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L'integrazione del provvedimento amministrativo


La diversità tra integrazione ed interpretazione nasce dal fatto che la prima può aver luogo solo dopo che si è esaurita la seconda, con l'identificazione, definitiva per l'operatore, del significato da attribuire al precetto.
Può essere integrato ciò che è stato prima interpretato.
L'integrazione del provvedimento amm. ha subito l'influenza esercitata dal c.c.: l'inserzione di clausole previste da norme cogenti o le clausole d'uso  determina l'integrazione del contratto ogniqualvolta le parti abbiano dimenticato d'inserire le riferite clausole nel testo del medesimo. Si compie non un'analisi ermeneutica, ma un'operazione di completamento, mediante il recupero di una disciplina legale predisposta dalla legge o da usi normativi.
Sarà quindi pacifico che anche per l'integrazione del provvedimento tutte le disposizioni normative cogenti, se pur non richiamate espressamente nell'esternazione dell'atto, s'intendono automaticamente inserite in aggiunta a quel precetto, il cui significato è già stato delucidato in sede di interpretazione.
Il dissenso sembra insanabile quando si sostiene che alla prassi si dovrebbe attribuire un'identica operatività, corrispondendo a quell'uso che, invalso tra privati, è stato così qualificato dal c.c. come mezzo di integrazione del contratto.
Il c.c. prevede 2 distinte categorie di usi: gli usi interpretativi possono essere utilizzati per superare l'ambiguità di una clausola dubbia; gli usi normativi o giuridici sono fonte sussidiaria che può essere usata per integrare il contratto con clausole elaborate non da semplice prassi negoziale, ma da un uso a livello consuetudinario.
La prassi amm. non potrebbe venire parificata ad un uso giuridico, dal momento che non ha natura né cogente né normativa.
Per il provvedimento amministrativo non si potrebbe prevedere un duplice identico ruolo della prassi: sia mezzo ermeneutico, che strumento di integrazione.
La giurisprudenza  ritiene che la logicità sia un mezzo integrativo dell'atto, in quanto si dovrebbe riconoscere un nesso tra il provvedimento concreto e il suo tipico archetipo; inoltre l'atto sarebbe integrato nel senso più conforme all'interesse pubblico generale. Al riguardo si provvede non ad integrare, bensì ad interpretare malamente il provvedimento, utilizzando mezzi interpretativi che generalmente sono ammessi soltanto per l'analisi ermeneutica degli atti normativi (ma Cavallo non è d'accordo: date all'interprete ciò che è dell'interprete).

Tratto da DIRITTO AMMINISTRATIVO di Beatrice Cruccolini
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