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La sentenza del Maggio 1968


Alcuni privati riescono a portare davanti alla Corte costituzionale ed a far dichiarare illegittimi parte dell'art. 7 e l'art. 40 della legge urbanistica del 1942.

La tesi che la Corte accoglie è sviluppata come segue: il piano regolatore generale, una volta approvato, ha vigore a tempo indeterminato; anche i vincoli di destinazione di zona per uso pubblico indicati dall'art. 7 sono validi a tempo indeterminato e sono immediatamente operativi. Viene così a determinarsi un distacco tra l'operatività immediata dei vincoli previsti dal piano regolatore generale e il conseguimento del risultato finale. Quest'ultimo, è infatti dilazionato a data incerta e imprevista e imprevedibile nel suo verificarsi. Un vincolo immediatamente operativo, il cui indennizzo è rinviato nel tempo, deve ritenersi di carattere espropriativo. Tuttavia la Corte riconosce che il principio della necessità dell'indennizzo non opera nel caso di disposizioni le quali si riferiscono a intere categorie di beni, sottoponendo in tal modo tutti i beni della categoria senza distinzione ad un particolare regime di appartenenza.
Imposizioni sui beni, a titolo particolare, non possono mai eccedere, senza indennizzo, quella portata al di là della quale il sacrificio imposto venga a incidere sul bene, oltre ciò che è connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell'attuale momento storico.

Ma cos'è connaturale al diritto dominicale, quale viene riconosciuto nell'attuale momento storico?
Per la Corte costituzionale tutte le aree sono edificabili. La Corte ribadisce che è legittimo fissare indici di fabbricabilità differenziati, anche molto bassi. Limitazioni siffatte devono considerarsi funzionali alle esigenze di ordine nell'edilizia. Non è invece legittimo, senza previsione di indennizzo, fissare quei vincoli che, pur consentendo la conservazione della titolarità del bene, sono tuttavia destinati ad operare immediatamente una definitiva incisione profonda.
La sentenza fu decisa a maggioranza, nell'adunanza del 9 maggio 1968. Secondo il consiglio di Stato, il divieto assoluto di edificazione svuota del tutto il diritto di proprietà quando si riferisce ad un'area da ritenersi fabbricabile, in quanto quel contributo ha natura ben diversa dall'indennizzo, perché essendo commisurato all'importo degli stanziamenti di bilancio, non è oggetto di un diritto certo e perfetto.

In conclusione, la costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità promossa dal Consiglio di Stato. Per la Corte costituzionale quindi, mentre sono legittimi i vincoli di inedificabilità per la tutela del paesaggio, sono invece di natura espropriativa, e perciò illegittimi se non indennizzati, quei vincoli che individuano gli spazi da destinare a impianti pubblici e di uso pubblico.

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