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L’appello principale: legittimazione, contenuti dell’atto e specificità dell’impugnazione


Tradizionalmente, la legittimazione all’appello era riconosciuta solo alle parti necessarie nel giudizio di primo grado, perché in generale la proposizione dell’appello sembrava l’espressione di un potere di disposizione della controversia riservato alle parti necessarie.
Più di recente, però, il Consiglio di Stato ha riconosciuto la legittimazione a proporre l’appello anche all’interventore ad opponendum nel giudizio di primo grado, quando esso risulti titolare di una posizione autonoma rispetto alle altre parti.
Una parte della giurisprudenza, per assicurare una tutela ai terzi titolarti di una posizione giuridica autonoma, che non siano intervenuti nel giudizio di primo grado e subiscano un pregiudizio dall’annullamento del provvedimento impugnato, riconosce anche ad essi la legittimazione a proporre appello.
Questa giurisprudenza condurrebbe ad ammettere una distinzione, non consentita nel processo civile, fra parti nel processo di primo grado e legittimazione all’appello.
In merito ai contenuti dell’atto d’appello la giurisprudenza sembra ancora lontana da conclusioni omogenee.
Innanzi tutto è discusso se l’appello possa esaurirsi nella riproposizione delle domande respinte dal giudice di primo grado o se debba contenere una critica specifica nei confronti del contenuto di tale sentenza.
Spesso, quando si prescrive la specificità dell’impugnazione, si fa in realtà riferimento all’esigenza che l’appello identifichi esattamente l’oggetto della domanda, e cioè definisca l’ambito della sentenza di primo grado di cui si invoca il riesame.
Invece, ai fini che qui interessano, si intende far riferimento alla necessità che l’atto d’appello identifichi, a pena di inammissibilità, le ragioni per le quali la sentenza non venga ritenuta corretta o condivisibile.
Su questo tema, la giurisprudenza appare divisa.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha prospettato in alcune occasioni una soluzione di mediazione, sostenendo che il giudizio d’appello avrebbe “come oggetto immediato e diretto” la sentenza, e non il provvedimento impugnato in primo grado, e affermando nello stesso tempo che però anche la semplice riproposizione delle censure proposte in primo grado soddisferebbe l’onore di allegazione dei motivi.
In questo modo la critica alla sentenza di primo grado sarebbe desumibile “sostanzialmente nella proposizione stessa dell’atto d’appello”; d’altra parte la funzione della motivazione dell’appello si esaurirebbe nella individuazione dei capi di sentenza impugnati.
Questa soluzione, però, non è consolidata ed è tuttora rappresentato anche un indirizzo contrario che, richiamandosi alla tesi secondo cui il giudizio d’appello verterebbe sulla sentenza di primo grado, considera inammissibile l’appello che si limiti a riproporre le domande e le ragioni formulate in primo grado.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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