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Procedimento per la dichiarazione del fallimento


- Art 15. Procedimento per la dichiarazione di fallimento.
“Il procedimento per la dichiarazione di fallimento si svolge dinanzi al tribunale in composizione collegiale con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio.
Il tribunale convoca, con decreto apposto in calce al ricorso, il debitore ed i creditori istanti per il fallimento; nel procedimento interviene il pubblico ministero che ha assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento.
Il decreto di convocazione è sottoscritto dal presidente del tribunale o dal giudice relatore se vi è delega alla trattazione del procedimento ai sensi del quinto comma. Tra la data della notificazione, a cura di parte, del decreto di convocazione e del ricorso, e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a quindici giorni liberi.
Il decreto contiene l’indicazione che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento e fissa un termine non inferiore a sette giorni prima dell’udienza per la presentazione di memorie ed il deposito di documenti e relazioni tecniche. In ogni caso, il tribunale dispone, con gli accertamenti necessari, che l’imprenditore depositi una situazione patrimoniale, economica e finanziaria aggiornata.
I termini di cui al terzo e quarto comma possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, con decreto motivato, se ricorrono particolari ragioni di urgenza.
Il tribunale può delegare al giudice relatore l’audizione delle parti. In tal caso, il giudice delegato provvede, senza indugio e nel rispetto del contraddittorio, all’ammissione ed all’espletamento dei mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d’ufficio.
Le parti possono nominare consulenti tecnici.
Il tribunale, ad istanza di parte, può emettere i provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento, ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza.
Non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro trentamila. Tale importo è periodicamente aggiornato con le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 1.”
Se si applicasse in modo rigido l’onere della prova, le due parti dovrebbero provvedere solo loro alla raccolta delle prove, come appunto si è detto nel caso del processo civile; nel caso invece di processo fallimentare, se le prove presentate risultassero insufficienti, il tribunale può integrare d’ufficio le prove mancanti: tali indagini possono essere svolte tramite la Guardia di Finanza o attraverso consulenti che forniscono documenti tecnici.
Quindi, in conclusione, dal momento che il tribunale ha il potere di integrare, non esiste il diritto di chiedere il proprio fallimento; esiste il dovere (vi è difatti una legge penale che colpisce chi non chiede il proprio fallimento aggravando la propria situazione).
Non ci si può presentare di fronte al tribunale fallimentare richiedendo il proprio fallimento, dichiarando cioè di essere al di sopra delle soglie, ma risulta necessaria una verifica d’ufficio da parte del tribunale fallimentare (Art 14 delinea gli obblighi dell’imprenditore che richieda il proprio fallimento).
Stato di insolvenza: presupposto oggettivo delle dichiarazioni di fallimento. E’ definito nel II comma dell’Art 5 “Lo stato d'insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.”: risulta quindi essere una situazione definitiva, e non solo temporanea; è anche il caso di chi è in grado di adempiere, ma in modo irregolare (in ritardo, o dando beni in natura), che risulterebbe così insolvente.
L’insolvenza viene così vista come una sorta di “malattia”, in quanto “si manifesta”; ne sono dei “sintomi” il non essere in grado di adempiere, la fuga, la latitanza, la messa in cassa integrazione…
Stato di insolvenza ≠ stato di illiquidità, in quanto con lo stato di illiquidità non si ha denaro sufficiente per adempiere alle obbligazioni, ma si ha magari la possibilità di ricorrere a credito bancario o ad altre forme di finanziamento.
Il regio decreto 267 del 1942 si apre con un titolo primo; ed è composto da tre articoli. Al primo articolo si enunciano quali siano le imprese soggette a fallimento, concordato preventivo e ristrutturazione dei debiti (presupposto soggettivo) mentre al secondo al terzo articolo si descrive il rapporto tra il fallimento e le altre due procedure concorsuali.
Con l'Art 5 inizia la disciplina del fallimento, descrivendo lo stato di insolvenza (presupposto oggettivo).
Il fallimento è una procedura concorsuale, una procedura esecutiva, cioè diretta a realizzare i crediti dei creditori del fallito (si punta cioè a vendere i beni del fallito per pagare i crediti); ma è solo una visione parziale, perché con il fallimento ci si rifà a tre procedure, o meglio, si distinguono due sub-procedure necessarie e una eventuale:
- la prima procedura diretta alla dichiarazione di fallimento;
- la seconda è la procedura di fallimento in senso stretto, diretta ad alienare i beni e a dividerne il ricavato;
- è possibile innestare un procedimento diretto a chiusura della procedura, denominato concordato fallimentare.
Questa distinzione ha dato filo da torcere, in quanto non era chiaro quando si sarebbero dovute applicare le nuove regole (vanno applicate quando parte la procedura fallimentare? O vanno applicate autonomamente per ogni sub-procedura?).
- classificazione di questa procedura: il legislatore ha detto che è un'ipotesi di procedimento in camera di consiglio: è un modello di processo civile, cioè diretto a emettere un certo provvedimento attraverso un'istruttoria semplificata, in quanto di solito il provvedimento non è una vera e propria sentenza che risolve una controversia (ad esempio nel caso della nomina del liquidatore dovuto al fatto che gli amministratori non si erano messi d'accordo). Il legislatore detta una serie di regole inerenti a questa qualificazione.
E' però un procedimento in camera di consiglio ritenuto anomalo, in quanto si tratta di una qualificazione non del tutto adatta a questa definizione, perché la sentenza incide profondamente sulla vita della società e del fallito, e perché è una piena istruttoria, di carattere completo, e non sommaria.

Tratto da DIRITTO DELLE PROCEDURE CONCORSUALI di Andrea Balla
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