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Il rapporto scienza-tecnologia


Fino al 1830 (rivoluzione industriale) le nuove innovazioni tecnologiche hanno un legame molto flebile con la scienza.
Le grandi invenzioni sono: macchina a vapore, filatoi meccanici… quindi nonostante una mobilitazione della scienza le prime invenzioni prescindono da questa.
Infatti gli inventori protagonisti sono mastri artigiani, operai esperti, tecnici, inventori a tempo perso… non sanno quindi spiegare scientificamente perché le loro macchine funzionano.
Le invenzioni sono quindi frutto di tentativi ed errore, esplorazione, ingegno manipolatorio.

Inizialmente l’apporto diretto della scienza alle innovazioni della rivoluzione industriale è minimo (es.: cloro e candeggina, soda, parafulmine). Dopo il 1830, fatta eccezione per le ferrovie e la meccanica, lo sviluppo della metallurgia, della chimica e del telegrafo poggiò di più su cognizioni scientifiche e approcci sistematici.

È però con le invenzioni della seconda rivoluzione industriale (metà anni 1850) che il rapporto scienza-tecnologia si fa significativamente più stretto: acciaio, chimica organica (coloranti artificiali, esplosivi, farmaci, sintesi ammoniaca); elettricità, motore a scoppio.

La crescente interazione scienza-tecnologia significa che l’innovazione tecnologica richiede sempre più spesso una formazione scientifica superiore, inoltre la tecnologia offre alla scienza strumenti per la sperimentazione e stimoli (problemi da risolvere).
I procedimenti trial and error non cessano, ma la cornice è cambiata.

Tratto da ECONOMIA DELL'INNOVAZIONE di Mattia Fontana
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