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Definizione di obbligazione di conferimento

Definizione di obbligazione di conferimento


L'obbligazione di conferimento può anche consistere, per tutti gli associati o, come più spesso accade, per una categoria di essi (la categoria cosiddetta dei «soci vitalizi»), in un apporto da effettuarsi una tantum, a somiglianza del conferimento in società. L'apporto una tantum ha, di regola, ad oggetto il versamento di una somma di danaro (l'ammontare minimo della quale è, normalmente, stabilito di anno in anno dagli organi direttivi dell'associazione); ma può consistere, per determinati associati, nel trasferimento in proprietà o in godimento di beni o immobili (e, in tal caso, si applicherà per analogia l'art. 2254).

Può anche accadere che determinati associati, o determinate categorie di associati (ad esempio, i «soci-atleti» delle associazioni sportive), conferiscano esclusivamente la propria opera personale; può, inoltre, accadere che all'obbligazione del contributo patrimoniale si aggiunga, per tutti o per determinate categorie di associati, quella di determinate prestazioni personali.
La corresponsione, oltre ad una iniziale «tassa di ammissione», di contributi annui in danaro è propria dei cd. «soci ordinari».
Un aumento del loro ammontare può essere deliberato per il futuro, ma non può essere ammesso con forza retroattiva per il passato, perché il socio deve avere garantita la possibilità di sottrarsi agli oneri patrimoniali con il recesso.
È comunemente formulato dal Consiglio di Stato, nei pareri resi in sede di riconoscimento delle associazioni, il principio secondo il quale gli associati debbono avere parità di diritti e di doveri.
Può sembrare difficile, nel campo del diritto privato, trovare la giustificazione del principio di uguaglianza: in un campo governato dall'autonomia contrattuale si dovrebbe, all'opposto, giudicare possibile l'accordo dei singoli per un trattamento disuguale delle loro rispettive posizioni.
Clausole che introducono disuguaglianze fra gli associati sono, in fatto, frequenti: gli statuti di molte associazioni distinguono fra diverse categorie di soci («benemeriti », «vitalizi», «sostenitori», «ordinari»…).
Talune disuguaglianze sono certamente illecite; cosi la clausola che attribuisce a determinati associati, a titolo di diritto privilegiato, la carica di amministratore; cosi la clausola che priva determinate categorie di associazioni del diritto di voto, o quella che, per converso, attribuisce agli appartenenti ad altre categorie un voto plurimo, o quella che attribuisce a ciascun socio un numero di voti proporzionale all'entità del conferimento o, infine, quella che preclude a determinate categorie di associati l'elettorato passivo per le cariche direttive.
Disuguaglianze di tal genere sono ammesse nelle società lucrative (es. azionisti di risparmio senza diritto di voto), ma debbono considerarsi inammissibili nelle associazioni e società cooperative.
Si è qui di fronte a tipi contrattuali legislativamente predisposti per il perseguimento, in forma associata, di un interesse di «serie» o di «categoria» dei contraenti: il rapporto associativo si costituisce fra quanti versino in una medesima situazione di interesse o siano animati da un medesimo ideale; ed i singoli concorrono al governo dell'associazione in ragione, esclusivamente, del fatto di essere portatori di quel dato interesse o di essere animati da quel dato ideale.
Ciò implica, necessariamente, una pariteticità di posizione fra i componenti il gruppo.

Tratto da LE PERSONE GIURIDICHE di Beatrice Cruccolini
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