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La pubblicazione dell'edizione genetica

È l'ultimo problema. Come pubblicare un libro con i risultati del lavoro di cernita, ordinamento e valutazione compiuto studiando il materiale autoriale relativo ad un sonetto, ad un romanzo, ad un racconto eccetera? I seguaci della soluzione estrema propongono di fornire una trascrizione diplomatica di tutti gli scartafacci, riproducentdo a stampa le diverse posizioni, l'andamento dritto o serpeggiante della scrittura sulle pagine, gli scarabocchi, i disegni, le cassature eccetera. In questo modo ognuno si può fare la sua idea senza farsi influenzare dall'opinione dell'editore. Una soluzione analoga è quella della riproduzione fotografica ma entrambe hanno i loro problemi. In ogni caso, queste soluzioni iperdiplomatiche non vanno considerate edizioni genetiche a tutti gli effetti perché manca l'intermediazione del filologo tra i dati puri e semplici e l'utente. Il filologo deve proporre, senza imporre, una interpretazione dei dati analizzati.
Si inizia dunque con la scelta di un valido punto di riferimento, uno stato del testo cui commisurare sia sporadiche varianti sia stesure sistematicamente riviste e confrontabili. Questo testo generalmente è quello corrispondente all'ultima volontà dell'autore ma non è sempre così. L'ultima edizione può anche contenere un messaggio radicalmente diverso da quello veicolato da quelle precedenti. Solo in questo caso l'edizione critica sarà articolata in genetica ed evolutiva, documentando cioè l'arrivo al testo di riferimento e, separatamente, l'allontanamento sopraggiunto più tardi con un altra edizione.
Occorre poi una strategia rappresentativa adatta al caso in esame che consenta di fare capire al lettore come stanno le cose, nel modo più semplice.
Si rappresentano allora in colonna le fasi attraverso le quali un certo verso o segmento di prosa è passati, dalla più antica alla più recente. È un metodo molto buono soprattutto per i testi in poesia. L'elemento variato si inserisce nel contesto, che viene omesso o inserito all'interno di parentesi quadre.
Coi testi in prosa conviene invece la rappresentazione lineare, che può essere di tipo integrale o parziale. La lineare integrale è sostanzialmente un'edizione diplomatica, perchè, dato un manoscritto costellato di correzioni, le varianti sono collocate nella stessa riga insieme al contesto che non è mutato, aggiungendo appositi segni diacritici e note a piè di pagina che segnalano le caratteristiche del testo mutato (cancellature, ricalchi su, aggiunte sopra o sotto, eccetera).
L'aspetto positivo di questa modalità è che il lettore acquisisce le informazioni senza spostare gli occhi dalla riga, ma il difetto è che corre il rischio di perdere il filo, distratti dalla frequenza e dal numero delle interruzioni, nonché dai segni diacritici necessari. Altro difetto è che su una rappresentazione lineare è impossibile visualizzare l'appartenzenza delle varianti alle diverse fasi elaborative.
La lineare parziale utilizza, adattato, il modello del testo – apparato adibito all'edizione critica di opere conservate in copia. Vediamo cosa vuol dire. Nella stessa pagina in alto è collocata una porzione del testo di riferimento, mentre in basso vengono rappresentate le relative varianti. Qui si segnala il punto preciso cui ciascuna variante si riferisce, premettendo la citazione completa della fase finale delimitata a destra con una parentesi quadra chiusa. Seguono accanto le varianti distinte e numerate all'esponente in base alla progressione delle fasi elaborative (esempio: YZ] 1AB 2YB 3YZ). Se c'è rischio di fraintendimento, il punto preciso del testo cui rapportare la variante viene segnalato con la parola iniziale di riappicco (esempio: XYZ] 1XAB 2XYB 3XYZ). L'apparato poi si completa con l'inserimento di segni diacritici capaci di distinguere le varianti immediate da quelle tardive e altre modifiche.

Tratto da FILOLOGIA DELLA LETTERATURA ITALIANA di Gherardo Fabretti
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