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Le favole morali di De Sica e Zavattini


De Sica e Zavattini durante il loro pluriennale sodalizio imparano a sondare il visibile dell’animo umano fino a profondità mai raggiunte.
Nel 1946 con Sciuscià la coppie ottiene riconoscimenti in Italia e all’estero, riporta una veridicità indiscutibile pur essendo costruito in parte in studio; a differenza di Rossellini, De Sica non mantiene l’equidistanza dai propri personaggi ma ne carica la soggettività mostrandone la forte intensità emotiva. Sarà con Ladri di Biciclette (1948) che la coppia otterrà riconoscimento mondiale anche grazie all’assegnazione di un oscar. Da ammirare le abilità con cui De Sica ottiene performance eccezionali da attori che recluta dalla strada, che risultano irripetibili in quanto nessuno degli attori da lui utilizzati ha più continuato con la carriera recitativa. Con Miracolo a Milano (1951) l’obbiettivo si sposta nella favola lasciando più spazio all’invenzione zavattiniana, si rivendica in quest’opera il potere dell’immaginazione e dell’utopia. La storia ricca di simbolici riferimenti alla pittura di Chagall e al cinema di Rene Clair mostra l’impossibilità dei poveri di vedere realizzati i sogni di un’equa distribuzione delle ricchezze. In Umberto D. (1952) si torna alla presentazione del reale mostrando il dramma quotidiano di un pensionato costretto a vivere con 18000 lire al mese, la situazione è caricata di una tale forza emotiva da provocare reazioni negative nella critica e nel pubblico che preferiscono dimenticare questo aspetto del reale.  Fino agli anni sessanta la coppia sarà caratterizzata da alti e bassi fino alla consacrazione con La Ciociara (1960) e Il giudizio universale (1961) che renderanno note la voglia della coppia di muoversi nella favola morale ed esplorare il piacere della denuncia, dell’indignazione e dell’humor nero.

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