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Commento integrato degli artt. 1 e 2 della Legge n. 131 del 2003


La Legge “La Loggia”, di per sé, è una tipica legge delega ex art. 76 della Costituzione, che contiene al suo interno più deleghe, tra cui le principali sono:
A. “Attuazione dell’ART.117, primo e terzo comma, della Costituzione, in materia di legislazione regionale”;
B. “Delega al Governo per l’attuazione dell’art.117, secondo comma, lettera p), della Costituzione e per l’adeguamento delle disposizioni in materia di enti locali alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3”.
Il primo comma dell’art. 1 disciplina il rapporto tra legislatore Statale e Regionale; da un lato, rileva i limiti generali della potestà legislativa (ex ART.117, primo comma), mentre, dall’altro, ripartisce le materie concorrenti, attraverso deleghe legislative al Governo, sul parere della Conferenza Stato/Regioni.
Il secondo comma dell’art. 1 disciplina in modo uniforme il Sistema degli enti locali, regolando gli aspetti trattati nell’ART.117.2 lettera p), quali materie di competenza esclusiva dello Stato (legislazione elettorale, organi di governo, funzioni fondamentali). Questa è stata una scelta voluta, ma non necessaria, che rende possibile un’unità di disciplina legislativa su tutto il territorio nazionale, pur non eliminando le particolarità legate ad ogni specifico ente locale.
Di sicuro, la parte più delicata dell’art. 1 riguarda il “nucleo duro” delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, rese più incisive nel sistema, perché lo Stato è chiamato ad individuarle con legge ordinaria, ma è compito degli enti locali esercitarle, senza alcuna possibilità per il legislatore regionale (ed in teoria anche statale) di partecipare attivamente all’attuazione. Solo in questo modo, è stato possibile limitare la tendenza invasiva dello Stato e delle Regioni nell’ambito del ruolo di Comuni, Province e Città metropolitane, creando a loro nome una riserva amministrativa costituzionalmente garantita.

Per capire l’importanza di quest’ultimo profilo, bisogna tener conto dei limiti posti dall’ART.2 della Legge “La Loggia” all’ART.118 della Costituzione, in cui si stabilisce che è il legislatore statale, o regionale, a determinare l’amministrazione idonea all’applicazione della legge (con il vincolo del rispetto dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione), mentre, nel caso delle funzioni fondamentali in capo a Comuni, Province e Città metropolitane, il legislatore statale restringe l’ambito di applicazione dell’ART.118, non potendone scegliere un’amministrazione a lui congeniale.
Inoltre, altro aspetto di cui tener conto è la garanzia costituzionale dell’autonomia regolamentare degli enti locali, “in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite” (ex ART.117.6).
Tuttavia, risolto il problema dell'attribuzione delle funzioni fondamentali, rimane ancora evidente, al di là del contributo innovativo della Legge “La Loggia”, la difficoltà di individuarle esplicitamente, essendo coinvolti un gran numero di interessi istituzionali.
Ulteriori problematiche di attuazione sorgono da una sottodelega dell'ART.2, riguardante l'adeguamento del procedimento di istituzione delle Città metropolitane all'ART.114 della Costituzione. In primo luogo, la realizzazione di questo progetto andrà a declassare la Provincia ad un ruolo istituzionale di semplice ente rurale, poiché l'area urbana rimarrà riservata alle Città metropolitane; in secondo luogo, sarà indispensabile adeguare la legislazione comunale e provinciale, contenuta entro il DECRETO LEGISLATIVO 14 OTTOBRE 2000, N. 267 (più comunemente conosciuto come “TESTO UNICO DEGLI ENTI LOCALI”, o semplicemente TUEL), alla riforma entrata in vigore.  Infine, con ogni probabilità, il potere delle Città metropolitane andrà ad incidere troppo sul potere delle Regioni e viceversa, il che comporterà l’immediata necessità di individuare specifici limiti di competenza nelle materie di entrambi.
Tradizionalmente, un problema italiano è stato quello di avere un forte sistema di enti locali, il cui responsabile è sempre stato l'amato-odiato Ministro degli Interni. Con l'istituzione negli anni '70 delle Regioni ordinarie, si è posto il problema di quale fosse il loro posto nel sistema; di conseguenza, in seguito ad una richiesta insistentemente avanzata dalle Regioni e ad un acceso scontro dottrinale tra enti locali e ministro proponente, si è ritenuto indispensabile istituire una nuova figura ad hoc: il Ministro per gli Affari Regionali.
Parallelamente a quanto sopra riferito, si instaura la cosiddetta "dicotomia": nel conflitto tra Regioni ed enti territoriali, lo Stato assume il ruolo centrale di arbitro.
Lo stesso dualismo si riflette in questa legge di delega, che separa la realizzazione di un decreto delegato per dare attuazione al potere legislativo delle Regioni (ART.1) da un altro concernente l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali (ART.2). più precisamente, li separa e li incardina in due riferimenti governativi diversi: il Ministro degli Interni, quale referente istituzionale del rapporto tra gli enti locali ed il Ministro per gli Affari regionali, quale referente istituzionale del rapporto con le Regioni.
Inoltre sono previsti due procedimenti attuativi differenti, che trovano nel Sistema delle Conferenze altri due diversi interlocutori: la Conferenza Stato/Regioni per la realizzazione dell’ART.1 e la Conferenza unificata per il confronto diretto tra Regioni ed enti locali per realizzare l’ART.2. Nel primo, Regioni e Stato, essendo gerarchicamente parificate, coordinano le loro specifiche materie di competenza, mentre, nel secondo, Regioni ed enti locali, essendo le prime gerarchicamente sovraordinate ai secondi, collaborano nella progettazione di vicendevoli limiti di competenza (tipico esempio di Governance). In entrambi i casi, gli schemi dei decreti legislativi, realizzati in sede di Governo nazionale dopo l’acquisizione di pareri preventivi a nome della Conferenza, sono inviati alle Camere per la lettura conoscitiva da parte delle competenti Commissioni parlamentari. Acquisiti tali pareri, il Governo nazionale, apportate eventuali modifiche a suo nome, ritrasmette i testi normativi alle Conferenze e alle Camere per ottenere il parere definitivo.

Tratto da COMMENTO ALLA LEGGE 131/2003 "LA LOGGIA" di Luisa Agliassa
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