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Fibrillazione atriale


È assai frequente nel periodo postoperatorio specie in caso di età avanzata, scompenso cardiaco e cardiopatie con associata dilatazione atriale.
Come per altri disturbi del ritmo esistono fattori favorenti, spesso collegabili direttamente od indirettamente all’intervento. Il trattamento ha due obbiettivi:

1) prevenzione di complicanze tromboemboliche:
Dopo un’accurato bilancio tra rischio emorragico e rischio embolico (quest’ultimo è aumentato in caso di pregresse embolie sistemiche, età avanzata o cardiomegalia) si può ricorrere all’eparina, agli anticoagulanti orali o agli antiaggreganti piastrinici.
2) controllo della frequenza ventricolare e tollerabilità emodinamica:
In caso di fibrillazione atriale ben tollerata, è possibile un ripristino spontaneo del ritmo sinusale, in particolare dopo i primi 7-10 giorni postoperatori. Può quindi essere sufficiente controllare la frequenza venticolare attraverso la somministrazione di farmaci ad azione cronotropa negativa come la digitale (in assenza di ipereccitabilità ventricolare) o i β-bloccanti ed i calcioantagonisti (se la funzione ventricolare sinistra è conservata).
In caso di cattiva tolleranza emodinamica anche dopo adeguato controllo della risposta ventricolare è indicata la cardioversione della fibrillazione atriale. Questa può essere farmacologica (amiodarone) o elettrica. Quando le condizioni di instabilità emodinamica richiedano un intervento d’urgenza si ricorre direttamente alla cardioversione elettrica.

In pazienti preoperatoriamente in ritmo sinusale in cui la fibrillazione atriale persista per più di due o tre mesi dopo l’intervento, vi è generalmene indicazione alla cardioversione farmacologica ed eventualmente elettrica. Prima di qualunque tentativo di ripristino del ritmo sinusale è opportuno un periodo di trattamento anticoagulante di almeno tre settimane ed un esame ecocardiografico transesofageo per escludere la presenza di trombi atriali. Dopo la cardioversione, il trattamento anticoagulante viene proseguito per alcune settimane come profilassi tromboembolica. D’altra parte, in pazienti il cui unico episodio di fibrillazione atriale sia intercorso nel periodo postoperatorio, non è stato dimostrato alcun beneficio, riguardo alla riduzione dell’incidenza di recidive, riferibile ad una profilassi antiaritmica.

Tratto da APPUNTI DI CARDIOCHIRURGIA di Alessandra Di Mauro
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