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Legislazione italiana precedente agli atti terroristici dell’11 settembre 2001 e relativa analisi interpretativa dei dati statistici del periodo 1996-2001


Il fenomeno terroristico nello Stato Italiano post-unitario è stato di carattere prevalentemente interno e si è sviluppato dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso; pertanto, il Codice Penale italiano del 1930 non aveva una previsione specifica relativa al fenomeno terroristico. La repressione sul fronte giudiziario, di conseguenza, è stata effettuata facendo ricorso a vari strumenti giuridici:
1.Il Codice Rocco , il quale, al primo posto nella gerarchia dei beni protetti nella Parte Speciale, collocava i così detti delitti politici, «Delitti contro la personalità interna dello Stato», tra cui l’art. 270 «Associazioni sovversive»;
2.La normativa detta “Legislazione d’emergenza”, frutto dell’aggressione terroristica dei così detti “anni di piombo”;
3.Inserimento dell’art. 289 bis «Sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione», all’indomani del sequestro Moro;
4.Decreto Cossiga del 1979, che introduce gli artt. 270 bis «Associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico» e 280 «Attentato per finalità terroristiche o di eversione», in seguito ad ulteriori fatti di sangue particolarmente gravi.

Da un esame complessivo delle precedenti disposizioni, si evidenzia che, solo dai primi anni ’80, il legislatore è intervenuto sul piano della gravità delle sanzioni e su quello della precisione delle disposizioni, in particolare attribuendo per la prima volta specifico rilievo nell’ordinamento italiano alla finalità di terrorismo; infatti, rispetto alle nuove fattispecie incriminatici, essa si pone, più precisamente, come elemento costitutivo ed è oggetto di dolo specifico. Non se ne dà tuttavia alcuna definizione normativa, lasciando all’interprete il problema di colmarne la vaghezza, propria di un concetto di matrice politico-sociologica.
Quale che fosse la soluzione interpretativa scelta, il dato letterale non permette, in ogni caso, di farvi rientrare le associazioni finalizzate a commettere atti di terrorismo internazionale; la giurisprudenza, in particolare, è stata nel senso che l’oggetto di tutela fosse il solo ordine costituzionale interno.

Comparando questo quadro storico-giuridico all’eseguità dei dati statistici a nostra disposizione (periodo 1996-2001), la prima considerazione che si può addurre, relativamente alla qualificazione giuridica dei reati iscritti presso le Procure nazionali della Repubblica, è la prevalenza percentuale dei reati penali ex artt. 270 bis e 270 c.p., oltre alla violazione delle leggi sulle Armi. Limitatamente alle «Associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico», la nostra interpretazione ricade sulla caratteristica di fattispecie aperta di questo testo normativo , che, pertanto, tende ad includere al suo interno anche quei crimini, cui si riesce a dare una sistemazione penale solo previa interpretazione estensiva della norma. Per quanto riguarda le «Associazioni sovversive», invece, è ancora netto l’impianto autoritario di questo articolo , già precedentemente menzionato, che ne rende problematica l’applicazione; in questo modo, si può giustificare, a nostro giudizio, il suo andamento altalenante d’iscrizione in procura, che, quando risulta percentualmente inferiore, si adegua alla tesi dottrinale, secondo cui la Costituzione permette di manifestare anche l’idea (nella misura in cui non si passi all’azione) di «sovvertire violentemente», in base alla libertà di associazione e di manifestazione del pensiero , mentre, quando risulta percentualmente superiore, si adegua a quella, secondo cui tali libertà possono legittimare il fine sovversivo, ma non il mezzo violento, sia materiale sia di sola ispirazione. Infine, si è osservato che, in seguito alla modifica legislativa del testo normativo sulle Armi, risalente al 1997, il numero di reati iscritti con questa qualificazione giuridica è nettamente diminuito, probabilmente grazie all’apporto sia di una più chiara definizione della fattispecie penale, sia di più restrittive misure repressive ed investigative.
In secondo luogo, restringendo l’ambito della nostra indagine alle prime due fattispecie penali, sopra considerate, la nostra attenzione si è soffermata sulla netta prevalenza percentuale delle persone coinvolte nei  reati iscritti  nel Nord Italia, nel 1996 e, negli anni successivi, sulla graduale crescita nel Centro Italia di questo valore numerico, fino a raggiungere un livello equivalente, o addirittura lievemente superiore, a quello della macroarea settentrionale, rispetto ad una percentuale costantemente minima nel Sud Italia e nelle Isole. Al contrario, per quanto riguarda la terza fattispecie, la variazione percentuale dei soggetti coinvolti nei reati iscritti in procura  risulta sempre essere  nettamente superiore nel Centro-Sud rispetto al Nord. A nostro parere, queste due rilevazioni statistiche sono tra loro strettamente correlate, poiché la finalità della violazione degli artt. 270 e 270 bis c.p. mira a ledere l’incidenza economica e politica della personalità giuridica dello Stato, facoltà pubbliche che, sin dall’unità d’Italia, per ovvie ragioni storiche, sono molto più evidenti nel Nord e nel Centro; di conseguenza, in linea con le cause sociologiche appena sottolineate, la prevalente violazione della normativa sulle Armi al Sud non è un’anomalia, in quanto, quale ipotesi che avvalora la nostra tesi, si può pensare che questa strumentazione bellica illecitamente detenuta sia impiegata allo scopo di colpire gli obiettivi più sensibili, situati al Nord.
Ulteriore considerazione, sempre inerente alla logica interpretativa qui sopra riportata, riguarda il numero di procedimenti pendenti nell’Italia settentrionale, che sono nettamente superiori a quelli dell’Italia centrale, a differenza di una limitatissima percentuale nel Mezzogiorno; in particolare, il numero dei crimini in analisi presso la Procura e gli Uffici giudiziari a Milano, quale polo economico e industriale fra i primi in Italia, è costantemente cresciuto nell’arco del periodo analizzato e si è sempre mantenuto tra i più elevati dei principali distretti della nazione.
Per quanto riguarda i procedimenti definiti, interessante è il dato relativo alle persone dei provvedimenti definitori più indicativi , che indica come per più di sei persone su dieci  vi sia il decreto di archiviazione; questa alta percentuale rispetto al totale è verosimilmente dovuta, da un lato, alla probabile e fisiologica difficoltà di ricercare obiettivi elementi di imputazione durante la fase delle indagini preliminari, nonché alle eventuali infondatezze delle notizie di reato o ad altre cause previste dal codice e, dall’altro, alla lentezza dei processi presso gli Uffici giudicanti che, sempre in tendenziale aumento, fa sì che un numero d’imputati sempre maggiori rimanga in attesa di giudizio. Inoltre, per chiarezza, bisogna ricordare che il numero di procedimenti definiti comprende al suo interno sempre anche i procedimenti ancora pendenti degli anni precedenti.

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