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La metaletterarietà di Bufalino e Metardo


Anche l'Agatha Esther di Qui pro quo affida del resto, e non a caso, alle onde del Mediterraneo, l'ennesima busta lasciata da Medardo, gettando in un mare annoiato e indifferente quanto lei, l'eventuale soluzione del mistero intorno al quale tutti i personaggi si erano vanamente affannati all'interno della gabbia – rifugio delle Malcontente. A conoscere il segreto (o l'inesistenza di esso) rimangono solo il mare e Bufalino, che una volta di più lascia deliberatamente a mani vuote il destinatario e fruitore della sua creazione. La sfida tra autore e lettore che si consuma fuori del testo ma intorno ad esso, ne riproduce i tratti truccati, caricandosi di un di più di slealtà dovuta alla disparità delle forze in campo. L'artefice gioca a mimare l'Artefice sempre più da vicino, si diverte sadicamente a chiudere in trappola l'indifeso antagonista, a confonderlo e spiazzarlo, costruendo intorno a questo suo incolpevole, ulteriore doppio, tutta una serie di enigmi dei quali gli fornisce per di più sadicamente coscienza. Il detective, del resto, non è più la lunga mano di Dio e lo stesso delitto al centro del giallo non è più rappresentato dall'indispensabile, disinteressata, marmorea, ebete presenza di un cadavere senza qualità, bensì da un architetto del caos, seminatore di false soluzioni del proprio stesso omicidio. Sopra e dietro di loro c'è lo scrittore, riconoscibile in entrambi i personaggi, replicante di Agatha, scrittrice di gialli, e di Medardo, individuo dalla mente e dai discorsi obliqui, a propria volta artefice, attore e regista del giallo in questione. Lo scenario nel quale si muovono, è coerentemente improntato ad una insistita metaletterarietà, conferma quasi esasperatamente la riduzione del mistero all'interno dell'universo narrativo, attraverso continue allusioni all'equivoca ma ineludibile subordinazione dell'esistenza reale alla letteratura, della verità alla finzione. È lo stesso Medardo a dichiarare senza riserve di credere nell'immortalità dei generi letterari, nonché nel fatto che “si possano ricondurre tutti ad un unico schema e ceppo ch'è il genere misterioso” poiché “non esiste peripezia immaginaria o reale, che non si possa declinare secondo quell'unico paradigma”. Medardo si sovrappone a Bufalino, mettendo significativamente l'accento sul salvifico istinto di sottrarre il mistero all'arbitrio per ricondurlo nell'alveo di una familiarità di tipo letterario, anche se, dato che “la vita intera è un mistero da camera chiusa a cui la letteratura intera si adegua”, forse è da concluderne, ancora sulla scia di un Bufalino pronto sempre a gettare la penna, che non vale più la pena di continuare a mimarne fittiziamente le dinamiche.

Tratto da LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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