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La posizione di Palmiro Togliatti nel PCI


Non mancheranno, comunque, gli interventi rassicuranti e ortodossi, volti a minimizzare gli elementi di autocritica e a ribadire la validità del gramscismo e della via italiana, macchiati solo in maniera contingente da qualche stortura. La posizione ufficiale del PCI è scandita da due articoli famosi di Palmiro Togliatti: il primo risale a luglio ed è relativo ai moti operai in Polonia; il secondo, incentrato sugli eventi in Ungheria, schierandosi contro gli insorti e in difesa dell'invasione sovietica. A stupire maggiormente, però, non è tanto il permanere di larga parte degli intellettuali di sinistra in un PCI che muta solo parzialmente – molto parzialmente – il suo giudizio sul socialismo realizzato, quanto la rimozione – per non dire la scomparsa – per lunghi anni della riflessione su questi temi. La famosa intervista di Togliatti a Nuovi Argomenti non sarà certo un punto di partenza, quanto un punto di arrivo, oltre il quale nessuno, per molto tempo, si spingerà. Perché? In parte per la volontà di non indebolire il blocco, in parte per l'incapacità di fare i conti con la rimozione precedente. C'era, inoltre, qualcosa di più profondo e di più radicale: una incapacità di riflettere sul socialismo in occidente, come ebbe a dire Fortini nel 1954. Il permanere dell'URSS nella cultura italiana non ha niente di mitico, ma ha qualcosa di difensivo, il surrogato malinconico di un modello di socialismo nei paesi a capitalismo avanzato che, tutto sommato, era stato l'unico modello convincente.
Altri temi del dibattito culturale del 1956 ci conducono negli anni successivi: in primo luogo la natura del capitalismo italiano e le caratteristiche delle trasformazioni in corso. È crescente la consapevolezza che il dopoguerra è finito davvero e che il neocapitalismo è anche in Italia una realtà dalle forti capacità egemoniche, eppure per una matura riflessione in merito da parte del PCI bisognerà attendere il convegno del 1962 promosso dall'Istituto Gramsci e incentrato sulle tendenze del capitalismo italiano.
Nel frattempo un insieme di riviste e gruppi intellettuali esterni al partito finirono per convivere, pur appartenendo a due ali diverse e seppur provvisoriamente, in un proficuo scambio. Così l'anima tecnologia e riformista potè incontrarsi con quella rivoluzionaria, aprendosi per la prima volta – cosa fondamentale – a tematiche sino ad allora tabù: sociologia, psicanalisi, antropologia. Un processo di sprovincializzazione ben sintetizzata dalle parole di Roberto Guiducci: la cultura più avanzata è stata per noi non una cultura d'avanguardia ma una cultura di recupero. L'esperienza di Luciano Bianciardi è la più rappresentativa.
Solo a posteriori, verso il 1965, gi spaesamenti e i disamori verrano esplicitati per intero, in romanzi come Il comunista di Morselli o in film come Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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