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ETICA


Paul Valerie
paragona l’architetto alla figura del medico chirurgo a livello di responsabilità etica.

Platone afferma che c’è una relazione stretta tra la dimensione estetica e la dimensione estetica infatti nel “Simposio” egli parla dell’amore per le cose belle e del fatto che la civiltà si fonda sull’amore per le cose belle che determina il bene (la bellezza di un luogo inibisce atteggiamenti poco etici e poco rispettosi ma fa stare bene).
Platone crede che un oggetto artistico che è bello in senso estetico sa insieme bello in senso etico. L’arte può essere a servizio della falsità (autoreferenzialità) ed essere negativa oppure a servizio della verità (universalità e referenzialità) ed essere positiva ma il risultato ultimo è etico perché le domande sulla falsità e sulla verità sono anche domande sui loro effetti sulle azioni umane e sulle scelte che fondano le azioni umane per cui sono domande etiche.

Questo discorso comincia a cadere tra l’Ottocento e il Novecento in particolare con Hegel e con il fatto che l’arte di autonomizza.
La sperimentazione del criterio di autonomia scioglie la relazione tra la dimensione estetica e la dimensione etica.

Autonomia significa sganciare l’arte da qualunque valore estrinseco, anche etico basti pensare al movimento “Arte per l’arte” che promuove il fatto che l’arte non ha bisogno di giustificazioni estrinseche neppure etiche.
I filosofi e gli artisti moderni e contemporanei arrivano a distanti dalla posizione di Platone basti pensare a Oscar Wilde, il quale crede che l’arte sia amorale nel senso che l’arte non ha nulla a che fare con la morale e questa è la cultura dominante tra i due secoli, e il filosofo Cousin insegna che gli oggetti artistici sono autonomi da qualsiasi istanza etica.
Si crede quindi che etica ed estetica non abbiano nulla a che fare l’una con l’altra, si sviluppa l’idea di un’art pour l’art.
Alcuni autori cercano però di riabilitare il legame tra etica ed estetica.

Dewey insiste sulla necessità di considerare gli effetti etici dell’arte ma soprattutto dell’architettura che ha il potere di entrare nella quotidianità di qualsiasi essere umano.
Secondo lui l’architettura ha la responsabilità di esprimere i valori che perdurano della vita umana collettiva e quindi l’architettura rappresenta una sintesi della totalità dei valori umani condivisi dagli individui di una società che sono etici essendo in qualche modo memorie del passato e aspettative del futuro.
L’architettura si distingue dalle altre arti per il fatto di avere una maggiore condivisibilità rispetto le altre arti ovvero si esperisce un libro se si ha la volontà di leggere un libro ovvero se si sceglie di entrare in libreria mentre si esperisce un’architettura anche in modo non volontario o non consapevole ma soltanto per il fatto di essere nello spazio fisico e atmosferico.

Nelson Goodman segue la lezione di Dewey ma aggiunge che un’opera architettonica si distingue dalle altre opere artistiche per la sua dimensione infatti un edificio, un parco o una città non sono soltanto più grandi delle altre opere artistiche ma anche degli esseri umani.
L’architettura inoltre può riorganizzare l’esperienza degli uomini infatti può dare una visione su cosa sia un essere umano e riesce a rappresentarlo con sé stessa.
Un edificio è in grado di plasmare la visione degli esseri umani e permette di comprendere meglio e rappresentare potenti idee (cos’è l’essere umano, cos’è la giustizia laica, cos’è l’abitare).
Goodman sostiene che un oggetto artistico rappresenta i mondi che non ci sono ancora e non il mondo che c’è già, questa tesi ha la pericolosità di qualsiasi meccanismo autoreferenziale che è pericoloso appunto in quanto diminuisce gli attriti che un progetto deve saper superare infatti i meccanismi autoreferenziali illudono di non fare errori e spingono ad una pigrizia intellettuale che significa una ricerca insufficiente si progetti preferibili e quindi di trasformare un errore che irreversibile e irrimediabile.

Heiddeger ritiene che abitare sia ancor più essenziale che costruire perché l’abitare è dato dalla cura che è in qualche modo una questione etica.
La cura della quadratura è possibile a condizione che gli individui non riducano la loro capacità di abitare a qualcosa di analogo ad uno stanziamento di fronte alle cose, abitare deve significare invece stare presso le cose.

Adorno, filosofo tedesco, ritiene che l’architettura degna degli uomini ha un’opinione degli uomini migliore di quella del loro stato reale in questo caso si ha un’opera architettonica che è anche opera d’arte perché migliora e fa vedere agli uomini cosa potrebbero essere al meglio.

Le opere d’arte quindi restituiscono una visione di sé stessi migliore, una sorta di compimento identitario di ognuno all’ennesima potenza.
Quando parla dell’istanza civile dell’architettura ritiene che questa debba essere utopica nel senso che deve anticipare una qualità dell’esistenza umana che supera lo status quo.
Adorno crede inoltre sia importante studiare le opere non compiute degli architetti in quanto essendo troppo visionarie per essere compiute significa che hanno una visione tanto migliore che non ha ancora trovato una propria realizzazione compiuta.
Suggerisce come vivere meglio facendo focus sempre su quella che è la spaziotemporalità umana.

Qualsiasi costruzione concreta è fondata su risposte date a interrogativi astratti per cui le costruzione architettoniche che entrano nell’esistenza degli esseri umani devono risultare dal ragionamento filosofico che ha il potere di allargare l’insieme delle soluzioni possibili e questo significa avere una probabilità maggiore di sapere scegliere la soluzione reale preferibile.

Garroni crede che l’architettura debba essere un’arte non confondibile con le altre arti contemporanee caratterizzate da uno statuto consumistico e ludico perché ha un ruolo etico e quindi non può e non deve essere arte di intrattenimento e di consumo - “l’architettura non è un gioco” - ma può essere progettata come attività formativa e gli architetti devono dedicarsi alla bellezza e all’arte in senso antico intese come contenitore simbolico di vita civile.
Il significato che Garroni attribuisce all’architettura sembra essere analogo al significato dell’avvertimento di Mies van der Rohe secondo il quale bisogna “Costruire come l’ingegnere” in quanto se la volontà è di fare qualcosa che sia un’architettura alla quale è possibile riconoscere una bellezza è necessario ricordarsi che la bellezza artistica architettonica è qualcosa che si trova fra le cose.
Garroni inoltre attacca gli architetti-poeti, noti oggi come archistar, che eccedono nel ludico per ragioni narcisistiche in quanto secondo lui gli architetti devono dedicarsi alla bellezza antica e diffusa dell’arte nel senso antico che è data da una progettazione pensata, un uso accorto di materiali, una collocazione nello spazio urbano e un’utilizzabilità.
Occorre sostituire l’architetto-poeta con un architetto demiourgos che è l’artefice che fa e non crea e la parola demiourgos sintetizza il significato civile del mestiere dell’architetto nel senso che è colui
che lavora a servizio dell’esplicitazione dell’identità delle architetture che costruisce e non lavora a servizio dell’esplicitazione dell’identità di sé attraverso le architetture che costruisce.

Affermare che l’architettura ha un’essenza etica e civile non significa che non può e non deve essere arte ma significa dire che è possibile che sia riconosciuta arte se risponde in modo perfetto alle domande funzionali, culturali, politiche e sociali, cioè etiche e civili, fatte dai suoi fruitori, si tratta di domande che comprendono la richiesta di sapere rispondere al bisogno umano ovvero dare una forma a un significato.

Vattimo e Cacciari partono dalle indicazioni di Hegel.
Secondo Vattimo l’obiettivo dell’architettura è qualcosa di analogo alla possibilità di confortare intesa non come qualcosa che da comfort ma come qualcosa che induce al bene per cui l’architetto deve essere in grado di cogliere tutti gli elementi che compongono le aspettative di una comunità nei confronti di un progetto, la comprensione delle aspettative umane condivise significa la comprensione dei bisogni umani condivisi.
Secondo Cacciari l’architettura può dare visibilità ai bisogni umani anche se non risponde alla loro soddisfazione.

Esiste una relazione tra la Scuola filosofica di Milano e la Scuola architettonica di Milano, in particolare Paci e Rogers sono i maggiori esponenti tra coloro che credono nella valenza etica degli architetti.
Rogers continua il lavoro di Paci e Banfi all’affermazione della ricaduta che qualsiasi oggetto artistico ha sulla nozione di umanità.
L’architettura ha una dimensione etica e civile e la verità dell’architettura va verificata nel risultato della vita perché sbagliare un progetto significherà condannare migliaia di uomini a dover sacrificare la propria vita nell’angustia di uno spazio inadatto.
L’architettura ha l’obiettivo etico e civile di aiutare a conservare vive le molteplici problematiche dell’esistenza che hanno a che fare con la totalità delle relazioni umane.
La nozione di relazione è essenziale perché ha una ricaduta etica e civile fatale perché hanno a che fare con le trasformazioni di intenzioni in azioni le quali hanno il potere di incidere sui fatti delle esistenze concrete degli esseri umani.

Oggi il processo tecnologico è in una fase esponenziale e il rischio è che la freccia corri diretta verso il futuro.


In caso d’incidente (esempio un progetto rovina una parte di città) occorre fare una distinzione tra:
→ errori/incidenti rimediabili
→ errori/incidenti irrimediabili


Con il progresso tecnologico ogni volta che si un progetto occorre pensare ad una freccia di ritorno, ovvero una freccia che porta alla rimediabilità.
Per ogni via di andata bisogna pensare anche ad una via di ritorno, nel senso pensare a cosa dà rimediabilità ad un eventuale fallimento e a cosa potrà essere dovuto questo.

Giudicare l’architettura da un punto di vista estetico. Architettura affrontata dalla categoria estetica della bellezza.

Parlare di misura umana ideale significa parlare di bellezza.
Lo scopo dell’architettura e della bellezza è quello di rappresentare la misura umana ideale e quindi gli scopi coincidono quasi completamente.
Occorre lavorare sulla bellezza perché se una cosa è bella significa dir che è a misura umana ideale. La risposta alla domanda “Qual è l’architettura più bella?” è quella che rappresenta meglio la misura umana ideale.

Occorre sapere distinguere la bellezza dalle emozioni che hanno invece a che fare con il piacere e il dispiacere (esempio una canzone ci piace ma non lo ammettiamo perché sappiamo che non è bella a livello di forma ma solo perché legata a qualcosa della nostra biografia, si tratta quindi di un’idiosincrasia personale) mentre Kant parla della bellezza in termini di forma e composizioni formali.

La forma compositiva fa scattare la freccia.
Occorrono ragioni intersoggettive e condivisibili e quindi non bisogna confondere il “mi piace” con il “bello”.
L’architettura in questione cosa rappresenta, cosa simboleggia?
Rappresenta chi è l’essere umano.

Tratto da ESTETICA DELL'ARCHITETTURA di Francesca Zoia
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