 
volume hanno rappresentato lo spunto per intraprendere l’indagine di semiotica urbana che 
si sta introducendo.  
Questo lavoro nasce da un’esperienza di nove mesi, nell’ambito di un progetto Erasmus 
svolto nella cittadina belga di Leuven. La città, situata nella regione del Brabante 
fiammingo, di cui è capoluogo, è sede di vari istituti accademici, tra cui la Katholieke 
Hogeschool Leuven, il Group T e il Lemmensinstituut, ma la maggior parte degli studenti 
frequenta la più antica nonché prestigiosa Università dell’intero Benelux, la Katholieke 
Universiteit Leuven, fondata nel 1425. Proprio uno sguardo etnologico interno da parte di un 
osservatore iscritto da straniero nell’ateneo locale ha fatto in modo che l’indagine si 
svolgesse dal di dentro, rendendo l’osservatore partecipe delle pratiche quotidiane. Ciò ha 
permesso, oltre a uno sguardo più ravvicinato sul corpus analitico, un’immedesimazione, 
seppur parziale, in una cultura nuova e differente da quella personale. 
Leuven (Lovanio in italiano, Louvain in francese) conta circa 89.000 abitanti ed è formata 
dall’unione di tre municipalità: Kessel, Heverlee e la vecchia Leuven. Quest’ultima, 
considerata oggi il centro cittadino, ha un’area ben delimitata da una grande 
circonvallazione ad anello, chiamata appunto “ring”, che le rende un’immediata 
riconoscibilità geografica e una chiusura definita. La città, ben delimitata dunque rispetto 
all’esterno, vive una forte eterogeneità interna a causa delle diverse identità che la vivono e 
si intersecano generando notevoli inscatolamenti, determinanti per la costituzione del senso 
del luogo. Anzitutto l’anima cattolica. La religiosità è un fattore molto presente nello spazio 
urbano, arrivando anche a marcare fortemente la natura stessa dell’Università; tanto che, 
negli anni, la figura del rettore è stata spesso ricoperta da autorità ecclesiastiche. L’identità 
cattolica si trova dunque inscritta in quella accademica e si manifesta, nell’ambiente fisico, 
in più forme. Le chiese e i conventi sono numerosi e sparsi per tutto il suolo urbano, mentre,
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spesso, i nomi delle strade, delle piazze o dei residence universitari hanno una nomenclatura 
che denota il carattere religioso del luogo. In un (co)testo prevalentemente giovanile, 
vedremo come la presenza della Chiesa si relazionerà con pratiche urbane che sovente 
trascendono i comportamenti imposti dai dettami religiosi. La città si accende di notte e non 
manca di fornire ai giovani vari luoghi dove divertirsi e bere. A proposito, Leuven viene 
chiamata “la città della birra”. Questa bevanda, spesso prodotta dai monaci nelle abbazie 
(l’identità religiosa si inscrive anche in questa tematica), costituisce un interessante 
ingrediente per la comprensione della cultura locale, costituendo un microcosmo fatto di 
codici, comportamenti, tradizioni. 
Se nelle serate cittadine scorrono fiumi di birra, lo si deve però principalmente al grande 
numero di studenti presenti in città. L’Università conta circa 40000 iscritti, di cui 11000 
stranieri. Sarà interessante notare in che modo gli stranieri, provenienti da background 
culturali lontani e diversi, si relazionano tra loro e con gli autoctoni. L’identità accademica è 
a tutti gli effetti l’anima della città, che si regge su di essa da più punti di vista: quello 
economico, quello sociale, quello politico, poiché l’importanza di Leuven nel contesto belga 
dipende proprio dal prestigio del suo ateneo. 
Uno dei temi che verranno approfonditi riguarda poi l’identità fiamminga della città. 
Leuven presenta infatti molti topoi comuni alla cultura dell’area delle Fiandre, che si 
mescolano alle altre caratteristiche urbane, ponendosi come una delle chiavi di lettura più 
significative per comprenderne il senso.  
Il lavoro si apre con un capitolo che intreccia la semiotica della cultura a quella visiva. Sono 
stati selezionati i tre edifici lovaniesi ritenuti espressione più significativa delle varie anime 
della città. La Biblioteca centrale è il tempio del sapere di Leuven. Studiando anche la 
piazza su cui sorge e la sua rilevanza da un punto di vista storico, si rivela molto sul 
rapporto tra la città e la sua Università. Questa poi, come detto, deve relazionarsi con le altre 
realtà urbane, a cominciare dal Municipio. Lo Stadhuis non è solo il centro del potere 
cittadino, rappresentante la realtà politica e burocratica della città, ma è a tutti gli effetti il 
simbolo o, come direbbe Isabella Pezzini (2006), il monumento/logo di Leuven. Il palazzo, 
tra l’altro, è uno degli esempi più belli dello stile artistico gotico/fiammingo: il che lo rende, 
oltre che più riconoscibile fuori città per le sue caratteristiche estetiche, anche un potente 
dispositivo architettonico per testimoniare l’identità culturale del popolo delle Fiandre. Lo
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Stadhuis si affaccia su Grote Markt, la piazza principale di Leuven, nonché spazio centrale 
del tessuto cittadino. Anche questo luogo è colmo di spunti per comprendere il senso 
complessivo della cultura esaminata, sia per la sue caratteristiche fisiche, sia per quelle 
posizionali, poiché su di essa sorge, di fronte al Municipio, la Cattedrale di San Pietro, 
cuore della religiosità lovaniese. Questi spazi, analizzati grazie alle categorie della semiotica 
visiva, e, successivamente, nelle relazioni che intrattengono tra loro, fanno emergere aspetti 
interessanti per comprendere l’essenza della città. 
Il secondo capitolo si sofferma maggiormente sui percorsi. Riguarda soprattutto il rapporto 
semiotico tra due strade. Naamsestraat, la via in cui sorgono gli uffici di facoltà, le 
segreterie, le biblioteche, in sintesi, la strada accademica della città, è in parte parallela a 
Oude Markt, strada/piazza che ospita un’alta concentrazione di pub e locali notturni: a tutti 
gli effetti, quindi, l’anima del divertimento lovaniese. L’indagine si sofferma qui sui 
comportamenti standardizzati dei gruppi di giovani che praticano i due luoghi: ciò che è 
saltato all’occhio è la differenza comportamentale quando un gruppo passa da uno spazio 
all’altro. Siamo nell’ambito dell’ambiente che dialoga con la corporalità umana. Ne 
derivano precisi percorsi narrativi e passionali, laddove lo spazio riesce a stimolare i flussi 
sensoriali del fruitore. Naamsestraat e Oude Markt sono due facce della stessa medaglia: 
rappresentano due diverse filosofie su come svolgere la vita studentesca. Una città 
universitaria come Leuven, in un certo senso, è anche questo. 
Nel terzo capitolo viene affrontato il tema della natura in città. Il corpus riguarda la zona di 
Heverlee, esterna ai confini cittadini, che comprende il campus universitario. Quest’ultimo è 
forse il fiore all’occhiello dell’ateneo, e per le sua organizzazione fisica, e per la presenza 
delle tecnologie più avanzate di ricerca. Natura e cultura coesistono qui in relazione 
all’identità accademica del luogo, creando un mondo che non può non rapportarsi con la 
città che, in parte, lo ingloba. In più, l’armoniosa convivenza della natura in città non è forse 
uno degli aspetti che misurano in maniera più significativa la civiltà di un luogo? 
L’ultimo capitolo entra più nel merito dell’isotopia accademica. Vengono analizzati gli 
edifici delle facoltà di lettere e di scienze sociali, custodi del sapere umanistico 
dell’Università. La disamina tiene conto, come consueto, delle caratteristiche spaziali dei 
luoghi e dell’organizzazione interna relativamente ai corsi. In questo senso, si tocca la 
questione della natura internazionale della KULeuven e della sua apertura verso l’esterno. Il
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capitolo ruota comunque attorno alla tematica semiotica dell’enunciazione, indagando su 
come gli edifici si pongano in relazione agli studenti che li vivono e su ciò che comunicano 
in termini di discorso su se stessi. Il capitolo prosegue poi con un’indagine su Louvain la 
neuve, in qualche modo, l’alter ego vallone di Leuven. La cittadina è una realtà urbana 
ultramoderna nata attorno all’Università, creata negli anni ’60 dagli studenti valloni espulsi 
dalla KULeuven, i quali decisero di fondarne una che negasse, emulandola, l’omologa 
fiamminga. Louvain la neuve si rivela un laboratorio molto interessante per trovare riflesse 
(o negate) le caratteristiche del corpus d’analisi e, parallelamente, per collezionare degli 
elementi significativi al fine di tracciare un identikit di Leuven. In conclusione, una 
parentesi sul Beghinaggio, il quartiere più antico dell’intero tessuto urbano, denominato la 
“città nella città”. Luogo in cui il tempo sembra essersi fermato, ripropone e contraddice le 
caratteristiche del testo in cui è inglobato. 
Il lavoro non può non tenere conto della particolare situazione socio-politica che vive il 
Belgio. Il paese, nonostante le piccole dimensioni, vede la convivenza tra due popoli diversi 
sgretolarsi progressivamente. A fine del 2011 è stato formato un governo dopo oltre un anno 
di vacanza; le interazioni tra le due parti sono ai minimi storici e le mire separatiste della 
parte fiamminga si accrescono ogni anno, al pari degli episodi di intolleranza nei confronti 
dei valloni. In generale, comunque, sembra prevalere un tacito “ignorarsi a vicenda”. Il 
paradosso dello Stato che rappresenta il cuore dell’Unione europea ma non riesce a 
coniugare una storica convivenza di due popoli diversi nello stesso territorio è ciò che rende 
il Belgio una realtà unica nel panorama europeo. È interessante notare come si pone a 
riguardo una cittadina apparentemente aperta al melting pot come Leuven. Costituisce  
un’eccezione rispetto al testo inglobante rappresentato dalla situazione belga o ne ricalca gli 
aspetti essenziali? L’articolazione di categorie espressive o semantiche tra loro opposte 
come natura e cultura, centro e periferia, studio e divertimento, apertura e chiusura, diviene 
essenziale per comprendere meglio questo paradosso culturale.
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CAPITOLO I 
Semiotica visiva e della cultura 
Edifici e spazi a confronto 
 
Spazio e cultura sono imprescindibili; come afferma Eco (1969),  ogni espressione culturale 
è costituita da un sistema di codici regolato localmente: il senso non è universale ma situato, 
e ogni nodo è legato a tutto il resto.  
Lo spazio architettonico vive una vita semiotica doppia: modella l’universo, perché si 
proietta nella struttura del mondo costruito e abitato, e viene modellato da esso, perché tale 
struttura globale condiziona il lavoro umano, l’idea del mondo (Lotman, Unspenskij 1970). 
Il presente lavoro vuole essere una dimostrazione di tale assunto, verificando l’intensità 
semiotica delle principali costruzioni architettoniche di Leuven, che rappresentano diverse 
sfaccettature della città e acquistano senso relazionandosi tra loro. Nello specifico, i  
monumenti, “appareil de transmission de l’espece” (Debray, 1999, p. 139), sono capaci di 
comunicare una messa in prospettiva ben precisa del passato, riflettendo ideologie e 
sensibilità culturali. Del resto, stando all'omologia “funzionale” proposta da Lotman (2006), 
la cultura rappresenta “in linea di principio una fissazione di esperienza passata, essa può 
svolgere anche la funzione di programma e di istruzione per costruire nuovi testi” (p. 130). 
Vedremo così come la Cattedrale, il Municipio, la Biblioteca, nonché le vie e le piazze su 
cui sorgono questi edifici, incarnino, attraverso il loro stile e il significato assegnato loro 
dalle pratiche di fruizione, le diverse anime lovaniesi: una accademica, una religiosa, una 
più neutrale, legata per lo più all'isotopia burocratico/amministrativa. Esse si intrecciano, 
contrastano e dialogano tra loro, generando effetti di senso che reggono la vita sociale del 
centro cittadino.  
Il linguaggio dello spazio crea inoltre dei riflessi dell'identità culturale di un determinato 
territorio: vedremo infatti come l'identità fiamminga venga ostentata all'interno di un 
ambito, quello belga, dove il dialogo/scontro tra diverse culture anima da anni il dibattito 
politico interno.  
Questi aspetti vanno ricercati, sul piano dell'espressione, all'interno delle categorie della 
semiotica visiva. Occorre dunque farne un accenno teorico, prima di procedere con l'analisi 
dei luoghi più importanti del centro di Leuven. 
La semiotica visiva è organizzata in due livelli: oltre a quello figurativo, che concerne le
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figure del mondo naturale, quello plastico determina un senso ulteriore nella lettura di 
un'immagine. La scuola di Parigi individua tre tipi di categorie che producono, in un testo, i 
formanti plastici: cromatiche, inerenti il colore; eidetiche, costituite dalle linee; topologiche, 
relative all'organizzazione della superficie del testo. Una volta individuati i contrasti 
plastici, aventi carattere astratto, si ricercheranno delle categorie di contenuto da collegarvi 
per la produzione di effetti di senso (Calabrese 2006). 
 
1.1 La Biblioteca centrale: il centro del sapere 
Poco fuori dalla zona universitaria, al confine tra la parte vecchia e quella nuova della città, 
si erge la Biblioteca centrale dell'Università cattolica di Leuven, sulla quale è bene anteporre 
qualche rapido accenno storico.  
Originariamente, la Biblioteca centrale dell'Università era situata nel cuore di Naamsestraat, 
la strada dell’Università, dove rappresentava il centro del potere culturale, o meglio, il 
potere del sapere, fortemente caratterizzato dall'identità accademica (vedi cap. III). Osserva 
Foucault (1975) che potere e sapere si articolano attraverso il discorso, il quale deve essere 
concepito come una molteplicità di elementi che talvolta possono apparire o essere 
contradditori, ma comunque sono tesi a sviluppare la stessa strategia oppure danno inizio ad 
una nuova. Figlio di questo intreccio, il potere-sapere è un importante agente di 
trasformazione della vita umana e di quella di un'intera comunità. Le considerazioni 
dell'antropologo francese accrescono di certo l'importanza della Biblioteca centrale per la 
vita sociale dell'intera città, ma purtroppo, con buona pace degli antichissimi libri e 
manoscritti andati definitivamente perduti, i tedeschi, durante la prima guerra mondiale, la 
distrussero completamente.  
Grazie alle indennità post-belliche, ma soprattutto grazie all'aiuto economico degli Stati 
Uniti, la biblioteca venne ricostruita ex-novo negli anni 20, mantenendo uno stile neo-
flemish-renaissance. Venne però spostata in una grande piazza, Ladeuzeplein, ben aldilà 
della via universitaria.