7 
 
 
INTRODUZIONE 
 
“Il diritto penale è filosofia” questa affermazione del giurista novecentesco 
Giuseppe Bettiol
1
, può essere considerata come il fondamento del lavoro che 
segue, lo sprono della mia attività di studio ed approfondimento del problema 
filosofico- penalistico, la sua chiave di lettura. 
La legge penale è la parte di legislazione che maggiormente risente 
dell’influenza dei principi morali, ciò ci riconnette al fondamento giusnaturalistico 
del diritto, il quale presuppone che l’idea essenziale del diritto debba essere 
ricercata nei principi aprioristici della ragione pura. Il lavoro che segue è basato su 
approfondimenti relativi al diritto penale e alla sua concezione filosofica, 
relazionandoli ai principi moralistici di dignità, libertà ed umanità. Nell’analisi 
dell’accezione “diritto penale” non ci si concentrerà unicamente sull’aggettivo 
“penale”, inteso in senso negativo-punitivo, ma soprattutto sul sostantivo “diritto”, 
inteso come l’insieme di norme volte al controllo della funzione penale. È proprio 
da questa considerazione che si evolverà la mia tesi, nel primo capitolo infatti 
analizzerò nel dettaglio le maggiori teorie che hanno ad oggetto la natura del 
diritto penale e la sua applicazione nella società. Affrontando il problema della 
funzione della pena, mi diramerò poi nell’analisi delle teorie della retribuzione, 
della prevenzione, soffermandomi anche sull’opinione utilitaristica di Bentham e 
garantista di Ferrajoli. Nel secondo capitolo analizzerò poi, due concetti 
fondamentali per la comprensione del problema morale penalistico: il concetto di 
persona ed il concetto di dignità. Partendo dalla concezione cristiana di persona, 
si effettuerà una naturale distinzione tra individuo e persona, approfondendone, 
per la sua piena comprensione, le relative teorie. Sempre nel secondo capitolo 
affronterò la questione del necessario mutamento penalistico in sede legislativa: 
l’umanizzazione del diritto penale attraverso la previsione di principi, divenuti 
oggi fondamentali, che garantiscano la tutela dei diritti dell’uomo e della sua 
                                                           
1
 G.Bettiol, Il problema penale, Palermo 1948, p.15.
8 
 
dignità. La pena verrà poi rivalutata dal punto di vista moralistico con l’analisi 
della teoria dell’Emenda, si valuterà quindi l’idea di pena come presa di coscienza 
del reo, come comprensione del male che esso ha causato attraverso la 
commissione del reato ed i relativi benefici che l’applicazione di questa teoria 
potrebbe fornire. Fin qui, quindi, si assisterà ad una analisi prettamente teorica e 
filosofica dei concetti di pena e di diritto. Nel terzo ed ultimo capitolo, questi 
concetti verranno analizzati da un punto di vista pratico, sia in senso normativo, 
con l’esplicazione dei principi fondamentali e della loro previsione negli 
ordinamenti nazionali ed internazionali, con un approfondimento riguardo la pena 
di morte e la sua previsione in alcuni ordinamenti odierni con le varie teorie in 
merito, sia come prova testimoniale dei soprusi e delle barbarie che ancora oggi 
sono presenti ed attuali nelle carceri del mondo. La mia tesi vuole essere un 
piccolo sprono alla presa di coscienza del fatto che nonostante le più illustri menti 
giuridiche e filosofiche si siano per secoli arrovellate sul problema del diritto 
penale, sulla doverosa presenza della legge morale in sede di legislazione penale, 
possiamo considerare i passi fin qui fatti, come dei grandi passi ma ancora troppo 
piccoli per la piena risoluzione della questione penalistica.
9 
 
CAPITOLO I 
IL CONCETTO DI PENA 
 
I.I La funzione della pena  
 
«Nell’espressione diritto penale ciò che si deve sottolineare non è 
l’aggettivo “penale”, ovvero l’inflizione di sofferenza, bensì il sostantivo “diritto”, 
ovvero l’insieme delle norme volte a porre precisi limiti e controlli alla funzione 
penale.»
2
 Questa è l’opinione del filosofo Mario Cattaneo sulla considerazione 
dello scopo del diritto penale, sottolineandone la funzione punitiva nei confronti 
dell’autore del reato e tutelativa nei confronti della vittima, ma anche una 
funzione che deve, per il suo stesso essere un “diritto”, considerare la dignità della 
persona; da ciò si deduce che le persone di cui la dignità deve essere tutelata sono 
sia la vittima, sia il reo, qualsiasi reato egli abbia commesso. Si percepisce l’idea 
di una moralità intrinseca in questa concezione, dalla quale non si può 
prescindere.  
Una concezione di questo genere richiama i cardini del giusnaturalismo, 
l’idea di una connessione necessaria tra diritto e morale scaturita dall’esistenza di 
un diritto naturale intrinseco alle persone e alle loro azioni, prescindendo dalla sua 
origine naturale, divina o razionale. Questa connessione comporta la 
considerazione del diritto come obbligatorio, proprio perché considera la morale, 
la salvaguardia della persona e della sua dignità umana.  
Sorge spontanea l’esigenza di porre una distinzione tra il concetto di pena 
e quello di sanzione e quale dei due concetti debba essere investito di maggiore 
considerazione nella nostra visione del diritto penale. I giusnaturalisti hanno 
fondato, come già accennato, la connessione tra diritto e morale che coincide 
anche con la differenza tra questi due concetti, il diritto infatti è coercitivo, 
                                                           
2
 Mario A. Cattaneo, Pena diritto e dignità umana saggio sulla filosofia del diritto penale. Torino 
1990, p.5.
10 
 
obbligatorio. Il problema può essere affrontato discutendo sulle idee di Kant e 
Ferrajoli da un lato e quelle di Binding e Rocco dall’altro. 
 Per Kant il concetto di diritto è connesso alla nozione di coazione, definita 
da Kant come Zwangsrecht, ovvero la facoltà di utilizzare la forza verso colui che 
ha commesso una violazione. La coazione per Kant si contrappone alla 
commissione di un atto illecito da parte di un soggetto nei confronti di un altro, 
atto causante la limitazione dei diritti della vittima che lo subisce, la coazione che 
viene contrapposta a quest’atto da parte di chi applica la legge, comporta una 
limitazione lecita, doverosa, della libertà di agire del reo.
3
 Kant esprime l’idea 
della pena come retribuzione doverosa, un dovere dello Stato nei confronti dei 
suoi cittadini, una tutela necessaria per contrastare la commissione di nuovi 
crimini, quindi un diritto penale volto sia alla riparazione di un danno e al 
ripristino della situazione giuridica soggettiva lesa, ma anche un diritto che ha 
come scopo la repressione dei crimini, il quale, infliggendo una pena, equa anche 
se severa, scoraggia non soltanto l’autore di quello specifico reato, ma anche 
l’intera società, dalla commissione di nuovi reati.  
Ferrajoli analizza e approfondisce l’argomento kantiano, affermando che 
“la pena non serve solo a prevenire gli ingiusti delitti, ma anche le ingiuste 
punizioni; non è minacciata ed inflitta soltanto ne peccetur, ma anche ne punietur; 
non tutela soltanto la persona offesa dal delitto, ma anche il delinquente dalle 
reazioni informali, pubbliche o private. «Pena» - … - non è solo un mezzo, ma è 
essa stessa un fine: il fine della minimizzazione della reazione violenta al 
delitto.”
4
 La pena ha un carattere esclusivamente pubblico, poiché viene inflitta 
indipendentemente dalla volontà dei soggetti, in quanto i diritti tutelati dal diritto 
penale sono indisponibili, cioè i loro titolari non possono rinunciarvi.  
Sul fronte sanzionatorio si espongono molti filosofi, uno fra tutti è 
Binding, il quale pone a fondamento del suo discorso la distinzione tra norma 
(Norm) e legge penale (Strafgesetz). La norma precede la legge penale, definendo 
ciò che è obbligo di fare e non fare, la legge penale sancisce la sanzione. Oggetto 
                                                           
3
 Immanuel Kant, Metaphysik der Sitten. Metaphysische Anfangsünde der Rechtslehre.  
4
 L. Ferrajoli, Diritto e Ragione. Teoria generale del garantismo penale. Bari, 1989, p.236; Il 
diritto penale minimo, in “Dei delitti e delle pene”, 3, 1985, pp.509-510.
11 
 
di violazione è la norma, non la legge penale, identificare la norma con la legge è 
un problema comune. Una critica alla teoria del Binding è stata promossa dal 
Rocco, il quale, pur essendo un positivista, capovolge l’idea della 
contrapposizione tra norma e legge, asserendo che la norma è parte stessa della 
legge, cioè precetto e sanzione si identificano nella legge penale, “dire, infatti, che 
chi commetterà una data azione sarà punito con una determinata pena, equivale 
perfettamente a vietare quell’azione sotto la minaccia di quella pena”
5
.  
Analizzare il problema da un punto di vista giuspositivistico, sembra 
minimizzare l’importanza dell’argomento, basandolo esclusivamente su questioni 
tecniche e terminologiche. Piuttosto, sarebbe opportuno tenere presente l’idea 
moralistica del diritto penale e il suo rapporto con il valore filosofico. È corretto 
considerare il lato garantista della certezza del diritto, ma occorre anche 
approcciarsi a quest’ultimo considerando i principi di moralità e giustizia, tipici 
del giusnaturalismo. 
 
I.II Teoria della retribuzione giuridica e morale  
 
Il problema penalistico è stato affrontato in ogni epoca storica, quindi può 
ritenersi che le varie teorie susseguitesi nel tempo, debbano essere 
necessariamente considerate in relazione ad un determinato arco temporale e 
spaziale, al fine di comprendere il ruolo del trasgressore e le garanzie che lo Stato 
gli riconosceva.  
Le teorie sulla funzione della pena possono essere raggruppate in due 
categorie: assolute e relative. Sono assolute le teorie dette “retributivistiche”, 
basate sul concetto di pena come quia peccatum est, che considerano cioè soltanto 
il male o la trasgressione commessa, punendo solo perché il reato è stato 
commesso. Sono relative, invece, le teorie dette “utilitaristiche”, che attribuiscono 
alla pena una funzione più ampia, cioè impedire la commissione futura di delitti 
simili, la pena quindi ha come scopo la repressione dei crimini a tutela della 
                                                           
5
 A. Rocco, Sul così detto carattere “sanzionatorio” cit., col. 65.
12 
 
società. Ciò che differenzia le due teorie è lo scopo finale della pena, “rendere 
male per male” quello della teoria retributivistica, prevenire e reprimere quello 
della teoria utilitaristica.  
Si inseriscono bene, a questo proposito, le parole di Antolisei, che 
chiariscono la differenza tra le due teorie: “Per le teorie della retribuzione…la 
pena non è altro che una ricompensa…Il reo ha violato un comando dell’ordine 
giuridico: egli merita un castigo e deve essere punito. Questo criterio generale ha 
assunto vari atteggiamenti, di cui due sono i principali: la retribuzione morale e la 
retribuzione giuridica. I seguaci della retribuzione morale sostengono che è 
un’esigenza profonda e incoercibile della natura umana che il male sia retribuito 
col male, come il bene merita un premio. Poiché il delitto costituisce una 
violazione dell’ordine etico, la coscienza morale ne esige la punizione… La teoria 
della retribuzione giuridica, d’altra parte, afferma che il delitto è ribellione del 
singolo alla volontà della legge, come tale, esige una riparazione che valga a 
riaffermare l’autorità dello Stato. Questa riparazione è la pena.”
6
  
La retribuzione morale farebbe capo a Kant, il quale considera la legge 
come imperativo categorico: “Das Strafgesetz ist ein kategorischer Imperativ”
7
, 
questa affermazione comporta l’associazione della pena alla morale, per Kant 
infatti, l’imperativo categorico è l’imperativo della moralità.
8
 Lo scopo della pena 
è la restituzione all’autore del reato di un male proporzionale a quello da lui 
commesso, elemento base dell’antichissima legge del taglione , la pena appare 
così una retribuzione etica, giustificata dal valore morale intrinseco alla legge 
penale infranta; altri due esponenti della teoria della retribuzione morale meritano 
di essere citati, Pellegrino Rossi e Giuseppe Bettiol. Rossi, penalista italiano 
ottocentesco, considerato uno dei maggiori esponenti della Scuola Classica
9
, 
                                                           
6
 F.Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte generale, III ed., Milano 1955, pp.484-485. 
7
 I.Kant, op.cit.cit., p.161. 
8
 I.Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, 1795, herausgegeben von K. Vorländer, 
Hamburg 1965, II Abschnitt, pp. 36-37.  
9
 F. Cavalla, La pena come riparazione, p. 12: «Quando si parla di Scuola Classica ci si riferisce 
ad un movimento giuridico della seconda metà dell’Ottocento in Italia. Tale scuola muove dal 
presupposto del libero arbitrio da cui derivano alcune conseguenze. In primo luogo si afferma che 
l’uomo è libero di autodeterminarsi in quanto è in grado di conoscere con certezza il bene e il 
male; presupposto soggettivo della pena è esclusivamente la colpevolezza, in quanto l’uomo è 
rimproverabile per le sue scelte; infine il comportamento degno di pena è soltanto la commissione
13 
 
fonda il diritto penale sull’idea “di un ordine morale preesistente in tutte le cose, 
eterno, immutabile”, il quale, “comprende tutto ciò che è bene in sé medesimo… 
la società, entro i limiti di quel dovere che le impone di conservarsi, ha il diritto di 
rendere male per male… la pena è la retribuzione fatta da un giudice legittimo, 
con ponderazione e misura del male per il male… per noi l’essenziale elemento 
che si richiede a costituire un delitto è la violazione di un dovere”
10
. L’idea di 
Rossi è fondata, quindi, sul concetto di doverosità e legittimità di “rendere male 
per male”, pur mantenendo distinte la giustizia terrena e quella divina. La giustizia 
terrena fa capo all’ordine sociale, quella divina all’ordine morale, dice Rossi:” 
Non è legittima la forza sociale se non considerata come protettrice 
dell’uguaglianza di diritto tra uomo e uomo, e come protettrice dell’ordine 
politico in seno al quale l’umanità si muove e si sviluppa”
11
. Giuseppe Bettiol, 
giurista e accademico italiano, sostiene la concezione puramente moralistica della 
retribuzione, asserendo che è quasi una necessità umana ripagare il male subito 
con altro male, e il bene con altro bene; ciò non deve considerarsi come una 
vendetta, piuttosto come un sentimento di giustizia da configurare in un castigo. 
Bettiol sottolinea quindi il valore etico della pena, da considerarsi sì come 
giuridica, ma soprattutto come morale.
12
In quanto castigo per il male commesso, 
inoltre, la pena si giustifica laddove la persona scelga volontariamente e 
consapevolmente di violare la norma pur avendo, invece, la possibilità di 
osservarla. In tal senso, il presupposto per l’applicazione della sanzione è la 
concreta capacità di intendere il valore etico e sociale delle proprie azioni e di 
determinarsi liberamente in reazione alle medesime, sottraendosi all'influsso dei 
fattori interni ed esterni.
13
 
La retribuzione giuridica, invece, persegue due scopi fondamentali: 
stabilire “chi” deve essere punito e “come” deve essere punito. Ciò significa che 
questa teoria mira a definire i limiti della punizione giuridica e il suo 
                                                                                           
di un reato che è determinato tassativamente e oggettivamente. Quello della Scuola Classica 
appare così essere un diritto penale del comportamento». 
10
 P.Rossi, Trattato di diritto penale, trad. it., Milano 1852, pp. 143-  
151-159-174. 
11
 P. Rossi, op. cit. p. 184. 
12
 G. Bettiol, Diritto penale cit., p.803. 
13
 F.Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova 1992 p. 560.