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L’idea-base della pena retributiva


Per l’idea retributiva la pena irrogata ai soggetti ritenuti responsabili è, innanzitutto, ideale affermazione del principio etico-esistenziale che all’azione socialmente adeguata segue un ampliamento e all’azione antisociale una riduzione delle possibilità giuridiche del soggetto.
Per la teoria della retribuzione (assoluta), compendiabile nell’assunto che il bene va ricompensato col bene e il male col male, la pena è un valore positivo che trova in sé stessa la sua ragione di giustificazione: essa è il corrispettivo del male commesso.
Si possono distinguere, però, due diversi aspetti:
a.    la retribuzione morale, per cui la pena è un’esigenza etica profonda ed insopprimibile della coscienza umana; è un’esigenza di ragione e poggia sull’idea di giustizia.
Muove dalla concezione dell’uomo come “personalità”, per cui l’uomo non può essere “usato” quale strumento per qualsiasi scopo, né trattato alla stregua di una “cosa”; di conseguenza, la pena non può trovare la propria giustificazione nel perseguimento dell’utile della società né del reo stesso, ma deve avere un fondamento etico assoluto: ciò che giustifica la pena è soltanto la realizzazione dell’idea di giustizia;
b.la retribuzioni giuridica, per la quale la pena trova il proprio fondamento non al di fuori (nella coscienza umana), ma all’interno dell’ordinamento giuridico; poiché il delitto è ribellione del singolo alla volontà della legge, come tale che esige una riparazione, che valga a riaffermare l’autorità della legge e che è data dalla pena.
Essendo il delitto la negazione del diritto e la pena la negazione del delitto, la pena in quanto negazione di una negazione è affermazione del diritto.
A mezzo della pena lo Stato afferma il proprio ordinamento, dando fra l’altro una soddisfazione alla collettività turbata dal delitto, alla vittima e ai congiunti, e calmando l’allarme sociale derivatone.

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