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L'apertura musicale dei paesi dell'est Europeo


Canto popolare e apertura internazionale nei paesi dell’Est europeo: Karol Szymanowski, Zoltàn Kodaly e Béla Bartòk.

Nel corso dell’Ottocento, parlando delle scuole nazionali, nelle regioni ai margini della Mitteleuropa e dei paesi mediterranei di consolidata tradizione storica (Italia e Francia) fossero maturate, nella coscienza dei compositori particolarmente sensibili a certe istanze, aspirazioni ad una riscossa culturale che spesso avevano come esito artistico un innesto di temi e ritmi desunti dal folclore locale sul corpo di linguaggi fortemente in debito con la cultura egemone.
Siamo nel Novecento. Queste istanze vengono avvertite con maggiore urgenza, da un lato stimolate da un nazionalismo sempre più acceso, rinfocolato sia dalla coscienza del progressivo sgretolamento politico delle potenze egemoni, sia dall’urgenza di partecipare a quel movimento di rinnovamento linguistico che, corrodendo dall’interno il processo evolutivo della stessa cultura egemone, la stava facendo approdare alla modernità.
Nei paesi dell’Est europeo, dove pesantemente aveva dominato il giogo dell’impero asburgico e della Russia Zarista, i compositori erano animati da un insopprimibile bisogno di riscatto e di mutamento politico e culturale. Per svincolarsi dai modelli tradizionali approdarono all’avanguardia, cercando però di salvaguardare la propria personalità creativa e la propria identità culturale.
Karol Szymanowski (Kiev 1882 – Losanna 1937) si caratterizzò per le composizioni intrise di lirismo, di florilegi e arabeschi sensuali. Ricordiamo di lui lavori come Terza Sinfonia e Stabat Mater.
Zoltàn Kodaly (Kecskemèt 1882 – Budapest 1967) si laureò nel 1906 in lingua e letteratura ungherese e tedesca, con una tesi sulla Struttura strofica della canzone popolare ungherese. Si perfezionò a Berlino e a Parigi, dove conobbe la musica di Debussy, che esercitò il maggiore influsso sul compositore dopo la musica popolare ungherese. Assieme a Bartòk pubblicarono il Corpus Musicae Popularis Hungaricae, pubblicato in otto volumi dall’Accademia d’Ungheria.
Come compositore esordì con pezzi pianistici e, insieme con Bartòk, con l’edizione di Venti canti popolari ungheresi, per voce e pianoforte, armonizzati in un contesto non tonale ma pentatonico e modale. Analoghi criteri seguì anche per i suoi pezzi orchestrali e corali a più largo respiro, come il Psalmus Hungaricus, scritto per il cinquantesimo della riunione di Pest a Buda.
Fu fautore della diffusione della cultura e dell’educazione musicale, cercando di allargarne gli orizzonti, facendola iniziare nella scuola materna ed elementare, ricercando il passato musicale comune dei popoli ugrofinnici, e spostando la cultura musicale ungherese, prevalentemente monodica, verso la coralità.
Béla Bartòk (Transilvania 1881 – New York 1945) giunse ad esiti talmente importanti da rappresentare un’esperienza creativa e complessa meritevole addirittura di affiancarsi a quella di Schonberg e Stravinskij. La produzione musicale di Bartòk è inizialmente debitrice nei confronti dei modelli tardo ottocenteschi (su Brahms e Liszt si era formato da giovane) ma a partire dal 1907 si caratterizzerà in maniera assolutamente originale.

Tratto da STORIA DELLA MUSICA di Gherardo Fabretti
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