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La fattispecie dell’art. 1440 c. c.: il dolo incidente


Il favore dottrinale per la compatibilità tra la validità del contratto e sussistenza di una responsabilità per violazione della regola di buona fede in contrahendo  trova l’argomentazione più ricorrente nell'interpretazione sistematica dell’art. 1440 c. c., quale significativa ipotesi presa in considerazione dal legislatore che prevede che «se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe stato concluso a condizioni diverse; ma il contraente in mala fede risponde dei danni».
Dalla lettera dell’art. 1440 c. c. si evince, quindi, che detta figura di dolo, pur partecipando della natura della fattispecie ex art. 1439 c. c., se ne distingue per due particolarità: l’intensità del raggiro - che non è tale da essere determinate per il consenso - e l’oggetto sul quale ricadono le conseguenze dell’inganno – che, ex art. 1440 c. c., consta nelle modalità di conclusione del negozio.
L’effetto diretto di queste due differenze si concreta nell’impossibilità di ottenere, in presenza di dolo incidente, l’annullabilità del contratto: mentre in caso di dolo determinante - il c. d. dolus causam dans, ossia il dolo ricadente su condizioni essenziali del contratto - il contraente ingannato, che ha visto viziato il proprio processo di determinazione della volontà, può assumere che, in assenza delle menzogne e dei raggiri patiti, non avrebbe concluso il negozio, in presenza di dolo incidente - il c. d. dolus incidens, ossia il dolo non ricadente su condizioni essenziali del contratto -, egli può solo affermare che avrebbe ugualmente concluso il negozio, ma a condizioni diverse, a sé più favorevoli.
Pertanto, l’istituto del dolo incidente ex art. 1440 c. c. non interferisce con la validità o l’efficacia del contratto, ma rileva giuridicamente quale «antitesi della buona fede oggettiva», fornendo uno strumento di carattere risarcitorio per riportare equilibro fra prestazioni sbilanciate a causa della condotta sleale di una parte. In altre parole, l’art. 1440 c. c. assumerebbe il ruolo di una fattispecie paradigmatica, espressione di una generale compatibilità tra rimedio risarcitorio – legato ad una condotta scorretta in fase di trattative – e validità del contratto.
A questo proposito, la migliore dottrina ha affermato che il danno risarcibile ex art. 1440 c. c. dovrà essere rapportato alle migliori condizioni che la parte avrebbe realizzato senza l’intervento doloso: sussistendo un contratto valido, il quantum risarcitorio non andrà commisurato all’interesse negativo - inteso quale interesse che la parte aveva a non stipulare il contratto -, bensì sarà determinato secondo le regole generali in tema di inadempimento contrattuale, atteso che la parte non lamenta l’invalidità del contratto, bensì ha interesse a mantenere valido il contratto - che non è stato posto nel nulla dall’altrui azione dolosa -, limitandosi a lamentare la mancata realizzazione del miglior risultato economico che avrebbe potuto ottenere, se l’altra parte si fosse comportata secondo buona fede durante le trattative.

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