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Cura di sè e conversione in età imperiale



La cultura di sé diviene veramente estesa solo agli inizi dell'epoca imperiale. In 2 modi: disancoraggio dalla pedagogia (la pratica di sé non è più come nell'Alcibiade un precetto da imporre all’adolescente, ma ha valore in rapporto all’intera vita. Si identifica ora con l’arte di vivere) – la pratica di sé non è solo una faccenda maestro/discepolo ma si intreccia con un complessa rete di rapporti. Autofinalizzazione = ci si cura di se per se stessi. Ciò ci rimanda a una serie di immagini: distoglierci da ciò che ci distrae, rivolgere lo sguardo verso noi stessi, tornare al centro di se stessi.
Queste immagini richiamano la nozione di conversione. Esiste l’espressione ad es. in Seneca, ma essa avrà valore soprattutto nel cristanesimo, o in ambito morale o politico. In Platone è il tema è sviluppato sotto la forma dellla nozione di epistrophè. Essa consiste nel distogliersi dalle apparenze, poi nel far ritorno a sé dopo aver constatato la propria ignoranza e aver deciso di occuparsi di sé, nel suo 3°momento si parla di un ritorno a sé destinato a condurci alla reminiscenza (la propria vera patria, quella delle essenze, della verità e dell’essere). Si parla dunque di: distogliersi da, volgersi a, far atto di reminiscenza, tornare alla propria patria ontologica. C’è dunque l’opposizione tra questo mondo e l’altro e il tema dell’affrancamento dell'anima dal corpo-tomba. Privilegio dato alla conoscenza. Conoscere il vero = conoscere se stessi = liberarsi. Reminiscenza come forma fondamentale della conoscenza. Ma la conversione di cui si parla nella cultura e pratica di se ellenistica e romana è diversa. Non c’è opposizione tra 2 mondi ma un ritorno anche a questo mondo. Ma questa conversione ci induce a spostarci da ciò che non dipende da noi a ciò che dipende da noi. Siamo sempre nell’asse dell’immanenza. Poi non è una liberazione rispetto al corpo, ma l’istituzione di un rapporto completo con se stessi. Poi la conversione si effettua non a partire da un cesura col corpo ma nell’adeguazione di sé a se stessi. Infine la conoscenza non è fondamentale. Fondamentale è l’esercizio, la pratica, l’askesis. Nel cristianesimo esiste la nozione di metanoia, a partire dal 3° sec. Indica da un lato la penitenza, dall’altro il cambiamento radicale. Esso è un mutamento improvviso. Che avviene in un unico evento capace di trasformare. Poi nella conversione cristiana si passa da un tipo d’essere a un altro, dalla morte alla vita. Ancora, il sé che si converte ha rinunciato a sé stesso. Bisogna morire a se stessi.

Tratto da ERMENEUTICA DEL SOGGETTO di Dario Gemini
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