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Teoria del commercio internazionale

Teoria del commercio internazionale

È una branca dell’economia molto vasta. Perché i paesi commerciano tra di loro, e quali sono gli effetti di tale commercio, da dove si originano. Si parte da un’analisi grafica. Modello standard di mercato domanda – offerta.

Il mercato internzaionale

I mercati che guardiamo sono chiusi, vediamo come s’analizza l’apertura al commercio in termini di analisi standard dell’equilibrio di mercato; cosa succede a un paese quando si apre al commercio internazionale: succede che si specializza, ci sono vantaggi di efficienza economica. Si osserva quel lato della storia, tramite il concetto di vantaggio comparato, il cardine di questa impostazione ideologica, e cerchiamo di allargare lo sguardo ad altre determinanti del commercio tra paesi. L’analisi grafica si basa sull’utilizzo dei grafici a spalla, come se ci fosse un specchio sull’asse delle y. I due mercati, nella rappresentazione grafica, hanno in comune la retta del prezzo (P).
Il P si misura su entrambi i mercati, sullo stesso asse. Le quantità (Q) sono misurate a specchio. Nel mercato italiano (paese), la rappresentazione è quella tipo: le Q crescono, andando da sinistra verso destra. Nell’altro caso (mondo), è il contrario: origine a destra e le Q crescono, andando verso sinistra. Sul mercato interno del paese che consideriamo (es. Italia), domanda e offerta sono rappresentate nel modo usuale, nell’ipotesi che il paese sia chiuso agli scambi internazionali. Immaginando che, nel mezzo ci sia una barriera commerciale insormontabile, delle tasse proibitive o una norma che chiude in autarchia il paese, il mercato internazionale non comunica col mercato interno. In questo caso, l’offerta è crescente nel prezzo, rappresentata a specchio, e la domanda è decrescente. Sul mercato internazionale, il P d’equilibrio è dato dalla coincidenza tra domanda e offerta, indicato con Pw. Mentre, Pi è dato dall’equilibrio interno tra domanda e offerta. Date le condizioni diverse sui diversi mercati, i prezzi d’equilibrio sono differenti; ad esempio, il prezzo interno italiano è più alto. Se rimuoviamo la barriera che isola il mercato italiano da quello mondiale, e lasciamo che avvengano degli scambi, se ci sono operatori interessati a scambiare, cosa accade? Consumatori italiani preferiscono il prodotto estero, che costa di meno, rispetto all’interno. Siccome il prodotto che viene dall’estero è più economico, una parte dei consumatori si rivolgerà al mercato internazionale. Il prezzo interno, quindi, non sarà più piccolo, ma scenderà fino a incontrare Pw, nell’ipotesi in cui, il paese che si apre al commercio, è di dimensioni piccole, rispetto al mercato internazionale. La domanda aggiuntiva che si scarica sul mercato internazionale, non è così tanto consistente da far crescere Pw. Se il paese è grande, anche Pw salirebbe un po’, perché la domanda internazionale, a cui s’aggiunge quella del paese che entra negli scambi, salirebbe di un Δ significativo. Il mercato interno s’assesta su un equilibrio di Pw, e cosa succede quando nel mercato interno vige Pw e non Pi? I consumatori comprano di più, il prezzo è minore di prima, e lungo la loro funzione di domanda, al prezzo Pw c’è la scelta di comprare questa quantità (vedi linea rossa). Il consumo dentro il mercato del paese si espande; i produttori interni, poiché il prezzo sul mercato è più basso di prima, offrono di meno (vedi linea verde).

Benessere/surplus

Cosa succede al benessere dei produttori e dei consumatori, al loro surplus? Dal lato dei consumatori, prima dell’apertura al commercio, il benessere/surplus dei consumatori era misurato da questo triangolo (giallo); adesso i consumatori stanno meglio, consumano di più a un prezzo più basso, e il loro surplus è aumentato ed è pari al triangolo più grande (arancione). I consumatori, perciò, hanno ottenuto un vantaggio di benessere pari al trapezio (blu). Dal lato dei produttori, prima dell’apertura, il loro surplus era uguale a questo triangolo (arancione, blu e triangolino con il +); ora vendono a un prezzo più basso, e il loro surplus è pari al triangolino con il +, perdendo la parte del trapezio (blu). Il + esprime il vantaggio netto dell’apertura al commercio. Triangolino di benessere generato dall’apertura agli scambi internazionali, che si prendono i consumatori. Secondo caso: se il paese che si andava ad aprire al commercio, era un paese dove le condizioni interne determinavano un prezzo di equilibrio più basso del prezzo internazionale, con l’apertura agli scambi ci sarebbe stato un flusso in senso opposto, cioè i produttori interni sarebbero diventati esportatori sui mercati internazionali. I guadagni di benessere sarebbero stati opposti, ossia i consumatori italiani avrebbero consumato di meno e pagato di più, il loro benessere si sarebbero ridotto; i produttori c’avrebbero guadagnato, perché producevano di più e vendevano a un prezzo maggiore. Al netto si verifica uno speculare triangolino netto di benessere che si va a generare, beneficiando i produttori. Il mercato, attraverso il sistema degli scambi, genera un aumento di specializzazione. Un sistema di scambi genera vantaggi in quanto, le persone si specializzano, ogni agente economico si specializza a fare qualcosa, e specializzandosi riesce a farla meglio, si organizza meglio, diventa più bravo, ottimizza i tempi di gestione di tutti gli input. Qualcosa di simile accade anche quando paesi scambiano tra di loro. Se gli italiani decidono di scambiare vino coi cittadini del Costarica, e in cambio del vino che gli italiani esportano, importano dal Costarica chicchi di caffè, alla fine siccome noi siamo più bravi ed efficienti a produrre vino, e loro bravi ed efficienti a produrre chicchi di caffè, noi possiamo consumare anche caffè (che non potremo consumare se non ci apriamo al commercio) e loro anche vino, cosa che non potrebbero fare se non scambiassero con noi.

I vantaggi degli scambi

I vantaggi degli scambi, in questa visione del commercio internazionale, derivano dalla specializzazione; concettualmente, non succede niente di diverso, rispetto a quando guardiamo degli scambi che s’instaurano tra persone. Fino a un certo punto gli economisti, che studiavano il fenomeno del commercio tra paesi, credevano che i paesi commerciassero sulla base di un meccanismo molto semplice, come l’esempio di Italia – Costarica, ossia un paese è più efficiente nella produzione di un bene rispetto a un altro; l’altro è più efficiente nella produzione di un altro bene, e si specializzano ognuno a produrre beni di cui è più efficiente e poi scambiano. Questa semplice condizione si chiama vantaggio assoluto: nel nostro esempio, l’Italia ha un vantaggio assoluto nella produzione di vino, il Costarica ha vantaggio assoluto nella produzione di caffè. Ad un certo punto, gli economisti si sono accorti che, frequentemente, i paesi commerciano tra di loro anche in assenza di vantaggi assoluti. In molti casi, non sempre, si sono accorti che, c’è un’altra molla per il commercio, riassunta nel concetto di vantaggio comparato. Per cui, due paesi scambiano convenientemente tra di loro, anche se uno dei due è più efficiente in tutte le produzioni, rispetto all’altro, basta che quello meno efficiente, per tutte le produzioni, abbia un vantaggio di tipo relativo nel produrre un bene piuttosto che un altro. Immaginiamo due paesi, A e B, due beni, grano e tessuto; immaginiamo che, per produrre questi due beni, occorra solo lavoro come fattore produttivo. Nel paese A, per produrre tessuto, servono 3 ore di lavoro, mentre per produrre grano, ne servono 12; nel paese B, per produrre tessuto, servono 2 ore di lavoro, e per produrre grano, ne occorrono 4. Questo esempio mostra il caso di un paese, B, più efficiente nel produrre grano e tessuto. A è meno efficiente, perché gli servono più ore di lavoro per produrre tessuto, e molte di più per il grano (12 contro 4). Quindi, nella teoria del vantaggio assoluto, nell’esempio del vino e caffè, non ci sarebbe convenienza a scambiare; in questo caso, invece, B è più efficiente in tutto, si tiene grano e tessuto, e A s’attacca. Ma non è così. Perché, nel primo paese, A, produrre grano è 4 volte più oneroso che produrre tessuto, perché servono 12 ore di lavoro contro le 3 per il tessuto. Invece, in B, produrre grano è solo 2 volte più oneroso, che produrre tessuto.

Il rapporto di scambio e ragione di scambio

In termini relativi, quindi, produrre tessuto è molto più conveniente in A, rispetto a B. A ha un vantaggio comparato, in senso di relativo, nel produrre tessuto rispetto a grano, rispetto a quanto avviene in B. Mentre in A, il rapporto di scambio (unità di un prodotto al quale devo rinunciare, se voglio aumentare la produzione dell’altro) tra grano e tessuto è 4, e in B è uguale a 2, se in A voglio aumentare la produzione di una unità di grano, devo rinunciare a ben 4 unità di tessuto, e il rapporto di scambio è pari a 1:4. In B il rapporto di scambio è 1:2. Rapporto di scambio che viene spesso chiamato Ragione di Scambio; 1:4 e 1:2 sono le due ragioni di scambio interne a ciascun paese. Se il paese non scambia con l’esterno, ha un suo set infinito di risorse, se vuole produrre più di una cosa, deve rinunciare all’altra in funzione dei fabbisogni di input di ciascuno dei due processi. Ora supponiamo di far scambiare merci a questi due paesi, di fargli fare una semplice economia di baratto, scambiano grano contro tessuto ad una ragione di scambio intermedia fra le due interne dei paesi, ad esempio 1:3. Cosa succede? A esporta 3 unità di tessuto, le vende a B che, in cambio, gli da un’unità di grano. Per produrre 3 unità di tessuto, impiega 9 unità di lavoro. Il grano non gli serve più perché lo importa, e si liberano 12 unità di lavoro. Gli avanzano 3 unità di lavoro rispetto a prima. B deve produrre un’unità di grano e gli occorrono 4 ore di lavoro. Il tessuto non lo produce più perché lo importa (prima per produrre 3 unità di tessuto, a 2 ore di lavoro l’una, impiegava 6 unità di lavoro), e gli avanzano 2 unità di lavoro. A e B stanno meglio. Entrambi i paesi riescono a consumare quello che consumavano prima, utilizzando meno risorse, avanzano delle ore di lavoro. Questo concetto di vantaggio comparato ci aiuta a capire perché i paesi commerciano tra di loro convenientemente, traendone ognuno un vantaggio, anche nel caso in cui un paese sia, in termini assoluti, più efficiente nella produzione di tutti i beni. Alcune condizioni del processo produttivo non sono state considerate; i prodotti, ad esempio, devono viaggiare per andare da un paese all’altro. Ci sono costi di trasporto che possono incidere molto sul valore unitario della merce. Nell’esempio del grano e del tessuto, abbiamo immaginato che, il lavoratore che produceva grano, è capace anche di produrre tessuto e viceversa; che c’è una flessibilità totale della produzione. La riconversione dei fattori produttivi, da un processo all’altro, non è istantanea e non è possibile.
Altra ipotesi è che, le tecnologie e le funzioni di produzione e di domanda, quindi la struttura delle preferenze tra consumatori di diversi paesi, siano uguali, ma non è così; non sono uguali né tra paesi né all’interno di ciascun paese, per via della segmentazione della domanda che porta a specializzazioni incomplete. L’unico elemento che resta alla base come origine di vantaggi comparati dei paesi, è la differente dotazione di risorse naturali. L’Italia produce meglio il vino, perché c’è un certo territorio, clima, e stesso discorso dicasi per il caffè nel Costarica. Altro elemento che si trascura è che i mercati, che non si aprono al commercio, possono operare in condizioni diverse da quelle concorrenziali.

Oligopolio o monopolio

Se un mercato che si apre al commercio è un oligopolio o monopolio, le conseguenze in termini di benessere possono essere differenti. Ad esempio, il monopolio è un mercato che opera in condizioni meno efficienti, rispetto alla concorrenza perfetta, e l’impresa monopolista che gestisce l’offerta, non solo produce quantità diverse da quelle ottimali del bene in questione, ma s’appropria anche di una parte del surplus del consumatore. Se un mercato di questo tipo, si apre al commercio internazionale, esporta il bene commerciato e le limitazioni, in termini di efficienza e di distribuzione dei vantaggi, relative alle condizioni di monopolio. Altro aspetto è l’esistenza di economie o diseconomie di scala; nel caso di economie di scala, l’apertura al commercio può portare vantaggi maggiori, perché cresce il mercato di quel bene. Al crescere del volume della produzione, i costi unitari di produzione si riducono, e il fatto che cresce la domanda per quel bene, genera vantaggi aggiuntivi. L’opposto si ha nel caso di diseconomie di scala. Se all’ampliarsi del mercato, perché il paese si apre al commercio, il processo produttivo entra in un intervallo della produzione, dove ci sono delle diseconomie di scala, l’apertura al commercio porta a una riduzione di efficienza, per via dell’incremento dei costi unitari di produzione. Poiché economie e diseconomie di scala possono essere ingenti, un fenomeno che altera molto il livello dei costi di produzione, tale aspetto è molto rilevante nella realtà, una delle principali ragioni per le quali abbiamo osservato, negli ultimi decenni, una crescita enorme degli scambi, e le imprese hanno realizzato guadagni d’efficienza negli impianti notevoli.

Fattori di competitività

Per quanto riguarda la mobilità dei fattori, questi sono perfettamente riconvertibili all’interno del paese. I paesi non scambiano solo merci, beni finali tra di loro, anche fattori della produzione, lavoro compreso. Sono mobili anche gli input, che possono cambiare moltissimo le condizioni di efficienza nei diversi paesi. Se i fattori produttivi si spostano con tanta facilità, cosa ci resta per capire perché un paese è più competitivo di un altro in una certa produzione sui mercati internazionali? Possiamo rispondere in base a chi è arrivato per prima a produrre qualcosa, se quel processo produttivo manifesta delle economie di scala, e l’impresa collocata in un certo paese è cresciuta, ha un vantaggio sulle altre e le ha cacciate dal mercato, perché essendo cresciuta ha abbattuto i costi unitari di produzione, è più competitiva. Ci sono altri elementi, oltre alla dotazione di risorse naturali, come la manodopera che si sposta con grande facilità. Quando diciamo manodopera o forza lavoro, si fa riferimento a un fattore della produzione differenziato al suo interno, e non tutte le diverse componenti della forza lavoro, sono mobili, riproducibili e riconvertibili. Quando ci riferiamo alla forza lavoro, in termini di capitale umano, dove non c’è solo la forza muscolare, capacità di esercitare mansioni manuali, ma c’è anche acquisizione di professionalità, competenze, ecco che la dotazione dei diversi paesi diventa un elemento dirimente dei livelli di competitività. Le differenze in termini di professionalità e capitale umano, sono un fattore cruciale nel determinare i flussi di commercio. Altro elemento importante è il livello tecnologico di un paese, collegato alla qualità del capitale umano. I ricercatori spostano la frontiera tecnologica, quel segmento dei lavoratori che hanno fatto lunghissimi investimenti di addestramento, competenze e possono spostare in avanti la frontiera tecnologica, non solo se c’è dotazione di capitale umano adeguata, anche se nel paese si sono fatti investimenti in macchinari, laboratori, in attività di ricerca. Le infrastrutture non sono investimenti specifici, di singole imprese, ma sono del investimenti del settore pubblico, ad esempio nel sistema delle comunicazioni, della legalità, tutta l’infrastruttura materiale e non, che serve a far funzionare bene le singole imprese. Il modello del gap tecnologico spiega la competitività di un paese, in termini di quanto sta avanti da un punto di vista tecnologico rispetto ai concorrenti.
Modello dinamico che mette in luce il fatto che, c’è un gap, un vantaggio che si può erodere nel corso del tempo; il vantaggio competitivo dato dal miglior livello tecnologico di un paese, che fa si che le produzioni derivanti da processi della frontiera, siano inizialmente collocate in questi paesi, Man mano che la tecnologia diventa matura e altri paesi riescono ad emularla, la produzione è delocalizzata nei paesi che hanno imitato gli innovatori, paesi che godono di un vantaggio in termini di minor costo del lavoro. Un aspetto fondamentale nel settore agroalimentare, è la specializzazione produttiva e i flussi determinati dalla domanda. La componente agricola risente molto, più di altri settori, dei vantaggi localizzativi dovuti alle condizioni climatiche. La produzione di materie prime è fortemente determinata dalle condizioni ambientali. Storicamente, siccome l’industria di trasformazione si sviluppa vicino a dove si sviluppa la materia prima, la stessa industria di trasformazione ha seguito i vantaggi competitivi dovuti alle condizioni ambientali. In questo settore, è importante la determinazione della domanda, perché il partner dei consumi, di ogni consumatore, dipende da un fattore chiamato abitudine, ossia si tende a fare cose già fatte in passato, e solo parzialmente sperimentiamo nuovi comportamenti. Questo è vero nei consumi alimentari, perché il gusto degli alimenti si forma molto nei primi anni dell’infanzia. La domanda dei consumi alimentari tende ad avere una componente inerziale forte; un settore produttivo di un paese nasce, prima di tutto, per corrispondere a una domanda che si determina in loco. Una delle determinanti della competitività internazionale di un certo settore, è la presenza di una domanda interna. L’agroalimentare italiano si presta bene all’esempio delle eccellenze del Made in Italy: la pasta italiana è la più buona del mondo, perché i consumatori italiani, tradizionalmente abituati a consumare pasta di un certo tipo, sono esigenti, acquistando pasta con certe caratteristiche qualitative. Sui mercati esteri, la pasta italiana non teme concorrenza, se non altro, da un punto di vista qualitativo. Gli sviluppi più recenti delle teorie del commercio internazionale, si sono concentrati molto sull’importanza dell’esistenza della domanda, con certe esigenze qualitative, che allenano le imprese di quel paese a corrispondere al meglio a quella domanda.

Tratto da ECONOMIA DEL SETTORE AGROALIMENTARE di Valerio Morelli
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