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Il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa


Il reddito d’impresa relativo all’arco di tempo racchiuso fra la dichiarazione di fallimento e la chiusura della procedura, a prescindere dalla sua durata, si determina in maniera unitaria, ed è rappresentato dalla differenza fra il residuo attivo della procedura e patrimonio netto dell’impresa o della società all’inizio della procedura medesima.
L’abbandono del regime ordinario di misurazione del reddito rendere necessario rilevare separatamente il reddito prodotto si nota l’evento, la cui determinazione resta soggetta al regime ordinario. Nei casi di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa il reddito d’impresa relativo al periodo compreso fra l’inizio dell’esercizio e la dichiarazione di fallimento è determinato in base al bilancio redatto dal curatore. Egli è obbligato a predisporre il bilancio relativo all’ultimo esercizio dell’impresa fallita soltanto se questo non è stato preparato e depositato da folletto stesso; tuttavia il curatore non rimane mai completamente estraneo al bilancio poiché, quando è redatto dal fallito, il curatore è investito del compito di apportare ad esso tutte quelle rettifiche e aggiunte che dovessero risultare necessarie alla luce della documentazione contabile acquisita.
Pertanto, anche se non è redatto dal curatore, detto bilancio e comunque attribuibile al curatore medesimo, posto che a questi compete di controllarlo.
Il bilancio viene assunto a base per la quantificazione del reddito d’impresa dell’esercizio preconcorsuale, e fornisce la misura del patrimonio iniziale rilevante ai fini del conteggio del reddito d’impresa del periodo concorsuale, e di conseguenza sarà influenzato dall’attività di ricognizione e censimento degli elementi attivi e passivi del patrimonio dell’impresa fallita che il curatore deve compiere.
La dichiarazione relativa al reddito del periodo per i concorsuale deve essere presentata dal curatore entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo a quello della sua nomina. Essa ha inoltre ha solo una funzione diversa a seconda della categoria soggettiva di appartenenza del fallito: infatti se il fallimento e la liquidazione coatta coinvolgono una società o un ente soggetto all’ires, il periodo pre-concorsuale viene a configurarsi a tutti gli effetti come un autonomo periodo d’imposta; se invece coinvolge una società di persone il periodo pre-concorsuale non si erge ad autonomo periodo d’imposta, con la conseguenza che il relativo reddito concorre a formare pro-quota il reddito complessivo dei soci relativo all’ordinario periodo d’imposta in corso alla data della dichiarazione di fallimento. La medesima confluenza nel reddito complessivo si verifica quando il fallimento coinvolge un imprenditore individuale.
Passando al periodo fallimentare, il reddito d’impresa attribuibile a questo periodo è calcolato con un criterio speciale: esso infatti è costituito dalla differenza tra il residuo attivo della procedura e il patrimonio netto dell’impresa all’inizio della procedura medesima, determinato sulla base dei valori fiscalmente riconosciuti. Peraltro il valore del patrimonio netto iniziale si considera in tale contesto pari a zero tanto nel caso in cui l’ammontare delle passività sia uguale a quello dell’attività quanto nel caso più frequente in cui l’importo delle prime sia superiore a quello delle seconde.
Tale meccanismo conduce ad un notevole snellimento degli adempimenti imposti al curatore.
L’importo del patrimonio netto iniziatesi determina tenendo conto dei valori fiscalmente riconosciuti delle attività e delle passività esposte nel bilancio allegato dal curatore alla suddetta dichiarazione iniziale.
Con l’espressione “residuo attivo” si designa insieme di quegli elementi attivi appartenenti al patrimonio dell’impresa fallita che avanzano una volta estinti tutti gli elementi negativi.

Per quanto attiene alle società si deve segnalare che la dichiarazione di fallimento non determina la loro immediata estinzione; l’organizzazione societaria permane dunque integra durante tutta la procedura concorsuale. Si discute se nell’ipotesi di chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo, o per ripartizione finale dell’attivo medesimo, si determini l’automatica estinzione dell’ente fallito.
Anche in rapporto alle imprese individuali sembra evidente che la chiusura della procedura fallimentare, per integrale soddisfacimento dei creditori, deve di per sé essere considerato ininfluente sulla destinazione economica dei cespiti residuati.
Nel caso in cui fallimento si chiuda senza che tutti i crediti ammessi al passivo siano estinti integralmente, il residuo da assumere per il calcolo del reddito del periodo deve essere considerato pari a zero.
Affinché il risultato della sottrazione del patrimonio netto iniziale dalla residuo attivo si concretizzi in un reddito è perciò necessario il concorso di due fattori:anzitutto che sussista un residuo attivo della procedura, e che poi il suo valore sia superiore a quello del patrimonio netto iniziale. Si ha invece un pareggio se il valore dei cespiti relitti è pari a quello espresso dal patrimonio netto iniziale, ovvero se il valore di entrambe le grandezze da affrontare devono essere considerati nulli perché entrambe costituite da un disavanzo. Si registra infine una perdita quando a fronte di un patrimonio netto iniziale di segno positivo, si colloca un residuo attivo di valore inferiore oppure inesistente.
Nulla impedisce, nel caso di società di capitali, la compensazione dell’eventuale reddito dell’unità del periodo fallimentare con le perdite fiscalmente riconosciute relative ai periodi precedenti.
Se il soggetto nei cui confronti è stata esperita la procedura è un imprenditore individuale o una società di persone, la cifra di segno positivo o negativo che si ottiene con il procedimento descritto non integra direttamente il reddito o la perdita da considerare ai fini dell’imposizione. Infatti questa cifra deve essere rettificata al fine di tenere conto di quelle poste attive e passive che, pur avendo avuto l’ingresso nella procedura, attengono alla sfera personale dell’imprenditore o dei soci illimitatamente responsabili.

Tratto da MANUALE DI DIRITTO TRIBUTARIO di Andrea Balla
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