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L’ammortamento dei beni immateriali e le spese ad utilità pluriennale


L’Art 2426 impone per queste voci il sistematico ammortamento, oltre che del costo delle immobilizzazioni materiali, anche del costo delle immobilizzazioni immateriali, presupponendo che il bene possegga utilità pluriennale.
Analogo processo viene richiesto dai PCI per i quali, tuttavia, dopo la loro rilevazione iniziale, i beni immateriali possono essere valutati sia utilizzando il criterio del costo, sia quello del fair value.
Sul versante tributario la categoria dei beni immateriali viene spezzata in due sottoinsiemi, con due differenti discipline:
- Art 103 c. 1: per l’ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, brevetti, processi, viene fissato un tetto max agli importi deducibili: sono deducibili nella determinazione del reddito dell’impresa in misura non superiore al 50 % del costo.
- Art 103 c. 2: le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione e degli altri diritti iscritti nell’attivo sono deducibili nella misura corrispondente alla durata dell’utilizzazione dei diritti medesimi prevista dal contratto o dalla legge.
Per ciò che concerne l’avviamento (ovvero il maggior valore che un complesso di beni organizzato in azienda esprime rispetto alla somma dei valori dei singoli beni e diritti che lo compongono) la normativa civilistica dispone che esso può essere iscritto all’attivo dello stato patrimoniale soltanto se acquisito a titolo oneroso.
Per l’Art 2426 il costo dell’avviamento allocato all’attivo deve essere ammortizzato entro un arco temporale non superiore a cinque anni. Anche i PCI limitano l’iscrizione all’avviamento derivativo, escludendone però l’ammortamento: il costo dell’avviamento può essere ridotto soltanto se e quando si ravvisi una perdita di valore.
- Art 103 c. 3: le quote di ammortamento dell’avviamento sono deducibili in misura non superiore ad un diciottesimo del valore stesso.
Si arriva così ad inserire nella dichiarazione dei redditi una variazione in aumento al risultato del conto economico relativo al periodo d’imposta o ai periodi d’imposta in cui il limite viene varcato, e consente di inserire una variazione in diminuzione nella dichiarazione relativa al periodo o ai periodi d’imposta successivi, quando la quota imputata al conto economico scende sotto il limite, o l’ammortamento civilistico si esaurisce.
Un regime similare a quello dell’ammortamento dell’avviamento lo si applica anche con riferimento alla norma civilistica per la distribuzione temporale delle spese che hanno un’utilità pluriennale. Ai sensi dell’Art 2426 n. 5, i costi di impianto e ampliamento, di ricerca e sviluppo, di pubblicità se, e nei limiti in cui, sono dotati di un’utilità pluriennale, anziché essere attribuiti integralmente al conto economico dell’esercizio in cui sono stati sostenuti, possono essere iscritti all’attivo e ammortizzati, entro un periodo di cinque anni.
Le spese relative a studi e ricerche possono essere dedotte nell’esercizio in cui sono sostenute, ovvero in quote costanti nell’esercizio stesso e nei successivi ma non oltre il quarto.
Le spese di pubblicità e propaganda sono invece deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute, o in quote costanti nell’esercizio stesso e nei quattro successivi.
Quanto alle spese di rappresentanza, a meno che non si riferiscano a beni di valore unitario inferiore a 50 € da distribuire gratuitamente, esse sono ammesse in deduzione se rispondenti ai criteri di inerenza e congruità stabiliti da apposito decreto ministeriale, anche in funzione della natura e delle destinazione delle stesse, del volume dei ricavi dell’attività caratteristica e dell’attività internazionale dell’impresa.
In precedenza erano soggette ad un regime penalizzante, in quanto erano deducibili per un terzo del loro ammontare, ed in quote costanti nell’esercizio di sostenimento e nei quattro successivi.
Ciò che viene perseguito con queste spese è l’obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’impresa, ovvero di ricercare una coerenza con le pratiche commerciali di settore.
Occorre quindi distinguere fra spese di rappresentanza e spese di pubblicità/propaganda: la nozione di spesa di rappresentanza ruota intorno a due poli: l’erogazione gratuita di beni e di servizi, nonché la funzione promozionale o di pubbliche relazioni.
Le spese di pubblicità/propaganda si caratterizzano invece per essere rivolte a diffondere la conoscenza dei prodotti oggetto dell’attività caratteristica, dei segni distintivi utilizzati, ed in generale della presenza sul mercato dell’impresa, mentre quelle di rappresentanza tendono ad accreditare un’immagine positiva dell’impresa, senza un percepibile rapporto con la sua attività produttiva.
Nella classificazione di queste spese un ruolo fondamentale lo riveste l’identificazione del contesto nel quale si inseriscono: se rivestono uno strumento per promuovere le vendite, le relative spese vanno qualificate come spese di pubblicità e propaganda; in caso contrario, vanno considerate come spese di rappresentanza, ma deve comunque sempre sussistere una qualche percepibile forma di convenienza economica nella sua attuazione.
Per entrambe le categorie si ha quindi un legame solamente indiretto con i ricavi dell’impresa; quando invece è ravvisabile una relazione diretta con questi ultimi, le spese vanno allora ricondotte fra le ordinarie spese commerciali.
- Art 108 c. 3: le altre spese relative a più esercizi, come ad esempio le spese di impianto e ampliamento, devono essere ripartite tra i diversi esercizi in ragione della quota imputabile a ciascuno.
Per le imprese di nuova costituzione tutte le spese ad utilità pluriennale vanno dedotte, con le modalità viste in precedenza, a partire dall’esercizio in cui si cominciano a produrre ricavi.

Tratto da MANUALE DI DIRITTO TRIBUTARIO di Andrea Balla
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