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Caratteristiche del contratto di vendita internazionale


Caratteristiche del contratto di vendita internazionale


Il contratto di vendita internazionale è regolato da una disciplina uniforme, la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili.

La storia
Il contratto di vendita è molto importante in ambito transnazionale, poiché è uno dei contratti più utilizzati. Esso ha una risalentissima tradizione nell'ambito degli scambi internazionali. Già gli antichi romani lo consideravano un contratto che veniva utilizzato anche nei rapporti con soggetti non romani. Questo tra l'altro spiega la particolare disciplina che il contratto di vendita aveva nel diritto romano: è un contratto che ha la funzione generale di trasferire un diritto (il più delle volte un diritto di proprietà su una cosa) da un soggetto ad un altro verso il corrispettivo di un prezzo. Questa è la descrizione del contratto di vendita che troviamo nel nostro codice civile, art. 1470. Nel nostro diritto esso è intanto un contratto consensuale (si conclude con il sorgere dell'accordo tra le parti), non occorre (come invece per il comodato ed i contratti reali) anche la consegna della cosa per la conclusione; tuttavia il contratto di vendita ha effetti reali, in quanto oltre a produrre obbligazioni in capo alle parti (obbligazione di consegnare la cosa, obbligazione di pagare il prezzo) produce anche il trasferimento del diritto oggetto del contratto (diritto di proprietà, diritti reali minori, diritto di credito). L'effetto reale nell'ordinamento giuridico italiano è ricollegato alla conclusione del contratto (art. 1376), nell'antico diritto romano le cose andavano diversamente: quando il contratto di vendita era utilizzato anche nei rapporti con soggetti che non erano cittadini romani, posto che la proprietà (soprattutto di certi beni) era possibile solo in capo ad un cittadino romano, il contratto di vendita aveva solo effetti obbligatori. La conclusione del contratto non faceva passare il diritto dal venditore al compratore, bensì comportava che il venditore dovesse consegnare la cosa e far sì che il compratore potesse godere della cosa in modo pacifico. La proprietà passava con un atto successivo, la consegna, a patto che il consegnatario-compratore fosse un cittadino romano.
Questa soluzione dal diritto romano ricade nell'elaborazione dei giuristi medievali, ma si rivela con il passare del tempo sempre meno adeguata a quelle che erano le mutate esigenze economiche. Questa soluzione infatti funziona bene se il pagamento avviene immediatamente, manifesta dei problemi se il pagamento è procrastinato rispetto al momento della consegna, o per lo meno alla conclusione del contratto: può accadere che il venditore, per tutelarsi, stipuli un contratto ma poiché non viene pagato subito tenda a rinviare la consegna.
La soluzione quindi comincia a manifestare dei problemi di funzionamento. I giuristi medievali sono ancora molto attaccati alla tradizione romanistica, ma introducono dei temperamenti che in realtà finiscono, attraverso una serie di passaggi logici, per scardinare quella che è la regola base. I giuristi medievali, pur ossequiando formalmente la regola, cominciano ad escogitare il meccanismo del costituto possessorio: c'è la vendita, la consegna del bene avviene contemporaneamente alla conclusione del contratto, ma immediatamente il compratore riconsegna il bene al venditore facendolo diventare possessore del bene. Con questo sistema si può immaginare che la consegna abbia trasferito la proprietà, anche se il venditore risulta di fatto essere in possesso del bene. Questa clausola comincia ad essere usata negli atti notarili, ma in prima battuta opera quando è effettivamente inserita nel contratto. Se l'atto non riporta il costituto possessorio opera la vecchia regola.
Il salto successivo è di dare per implicitamente inserita la soluzione del costituto possessorio, anche se l'atto non la riporta. Ed arriviamo ad una sanzione legislativa di questa regola, poiché alla fine del 1700 il re di Piemonte e di Sardegna emana le Costituzioni (un provvedimento del re di sapore legislativo, composto da una serie di regole su diverse questioni, anche di tipo penalistico), in cui troviamo una regola molto interessante: il re dice che in tutti gli atti, anche laddove il costituto possessorio non è riportato espressamente, esso si dà per inserito, facendo così diventare la regola di applicazione normale.
L'impronta della tradizione è ancora forte: infatti non si dice chiaramente che la proprietà passa con il contratto.
Il codice civile francese comporta un ulteriore passo in avanti: nel 1804 in un articolo stabilisce che il contratto di vendita comporta la nascita in capo al venditore dell'obbligazione di trasferire la proprietà. Essa, una volta sorta, comporta immediatamente il trasferimento della proprietà stessa. Di nuovo, il risultato è quello di far sì che il contratto abbia effetto reale al momento della sua conclusione, ma d'altro canto non si raggiunge quell'obiettivo in modo lineare: si parte dalla tradizione e si percorre un itinerario argomentativo nuovo.
Il traguardo è apparentemente raggiunto dal codice civile italiano, all'art. 1376, “contratto con effetti reali”: nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono o si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato.
Il diritto passa per effetto del consenso, dalla conclusione del contratto. Ma in realtà questa regola generale viene poi sconfessata in parte allorché il legislatore mette mano alla disciplina dei singoli contratti.

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