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La Hypnerotomachia Poliphili attribuita a Francesco Colonna di Treviso


Alla fine del II libro l'opera è datata 1467, ma probabilmente la composizione si è protratto per parecchi anni dato che appare solo nel 1499 a Venezia. È un'opera che segue la forma tradizionale del romanzo allegorico, forma costante dal Roman de la Rose fino agli scrittori di Massimiliano I ed oltre. Domina ancora incondizionatamente il principio medievale della poesia didascalica enunciata da Dante e a Dante è ispirata anche l'introduzione. Il resto si appoggia, a volte persino letteralmente, alle opere allegoriche del Boccaccio, specialmente nella Amorosa Visione.
La Polia, amata da Polifilo, è la personificazione dell'antico ideale del Rinascimento ed è ritagliata su quella di Beatrice nella Commedia, compresa la corrispondenza con una persona in carne ed ossa. Naturalmente questa impalcatura esterna cede il passo ai nuovi concetti del Rinascimento su Vitruvio. L'intonazione fondamentale è di tipo romantico, nel senso quattrocentesco. La lingua è particolare: cominciato in latino, come risulta dalla prefazione, fu poi scritto in un bizzarro idioma misto di volgare colorito di veneziano che latineggia secondo le sue forze. La parodia di questo tipo di linguaggio la troviamo nella coeva poesia maccheronica o fidenziana dell'Italia Settentrionale. Vero è che moltissimi pedanti del Quattrocento si affaticavano per rendere ampollosa a tutti i costi la lingua volgare nel tentativo di avvicinarla alla dotta lingua latina, ma questa mania raramente è andata oltre come nel Colonna, così che si è giunti a dubitare se quest'opera debba essere considerata frutto di uno scrittore latino o italiano. Per trovare qualcosa di simile dobbiamo scendere fino alla letteratura greco – moderna. Uno stile bizzarro, dunque, che brulica non solo di termini vitruviani ma anche di passi greci e perfino arabi. Qui incontriamo per la prima volta l'espressione arabesco, oggi per noi così consueta. È noto quanto l'arabesco abbia avuto ruolo di primaria importanza nell'arte industriale veneziana.
Le antiche rovine esercitano grande fascino sul Colonna, che fa vivere la stessa sensazione al suo Polifilo, fissandole per la prima volta letterariamente su un'opera di una certa estensione. Sui fili di una storia d'amore allegorica abbastanza insignificante, si intessono fantasie su antichi edifici, che corrispondono alle architetture della pittura contemporanea. In sostanza il libro è un commentario romantico a Vitruvio. Soprende soprattutto la parte che è dedicata al geroglifico egiziano.
Ma non tutto quello che troviamo nel libro è frutto di fantasia romantica. Appare, ad esempio, il famoso rilievo di putti che si trovava fin dalla fine del '400 nella chiesa dei Miracoli di Venezia, attribuito a Prassitele; appare anche l'elefante che porta l'obelisco di Catania, noto dalla copia che ne fece il Bernini sulla piazza della Minerva a Roma.

Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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