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Natura giuridica della dichiarazione tributaria

L'invenzione dell’istituto della dichiarazione si ha nel 1957, quando c’era il Ministro Maroni, ed è stata inventata con riguardo ai redditi, perché prima le imposte anche sui redditi, erano accertate e liquidate dalla stessa Amministrazione Finanziaria, non esisteva un obbligo di dichiarazione da parte del contribuente. Quando negli anni ’50 si è allargato il numero dei contribuenti è stata inventata la dichiarazione, che richiedeva di indicare i redditi che al tempo erano previsti. Questo perché poi si sono manifestate nuove fattispecie di redditi, che via via sono stati inseriti nei redditi diversi. Fino ai primi anni ’70 nella dichiarazione dei redditi non era contenuta la liquidazione dell’imposta. Si aspettava che l’Amministrazione Finanziaria liquidasse l’imposta sui redditi dichiarati e procedesse alla notifica della cartella di pagamento per effettuare il pagamento. Solo con la riforma tributaria degli anni ’70 è stato incluso come obbligo nella dichiarazione la liquidazione dell’imposta e il versamento di essa.
Qualora il contribuente dovesse presentare una dichiarazione indicando un presupposto d’imposta inesistente, oppure una dichiarazione veritiera quanto all’esistenza, ma errata in ordine al quantum, ovvero sulla misura della base imponibile, si pone il problema se il contribuente ha la possibilità o meno di rettificare la dichiarazione erronea.
L’istanza di rimborso permette di portare a conoscenza dell’Amministrazione Finanziaria l’errore che ha commesso il contribuente nella compilazione della dichiarazione.
L’istituto della confessione di fronte al giudice vincola il soggetto che rende la confessione, quindi ha natura di manifestazione di volontà. Se quindi si dice che la dichiarazione rappresenta una manifestazione di volontà di essere tassato secondo quanto dichiarato, il soggetto dichiarante rimarrebbe vincolato giuridicamente rispetto a quanto dichiarato, senza possibilità quindi di rettificare quanto dichiarato.
Successivamente la giurisprudenza ha addolcito quest’impostazione, sostenendo che nell’ipotesi in cui ci sono errori di calcolo era possibile rispettare questi errori all’Amministrazione che avrebbe dovuto correggere la dichiarazione errata. Ma anche in questo caso era negata una rettifica piena della dichiarazione.
Dalla metà degli anni ’70 fino agli anni ’90 la Cassazione ha stabilito che il privato può ritrattare la dichiarazione tributaria fino al termine di presentare la dichiarazione, in questo caso la dichiarazione non è vincolante per il contribuente. Il problema nasce quando il termine è scaduto, da quel momento in avanti si dava la possibilità di ritrattare, ma ad una condizione: l’errore deve essere rilevante dal testo della dichiarazione. Quindi riguarda solo il quantum, non certo l’an, ovvero l’esistenza. Però il quantum può essere rilevato dalla dichiarazione solo se è un errore di calcolo.
Il problema grosso avviene quando nella dichiarazione o il presupposto non esiste, o è erronea la base imponibile e non è desumibile l’errore di calcolo dal testo della dichiarazione. La Dottrina negli anni ’80, ’90, insisteva per una rettrattabilità piena della dichiarazione, non riconoscendo la dichiarazione come manifestazione di volontà. La giurisprudenza però riconosce la dichiarazione come una manifestazione di conoscenza che il contribuente fa all’Amministrazione Finanziaria, che è una manifestazione unilaterale del soggetto dichiarante, che non vuol dire rimanere vincolanti rispetto a quanto dichiarato, ma soltanto una partecipazione del privato al procedimento di accertamento che deve essere attuato dall’Amministrazione Finanziaria, perché è questa che ha l’obbligo di controllare formalmente e sostanzialmente la dichiarazione
Le Sanzioni Unite rappresentano il massimo organo di interpretazione della legge, dove poi la Cassazione deve decidere i fatti concreti. Le Sanzioni Unite prevedono che è ritrattabile ogni dichiarazione dei redditi oltre il termine di scadenza della sua presentazione e allorquando siano prospettati da parte del contribuente errori di fatto o di diritto dai quali, sulla base della corretta applicazione della legge, consegua un minore tributo rispetto a quello dichiarato (pag.55/56 articolo).
Ci sono quindi due interpretazione, quella generale che prevede che una volta che il soggetto dichiara, rimane vincolato a quanto dichiarato, in quanto manifestazione di volontà, e una meno generale che prevede la dichiarazione come manifestazione di scienza.
Il problema della ritrattabilità si pone fino al momento in cui c’è un atto da parte dell’Amministrazione Finanziaria oppure fino a quando il rapporto è diventato definitivo, ovvero sono scaduti i termini entro i quali l’Amministrazione Finanziaria può effettuare l’accertamento.
Le Sanzioni Unite hanno risolto il problema accogliendo la tesi della piena ritrattabilità sulla base di una serie di argomentazioni. La manifestazione di volontà diventa atto costitutivo dell’obbligazione tributaria, infatti l’obbligazione tributaria non nasce dalla dichiarazione. La dichiarazione è un atto reccettizio, in quanto destinato all’Amministrazione Finanziaria. La dichiarazione tributaria prima ancora di essere manifestazione di scienza è manifestazione di giudizio. Nel momento in cui il privato compila la dichiarazione deve interpretare la legge, e questa è una manifestazione di giudizio, che significa appunto interpretazione delle norme. Quindi la dichiarazione può essere ritrattata in tutto o in parte mediante l’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza a proprio favore e prospettati all’amministrazione finanziaria. Siamo nell’ambito dell’art.23 della Costituzione, nel senso che è la legge che stabilisce l’obbligazione tributaria e non la dichiarazione, inoltre è assoggettato all’art. 53 e 97 della costituzione, il primo relativo alla capacità contributiva, il secondo alla buona fede.
L’obbligazione tributaria deve essere ancorata ai principi costituzionali, per cui non era tollerabile sostenere che questa nasce dalla dichiarazione e non dalla legge. La tassazione deve intervenire sull’esistenza del presupposto, se questo non c’è la tassazione è esclusa, e quindi il contribuente può ritrattare la dichiarazione.
Oggi è riconosciuto un diritto alla piena ritrattabilità delle dichiarazioni a seguito di un errore del contribuente, sia sull’esistenza che sul quantum.

Tratto da DIRITTO TRIBUTARIO - CORSO PROGREDITO di Valentina Minerva
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