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Bologna


Gli avvenimenti che si succedono nella prima metà del secolo XIX poco incidono sulla struttura urbana, perché la formazione di una nuova classe borghese di possidenti e capitalisti va a scapito prevalentemente della nobiltà, la quale non ha saputo cogliere il senso delle trasformazioni politiche in atto, mentre le classi sociali povere continuano ad avere la loro consistente presenza nel regno. Dopo l'annessione al regno sabaudo i grandi lavori della ferrovia e le sedi bancarie alterano parte del tessuto urbano, modificando il rapporto città campagna iniziando quel processo di sostituzione che darà luogo ad una serie di nuove componenti urbane non più integrabili con quelle del passato. Anzi delimiteranno per sempre la parte antica da intendersi quale parte da sostituire successivamente con nuove strutture corrispondenti a moderne esigenze. Queste innovazioni non posso più esser contenute nel perimetro delle mura e assumeranno sempre di più il ruolo di nuova città a cui subordinare quella del passato. Da qui gli sventramenti, gli allargamenti.

Con l'avvento delle industrie si forma il centro storico e il nuovo sistema economico basato dell'industria, coincide, con l'unità governativa del paese. Nel caso specifico di Bologna l'indagine relativa al periodo che va dalla fine del settecento alla metà dell'ottocento coincide con la conclusione dell'impianto storico, in quanto tutto quello che avviene dopo è avulso al contesto urbano precedente. Questi 50 anni concludono il progetto della città, circondata da mura con il tessuto viario tracciato in epoche lontane e definito architettettonicamente con l'insieme degli interventi che si sono susseguiti, con gli spazi pieni e quelli liberi all'interno degli isolati più lontani dal centro che racchiudono vaste zone per orti e giardini con lo spazio agricolo nettamente opposto a quello urbano. Con il processo di sviluppo urbano definito di tipo capitalista, nel senso che le preesistenti componenti povere della città non modificano il loro ruolo sociale subalterno, pur assumendo un ruolo fondamentale nel processo di accumulazione per il nascente capitale fondiario. Con il loro spostamento dalla città alla periferia non solo si predispone il terreno a operazioni speculative che saranno tanto redditizie quanto più centrale sarà l'area da loro occupata, ma si ottiene soprattutto una suddivisione del territorio per classi sociali che vedrà sempre più emarginata quella povera.

Dal 1808 al 1840 si registra un incremento relativo alla popolazione del suburbio risulta circa il doppio di quella della città, ha inizio in questo periodo un processo di popolamento delle campagne che provocherà l'integrazione territoriale delle zone immediatamente esterne al centro antico. È proprio a partire dalla prima metà dell'Ottocento che la popolazione sarà in costante aumento e causerà quelle sostituzioni urbanistiche non più assumibili alla struttura precedente.

Forse non a caso nel periodo di trapasso della città a centro storico gli interventi urbanistici ed edilizi non intaccano la conformazione urbana lasciata in eredità della secolare presenza pontificia. Si muovo in due direzioni le questioni urbanistiche della città: l' assorbimento ed uso civile del patrimonio ecclesiastico, messo in vendita all'asta dei beni nazionali e la riproposizione in chiave romantica dell'architettura e degli stili medievali. I complessi conventuali che hanno avuto un ruolo preminente in tutto lo sviluppo urbano continuano la loro specifica funzione assolvendo funzioni pubbliche e coagulano l'interesse edilizio anche extra mura, territorio investito per la prima volta da un afflusso demografico. I grandi lavori interessano il territorio mentre per la città lo sforzo è interessato soprattutto verso le opere pubbliche d'interesse generale. In città si procedere all'apertura di viali alberati, alla costruzione del porticato che va dal Meloncello alla Certosa, alla definizione della strada Porrettana, alla realizzazione del primo impianto di illuminazione e cosi via.
Nel 1849 viene emanato un decreto per migliorare le case dei poveri, non a caso le operazioni di restauro seguendo i modelli dell'architettura bolognese introducono una nuova tendenza, un nuovo metodo, per affrontare l'evoluzione urbanistica. Per un verso le nuove costruzioni adeguano il loro stile ai monumenti del romanico e del gotico, mentre il restauro porta a una serie di falsi storici che contribuisce in maniera disarmante a determinare e definire l'assetto morfologico. Con la costruzione della stazione e delle numerose linee ferroviarie si fa luce anche a Bologna il concetto di unire con una strada rettilinea la stazione al centro, alla piazza seguendo i principi urbanistici di importazione francese. Già nel 1862 vengono esposti i primi progetti ma si realizzerà soltanto nel 1884. Le nuove spinte sociali portarono alla fondazione di una società operaia di Bologna alla quale fece seguito l'inaugurazione di alcune case operaie. MA l'attenzione degli amministratori era appuntata maggiormente sul decoro della città e sul problema del risanamento edilizio. Con questo spirito nel 1860 venne decretata via Farini il cui tracciato doveva seguire quello delle vie Borgo Salamo e dei Libi, tra il 160 e il 1870 si procedette agli allargamenti di queste vie con l'abbattimento di numerose case. Sempre in quest'anno vennero abbattuti numerosi edifici nel Canton dei Fiori, tra piazza Nettuno e San Pietro, e altre demolizioni per allargare via Saragozza allo scopo di creare un piazzale vicino alla nuova porta: nel 1862 iniziarono i lavori per liberare l'area destinata a Piazza Cavour.
Due costruzioni alterano il tessuto storico: Gli edifici della banca nazionale e quello della Cassa di risparmio che doveva precludere all'apertura di piazza Minghetti. Per permettere una migliore circolazione nella piazza Ravegnana nel 1871 viene abbattuta la chiesina Malvezzi e venne trasportata nella chiesa di San Petronio la statua del santo. Nel 1889 entra in vigore un piano regolatore che codifica i sistemi d'intervento he erano stati applicati in quegli anni e prepara ad un'altra serie di interventi di cui molti verrano realizzati.
I punti del piano regolatore erano i seguenti:
• ESEGUIRE DEGLI ALLARGAMENTI IN TALUNE STRADE PRINCIPALI
• COSTRUIRE DELLE STRADE E DEI PARZIALI AMPLIAMENTI
• RETTIFICARE E MIGLIORARE ALTRE VIE DI MINORE IMPORTANZA
A questi principi fanno capo una serie di lavori proposti come l'allargamento delle vie Rizzoli, Ugo Bassi e delle piazze e strade contermini, nuova strada lungo via casse, piano d'ampliamento negli orti Garagnani e formazione di una piazza accanto alla cassa di risparmio e sono previste allargamenti, demolizioni, presso via Volturno, cavaliera, barriera. Questo piano si realizza nelle zone centrali ma rimane praticamente inattuato nelle sue prospettive di ampliamento. Durante gli anni 20 la popolazione migrava verso il centro, il quale non garantiva prospettive di lavoro consone a tutte queste persone, passando al primo dopoguerra si assiste a un aumento degli insediamenti residenziali e di piccole residenze industriali.
L'incremento edilizio del periodo previsto già dal piano 1889 con determinate caratteristiche formali e dimensionali si attuò al di fuori ditale schema, non solo sul piano formale, ma anche soprattutto sul piano del contenuto: le zone verdi, gli slarghi furono soppressi sotto la spinta di speculazione iniziata prima nelle aree interne con gli sventramenti e trasferita poi nel terreno agricolo. Dal punto di vista economico, durante il periodo fascista, si determinò l'ampliamento di alcune attività industriali, mentre dal punto di vista urbanistico si ebbero degli interventi a carattere chiaramente demagogico. Si registrano due avvenimenti importanti: il concorso nazionale per la sistemazione e l'imbocco sud della via Roma, e quello per il nuovo piano regolatore. Il primo è un classico intervento speculativo di un vecchio centro storico con protesto la miglioria della circolazione. Mentre il secondo segna un periodo tumultuoso che si concluderà nel 1958 con l'approvazione del piano.
Tappe intermedie: lo schema di piano territoriale di coordinamento del 1940-42 il progetto di piano regolatore negli stessi anni, la rielaborazione del piano regolatore del 1945 non adottato e il piano di ricostruzione del 1947. L'importanza del concorso del 1938 sta tutta nella sua durata; le soluzioni si presentano nelle successive elaborazioni, l'impianto progettuale si conserva attraverso gli adattamenti a una situazione di movimento e il risultato del 1958 decreta uno schema nato prima. L'amministrazione democratica ha ripreso e attuato il vecchi impianto urbanistico ma non ha espresso una nuova linea urbanistica in accordo con le prospettive sociali dei suoi programmi politici. I limiti del piano del 1958 sono equivalente tecnico di una concezione politico-amministrativa più preoccupata dell'attuabilità di un programma che del suo significato. il nuovo piano regolatore produce all'interno del centro storico alcuni scempi irreparabili: la ricostruzione in termini violentemente speculativi della zona nord-ovest, la demolizione dell'isolato compreso fra vie Farini e Foscherara e i guasti di piazza Galilei. Intorno anni settanta inizia una battaglia per il patrimonio urbanistico in particolare non si vuole demolire la chiesa di S. Giorgio e l'anno dopo ha inizio una ricerca a carattere settoriale sui principi che dovranno presidiare alla formazione della variante al piano regolatore per il centro storico. Accanto ad alcuni interventi che applicano in modo impreciso i criteri del restauro sono da ricordare i nuovi edifici in via san Petronio vecchio, la sostituzione di casa in via santo Stefano ad opera dell'istituto autonomo delle case popolari. Nel 1969 il consiglio comunale approva la variante al piano per il centro storico, variante il cui principio del restauro conservativo inteso come conoscenza del passato quale programmazione del futuro diventa legge. Questo piano è successivo piano per l'edilizia economica popolare nel centro storico costituiscono un momento fondamentale nel processo di pianificazioni della città. Quando nel 1970 l'amministrazione comunale adottò la variante generale del piano regolatore, inserì fra i progettisti i consigli di quartiere e fra i collaboratori le commissioni di quartiere. Il nuovo metodo non corrispondeva quindi ad una metodica ispirata alle ultime conquiste dei modelli progettuali ma al contrario proponeva un sistema per definirne il volto della città, le cui caratteristiche erano esaltate attraverso la partecipazione diretta e democratica di tutti coloro interessati al futuro. I quartieri furono istituiti nel 1964 con un provvedimento che risaliva alla legge comunale e provinciale, la città fu suddivisa in 14 zone secondo una perimetrazione coincidente con i borghi e le località storicamente individuabili al di fuori della città murata. Questi quartieri formate da un consiglio di 20 persone, elette dal consiglio comunale corrispondevano percentualmente a gruppi politici presenti nel consiglio comunale. Il concetto urbanistico di quartiere aveva anche un suo significato ideologico: nel quartiere borghese, si diceva, le funzioni sociali si risolvono nell'abitazione stessa, che si nega alla vita in comune come il villino la palazzina. Il quartiere al contrario cancellerà il lotto privato individuale e costruirà la matrice della città in quanto la realizzazione e l'organizzazione delle case è pesata simultaneamente ai servizi comunali. Ovviamente il quartiere pensato degli urbanisti era completamente differente da quello progettato, il primo era di dimensioni modeste ed era soprattutto progetto di una organizzazione urbana e non parte di città già costruita o già definita da vecchi e burocratici piani regolatori, in definitiva bisognava riorganizzare la città con quartieri di tipo amministrativo, quindi in senso prettamente politico.
Si è cosi realizzata nel tempo una pianificazione urbanistica legata strettamente alle scelte economiche operate a Bologna con i piani-programma triennali e attraverso questo tipo di pianificazione, con le successive verifiche di scala, del piano regolatore al progetto esecutivo, si è pervenuti alla gestione sociale e al controllo pubblico del territorio.
L'esperienza in atto a Bologna mostra che la condizione necessaria e indispensabile per attuare questo tipo di pianificazione urbana è data dalla presenza dei cittadini che insieme all'ente pubblico definiscono le caratteristiche del piano nel rispetto delle esigenze di tutti facendo coesistere interessi pubblici e privati nella consapevolezza che la città e il territorio sono patrimonio comune. Bologna proporne l'utilizzo del patrimonio architettonico storico e culturale nel suo insieme fornendo una nuova risposta alle esigenze sociali del territorio. L'architetto non soltanto l'esecutore tecnico ma è soprattutto cittadino. Il controllo pubblico dell'uso del centro storico è già in concreta operatività dal 1969 anno di adozione del piano per il centro storico di bologna da parte dell'amministrazione comunale, con l'attuazione del piano programma 1973-75 e l'applicazione della legge sulla casa. Per il centro storico una volta stabilito che la politica settoriale di salvaguardia fisica e sociale deve essere strettamente legata alla politica generale di sviluppo sociale economico della città vanno verificate condizioni di fondo per poter garantire l'effettiva attuazione della politica di conservazione. Si tratta di valutare quelle che sono stata e sono le condizioni necessarie per inquadrare organicamente una politica di conservazione fisica e sociale del centro storico articolata a sua volta in politica della casa, dei servizi, di riqualificazione delle attrezzature universitarie.
La prima scelta tradotta in strumento di piano e di programma fu operata con il piano comprensoriale di riequilibrio territoriale del 1967 che interessa 17 comuni compreso quello di Bologna. L'obiettivo politico di garantire un equilibrio ecologico ambientale e la realizzazione di un parco territoriale urbano di collina veniva raggiunto con il piano regolatore per la zona collinare del 1969 mentre contemporaneamente con il pian del centro storico veniva garantita la scelta determinante della tutela del tessuto storico e dell'ambiente naturale. Nel 1973 e nel 1974 sono stati adottati due strumenti urbanistici per l'attuazione delle scelte di piano: il piano per l'edilizia economica popolare nel centro storico e il piano della casa nel restante territorio basato sul rinnovo urbano al fine di un riutilizzo economico del patrimonio esistente anche all'esterno del centro storico. Il programma elaborato dai quartieri definiva le priorità della programmazione comunale, con particolare riferimento alla politica dei consumi sociali e dei servizi e responsabilizzava per la prima volta le autonomie decentrate nella determinazione del bilancio comunale. Nel 1975 e 1976 vengono adottati due strumenti di notevole importanza: la convenzione per gli interventi nel centro storico e la convenzioni per interventi di edilizia pubblica nelle zone esterne. Il controllo dell'uso del centro storico in particolare veniva attuato operativamente dall'amministrazione comunale attraverso la messa a punto di diversi provvedimenti tecnici e legislativi, attraverso strumenti urbanistici adottati e si articola su due livelli mediante un controllo diretto e indiretto. Il primo prevede l'attuazione tramite convenzione di piani particolareggiati d'intervento pubblico per la casa, i servizi, il verde e l'università, il secondo si attua attraverso la normalità di piano e il controllo dei quartieri sulle licenze edilizie sia per quanto riguardo la modalità d'uso del restauro sia soprattutto riguardo le destinazioni d'uso proposte alla residenza al commercio alla direzionalità. In conclusione per salvare i centri storici è necessario inquadrare i piani d'intervento specifico nell'ambito di una programmazione territoriale che impedisca che essi siano travolti da attività e funzioni incompatibili con la loro struttura. I centri storici possono essere conservati come insostituibile bene culturale solo se si rispetta il loro patrimonio umano se vi si mantiene la popolazione e le attività direzionali.
Il reperimento selettivo del materiale documentario originale la lettura conoscitiva e l'elaborazione metodologica finalizzata ai momenti operativi di piano costituiscono una base d'approccio conoscitivo metodologico alla pianificazione della conservazione del riutilizzo del patrimonio edilizio esistente. Si possono considerare essenziali la ricerca iconografica, la ricerca fotografica, i rilevamenti fotografici dal basso e dall'alto, i rilevamenti urbanistici architettonici alle scale 1.200 e 1.50 e i plastici. I primi documenti rinvenuti risalgono al 500 e si tratta di appunti sulla consistenza edilizia in cui si mostra una particolare attenzione alla casa. Un altro campione è l'ospedale della vita dove la rappresentazione è un codice miniato, più tecnici i catasti dell'abbazia dei santi di fine 600-700 riportano un assonometria dell'aspetto delle case. Mentre nel XIX secolo grazie al materiale proveniente dall'assunteria dell'Ornato dove sono appunti tecnici con dizioni descrittive e notazioni grafiche. Prendendo in considerazione il materiale d'archivio raccolto emerge come l'elemento unitario iconografico sia la casa, con la rappresentazione assonometrica e in pianta dei vari secoli.
Un ulteriore strumento conoscitivo è dato dal rilevamento architettonico urbanistico degli isolati che costituisce l'elaborato base del progetto del restauro poiché consente la visione globale dell'organizzazione degli edifici, dei singoli tipi, nell'isolato in rapporto con i documenti storici delle diverse epoche. In grado di esattezza di questi rilievi non è il massimo ma attraverso degli accorgimenti si può avviare il lavoro d'analisi. Si riconoscono le cadenze parcellari , l'utilizzazione fondiaria all'interno dei lotti, la crescita e le alterazioni della tipologia pertinente. Il rilievo alla scala 1.200 dei fronti stradali fa registrare sensibili vantaggi rispetto ad altri sistemi di rappresentazione poiché permette una visione unitaria dell'intera cortina edilizia contenuta in un disegno di ragionevoli dimensioni. I preprogetti di restauro urbano eseguiti su detti isolati campione hanno consentito sia di stabilire i criteri di restauro a scala di intero isolato, sia di risolvere i problemi di ricomposizione e di riconfigurazione degli spazi alterati e distrutti. Il momento conoscitivo dell'edificio da restaurare trova il suo compimento nel rilievo alla scala 1.50 la cui restituzione grafica costituisce la base anche degli elaborati di progetto. I criteri informatori per la stesura grafica a questa scala sono della massima importanza nell'economia del lavoro poiché il disegno deve assumere i caratteri del diagramma tecnico con la possibilità di accogliere e dare il maggior numero di indicazioni.

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