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La compensazione nel fallimento


L'art. 56, come indica la sua rubrica, consente la compensazione tra creditore e fallito anche in sede di fallimento. Il co. 1 dispone infatti che i creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso se non scaduti prima della dichiarazione. Attraverso la compensazione, il creditore riesce per l’ammontare comune dei reciproci crediti, a soddisfarsi integralmente sfuggendo alla procedura fallimentare, l’ammissibilità della compensazione in un momento successivo all’apertura del fallimento costituisce quindi una deroga al principio della parità di trattamento. L’art. 56 innova così radicalmente il sistema previgente secondo un principio improntato sull’equità, ormai accolto in quasi tutte le legislazioni moderne. La compensazione opera soltanto fra debiti e crediti anteriori all’apertura della procedura.
Il nostro ordinamento conosce tre tipi di compensazione:
a) legale, la quale presuppone l’omogeneità, l’esigibilità e la liquidità dei due crediti reciproci;
b) giudiziaria;
c) volontaria. 
Anche se nel c.c. esistono diverse norme che impongono ad un debitore l’onere, nei confronti dei terzi, di riservarsi da subito la facoltà di compensare, prevale l’orientamento che una domanda di ammissione al passivo, non può essere considerata una tacita rinuncia a compensare, quindi, l’ammissione al passivo del credito, non inciderà sul giudizio in cui si eccepisce la compensazione.

Tratto da DIRITTO FALLIMENTARE di Alessandro Remigio
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