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Il piano dei servizi sociali e culturali


Il controllo pubblico dell'uso del centro storico di Bologna attuato attraverso una politica dei servizi e dei consumi sociali a supporto e complemento della politica della casa, è il punto qualificante del piano-programma comunale 1973-75 che ha il suo momento operativo nel piano d'intervento pubblico per la riorganizzazione e ristrutturazione dei servizi e dell'università.
L'adattamento del patrimonio architettonico monumentale, in vista della sua destinazione a servizi pubblici, rappresenta l'obiettivo di fondo di una politica che si pone sia come reale alternativa alla crescita tendenziale e indiscriminate della città sia come rifiuto della logica di sviluppo capitalista. Il coordinamento nei tempi e nei modi, della realizzazione unitaria di case e servizi trova un suo preciso punto di riferimento nel programma di ristrutturazione e di adeguamento funzionale e tipologico di complessi monumentali e di contenitori definito come i quattro quartieri interni alla cinta murata. Un attività che prevede interventi tesi a riequilibrare anche funzioni e strutture scolastiche. Il progetto di cogliere diverse attività in un unico complesso architettonico riconoscendo negli spazi la vocazionalità intrinseca, ha portato a compiere esperienze d'avanguardia nel campo del restauro attivo.

Il piano dei servizi sociali e culturali costituisce un programma d'intervento pubblico sugli organismi architettonici destinati dal piano per il centro storico a servizi sociali e ad attività collettive a livello di quartiere urbano. Il tipo di pianificazione assunta per il centro storico fa si che i provvedimenti specifici si vengano a configurare come veri e propri piani parti d'intervento architettonico progettuale. Per la definizione del modello operativo d'intervento di restauro va sottolineato come si faccia riferimento a una successione di operazioni ripetibili sia nel caso di un singolo edificio antico sia un complesso storico, nel caso della progettazione ex novo si opera attraverso diverse successive approssimazioni che oltre al continuo aggiustamento vedono sempre più ampliare il concetto delle indagini conoscitive; il reperimento dei dati, il confronto… Il processo progettuale è terminato dolo perché interviene un atto decisionale a porre fine al momento conoscitivo per l'ulteriore affinamento perché si è giunti con un grado sufficiente di avvicinamento alla summa dei presupposti.

Per un edificio esistente su cui si debba operare il restauro non esiste all'atto dell'intervento altro che l'aspetto codificato dall'uso ultimo al quale era stato adibito e la ricerca della struttura originaria spesso si traduce che in una vera deviazione concettuale. La ricerca dei processi di trasformazione dell'organismo porta ad avere al contrario una visione sempre più chiara dell'aspetto costitutivo dell'insieme che fornisce quindi i dati di partenza dello strumento progettuale che consiste nel percorrere a ritroso le singole situazioni verificatesi nel tempo. Nel processo conoscitivo si possono individuare diverse operazioni analitiche che formano la prima parte del modello operativo.
La prima riguarda l'inquadramento storico dell'edificio e si articola su due livelli: un primo livello tendente ad accertare ogni riferimento alle vicende insediative alle motivazioni istituzionali e un secondo tendente a reperire materiale illustrativo e documenti grafici.
La seconda operazione è quella dell'analisi storico-strutturale il processo analitico investe tutto il tessuto urbano attraverso la ricerca delle alterazioni conseguenti l'inserimento e il consolidamento dell'organismo.
La terza operazione riguarda l'individuazione strutturale delle componenti architettoniche attraverso il rilievo analitico si deve giungere al duplice scopo di chiarire sia gli aspetti oggettivi fisico dimensionali sia quelli più strettamente relativi alla sovrapposizione di elementi dimensionali - si deve infine procedere all'analisi tipologica di tipo strutturale, compiuto il rilievo a ogni livello dell'edificio e dei fronti è possibile procedere alla comprensione globale del fabbricato sotto il profilo costruttivo e individuare le eventuali anomalie.
Una volta terminato il processo conoscitivo si procede all'operazione di sintesi: l'ipotesi progettuale e l'inter di continua approssimazione delle esigenze di destinazione. In questo modo dalla confluenza di tutti i dati nasce il recupero del complesso contenitore che ha come matrice l'assunto generale della conservazione attiva e come ambito il continui incontro con le indicazioni di quartiere.
Due elementi fondamentali dell'operazione di recupero dei grandi contenitori urbani vanno analizzati il primo fa riferimento a una qualità estrinseca all'oggetto architettonico e investe la dimensione minima dell'area omogenea ed è la PERMEABILITÀ ESTERNA. Il secondo fa riferimento a una qualità intrinseca e investe la sua dimensione spaziale volumetrica ed è la FLESSIBILITÀ INTERNA. Oggi i novanta e più conventi che costituivano le emergenze architettoniche sono incorporati in edifici residenziali, ma per quasi tutti è trasformata l'originaria funzione. Con la creazione dell'ultima cerchia murata si vennero a configurare due sistemi di conventi intesi come poli di aggregazione dell'espansione urbana, a questi sistemi monastici si combina il sistema di espansione per borghi cioè quel tipo di addizione urbana che inviluppa i borghi artigiani e operai extramura. Una seconda qualità della permeabilità nella scala del quartiere o del borgo è rappresentata dal sistema organizzativo urbano di posizionamento del convento contenitore: asse del borgo che viene a determinare un insieme di spazi di relazione pubblica fondamentale di permeabilità della residenza al grande contenitore funzionale.
Gli spazi di relazione pubblica e privata sono genericamente:
Servizi pubblici urbani: piazze ecc.
S. semipubblici urbani: ospedali, biblioteche
S. – di quartiere: associazioni ecc.
S. privati di caseggiato isolato: giardinetti interni orti comuni
S.- per nuclei abitativi: la casa pubblica a proprietà indivisa viene affidata a un autogestione attraverso forme partecipative in via di definizione da parte delle commissioni di quartiere.
Dallo schema generale di aggregazione dei complessi conventuali discende la qualità a scala architettonica della flessibilità interna che può essere messa in luce solo attraverso l'analisi strutturale dello stato di aggregazione spaziale e funzionale dell'organismo convento-contenitore. Nel caso di Bologna la dislocazione dei sistemi conventuali determina un coagulo urbano: il palazzo trova il proprio ambito all'interno di una trama adattandosi organicamente alla disponibilità territoriale immediata, mentre il sistema conventuale rappresenta l'antitesi alla vita urbana. Il convento si sovrappone allo spazio circostante, ci si ritrova di fronte a diversi fenomeni di permanenza di assetto, all'interno della zona più antica si registrano processi di instabilità dovuti alla creazione di quest'ultimi dell'epoca di controriforma. Mentre i grandi monasteri di prima localizzazione si sovrappongono al territorio inglobando gli spazi aperti nel piano generale di autosufficienza con un impianto modello sempre ripetuto, queste strutture operano preferibilmente per il preciso ruolo politico, culturale ecc., a contatto vivo con la città in un contesto già stabilizzato. Quindi la sola strategia di espansione consiste nell'assimilare prima e nel trasformare poi, l'instabilità del tessuto urbano è dunque conseguenza diretta del tipo edilizio sovrapposto al contrario, la stabilita degli organismi di tipo conventuale si spiega alla luce della forte caratterizzazione che ha determinato un rapporto talmente preciso tra spazio interno e spazio esterno, che solo l'annientamento può cancellarlo.

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