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La compensazione dei crediti


All'Art 56 vi è un'ulteriore eccezione alla regola della par condicio creditorium, eccezione che crea una disparità di trattamento a favore di un certo creditore, che tuttavia non è un creditore privilegiato: è il caso del creditore-debitore nei confronti del fallito, che gode dell'eccezione di compensazione; è questa una posizione privilegiata perché prevede appunto la compensazione tra il debito e il credito, con il soggetto creditore-debitore che potrà insinuarsi al passivo per la differenza tra il suo debito e il suo credito verso il fallito.
Art 56. Compensazione in sede di fallimento.
“I creditori hanno diritto di compensare coi loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento.
Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra i vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.”
Se ipotizzassimo che l'Art 56 non esista, e applicassimo la regola della par condicio, accadrebbe appunto che il curatore si sostituirebbe al fallito, apprendendo i beni del fallito, beni non solo materiali ma anche crediti, e allora facendo valere i crediti del fallito, il curatore va da tizio, soggetto che presentava un debito verso il fallito, facendosi ridare 40; ma se tizio aveva verso il fallito anche un credito di 100, tizio si insinuerà al passivo per 100 e, se informandosi sulle possibili previsioni di riparto, apprenderà dal curatore che dalla vendita di tutti i beni del fallito si presume riceverà un 10% del suo credito, otterrà così alla fine 10. Alla fin fine quindi tizio ha sborsato 40 e ha ottenuto 10.
Consentendo invece la compensazione come dall'Art 56, tizio può legittimamente compensare con il proprio credito il debito che presentava verso il fallito, e insinuarsi al passivo per la differenza: dirà di essere creditore verso il fallito per 100, e allo stesso tempo debitore per 40 e così si insinuerà al passivo per 60 e così alla fine di tutto prenderà 6.
Questa regola vale solo per il crediti e debiti omogenei, cioè per quei debiti e quei crediti nei confronti del fallito; non è ammissibile la compensazione ad esempio nel caso in cui un soggetto abbia un credito verso il fallito e un debito verso il curatore o verso la massa dei creditori.
- rapporti pendenti: vengono definiti anche contratti pendenti, sono quelli in cui esistono ancora obbligazioni da una parte e dall'altra, mentre se il rapporto non è stato eseguito integralmente da una parte o dall'altra si sarà nel caso di un rapporto di debito-credito. L'esempio di contratti pendenti più diffusi sono quelli legati alla compravendita: il venditore per adempiere completamente alla sua obbligazione deve trasferire la proprietà e consegnare il bene, mentre il compratore deve pagare interamente il bene: se il venditore ha compiuto la sua obbligazione, mentre il compratore non ha ancora pagato o solo in parte, allora ci sarà un rapporto di credito-debito. Il discorso è diverso nel caso in cui entrambi non abbiano, o abbiano eseguito solo in parte la propria obbligazione (ad esempio se il venditore ha solo trasferito la proprietà del bene ma non il bene, e se il compratore ha pagato solo una rata): qui la riforma è intervenuta in modo sensibile, prevedendo due scenari possibili:
- di fronte ad un'ipotesi di cessazione dell'attività d'impresa seguita a fallimento, ed in presenza di contratti in corso di esecuzione, quali sono le possibili soluzioni? Prima diamo l'idea della situazione preriforma: il legislatore del '42 aveva dettato una serie di regole difficoltose perché prevedeva una serie di contratti e per ognuna c'erano delle proprie regole (si aveva così l'impressione di un sistema incompleto, in quanto mancavano alcuni contratti, e frammentato). Appariva però evidente attraverso un'analisi più approfondita l'esistenza di tre possibili soluzioni, di tre regole fondamentali:                
- la regola più frequentemente applicata, la cosiddetta regola dell'arresto o della sospensione dell'esecuzione del contratto: si prevedeva che la dichiarazione di fallimento comportasse la sospensione dell'esecuzione del contratto. Il curatore aveva la facoltà di scelta: poteva decidere di sciogliere il contratto oppure poteva decidere di eseguire il contratto, ma tale esecuzione doveva poi avvenire integralmente. Questa era la soluzione più frequente e logica anche nell'ottica della tutela dei creditori;
- è la soluzione dello scioglimento automatico dei contratti, specie se si tratta di contratti caratterizzati da un'elevata accentuazione degli aspetti personali per cui non possono continuare con il curatore (ad esempio i contratti di mandato o i contratti di conto corrente);
- contratti che prevedono la continuazione automatica: sono ad esempio contratti di locazione immobiliare (perché altrimenti dove si potrebbero riporre i beni poi da alienare?), contratti che come visto in precedenza comportano dei costi legati alla procedura, il sorgere di crediti di prededuzione.
Il problema più grosso di questo sistema precedente alla riforma era proprio l’incompletezza della sua disciplina, in quanto venivano disciplinati sono alcuni contratti, mentre altri contratti come quelli atipici o altre tipologie di contratti tipici non erano disciplinati; era possibile far valere una di queste tre possibili soluzioni, e a riguardo due erano gli orientamenti più diffusi:
- un orientamento di maggioranza, che vedeva le tre regole come non collocabili sullo stesso piano, ma trovava che una fosse un principio generale mentre le altre due erano eccezioni: la prima, cioè la regola dell'arresto o della sospensione dell'esecuzione del contratto era ritenuta la regola generale, da ritenersi valida sia per i contratti tipici non previsti dal legislatore del ‘42 sia che per i contratti atipici mentre le altre due regole erano viste come le eccezioni, applicabili solo per i contratti per i quali erano esplicitamente previste;
- un orientamento di minoranza, condiviso anche dal prof, che vedeva il precedente orientamento come una visione arbitraria; tale orientamento preferiva invece capire perché il legislatore per alcuni casi utilizzasse la prima regola in altri la seconda e in altri ancora la terza, e allora cercava di valutare quale delle tre regole meglio si confacesse per il singolo contratto tipico o atipico che si andava analizzando volta per volta.

Tratto da DIRITTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI di Andrea Balla
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