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Dante Alighieri e l'incontro con Iacopo del Cassero - Purgatorio -

Dante Alighieri e l'incontro con  Iacopo del Cassero - Purgatorio -

Il Purgatorio si attesta in un certo senso su un piano mediano tra l'eccesso del degradato Inferno e il sublime dell'altezza del Paradiso. Lo dimostra, tra l'altro, il regime solitamente non ricercato delle rime, a descrivere un mondo popolato da una umanità più fragile ma anche più piena. Il discorso vale anche per l'Antipurgatorio, percorso da descrizioni tra le più soavi che Dante abbia mai messo su carta. Queste descrizioni stanno in un preciso rapporto tonale con l'esperienza di malinconica umiltà e di dolce disorientamento nell'attesa di quelle anime, sottolineata soprattutto dalla similitudine delle pecorelle che escono dal chiuso.
Il primo personaggio che andiamo a incontrare è Iacopo del Cassero che subito instaura con Dante un rapporto di forte fiducia (sanza giurarlo). La sanguinosa descrizione della sua fine fa contrasto con ciò che precede, vale a dire la consueta richiesta al pellegrino di sollecitare preghiere per accorciare il tempo della penitenza, e lo fa per l'insistito ritorno al motivo (priego 68, prieghi 70, s'adori 71). Sintatticamente la transizione alla scena della fuga e morte è segnata con forza da un ma tanto più energico perché collocato al centro del verso, il 73, in opposizione al pacifico e anagrafico Quindi fu' io. La descrizione della fine è di intensissima concisione: tutta una serie di particolari della caccia e del ferimento sono taciuti, appare solo Iacopo inseguito e trafitto a morte, visto con un realismo che prima di Dante era inconcepibile, Omero escluso ma a Dante sconosciuto. Dante offre delle coordinate precise del luogo dove è avvenuto il delitto, due cittadine o paesi veneti non rappresentati nemmeno nelle cartine del tempo. È un paesaggio non astratto, anzi, fortemente concreto, fatto com'è di canne palustri e fango che gli impediranno di sottrarsi all'assassinio. L'immagine della morte di Iacopo è una iperbole che si converte in realismo psicologico e visivo assoluto: Dante non menziona i colpi subiti dall'uomo eppure noi lo vediamo contemplare inorridito e stupefatto il loro effetto, contemplando il proprio svenamento come se non stesse accadendo a lui ma a qualcuno accanto.
Il passaggio di parola tra Iacopo e Bonconte avviene senza transizione, come per concretizzare l'ansioso accavallarsi dei racconti e delle richieste, come se la voce del secondo personaggio sormontasse impaziente quella del primo. Proprio l'ansia di comunicare è alla base dell'invocativo deh di Iacopo e poi di Pia, mentre un altrettanto addolorato Oh si aggiunge al Deh per introdurre la risposta di Bonconte. Dante gli attribuisce un pentimento in extremis e proprio a questo è dovuto il mancato ritrovamento del corpo. La scena che il poeta tratteggia è famosissima: un diavolo si sta preparando a trascinare l'anima di Bonconte all'Inferno ma l'ultimo suo pensiero viene rivolto alla Madonna e l'ultimo suo atto è di formare una croce con le braccia. Questo basta per giustificarlo agli occhi di Dio. Un angelo sopraggiunge per accompagnare l'anima in Purgatorio e il diavolo si vendica facendo cadere il corpo di Bonconte nel torrente Archiano in piena, per sciogliere il suo segno di croce e disperderlo per sempre. Proprio l'episodio dell'uragano scatenato dal diavolo colpisce Dante, che lo rende camera di risonanza alla tragica fine di Bonconte e contemporaneamente contrapposizione efficace fra lo scatenarsi mal guidato degli elementi e la quieta salvezza dell'anima con le braccia in croce nel nome di Maria. Dante, rifacendosi al Tresor del maestro Brunetto Latini, carica la descrizione con tutta una serie di forme verbali oggettive (trovò, sospinse, sciolse, voltommi, coperse, cinse) e di notazioni disforiche e terrificanti della natura scatenata che fanno del passo una sorta di brano di Inferno nel Purgatorio.

Tratto da STORIA DELLA LINGUA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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