I vizi della sentenza e l’evoluzione dei rimedi attraverso cui fare valere le invalidità della sentenza
                                    
Secondo una ripartizione tradizionale, i vizi della sentenza si distinguono in errores in procedendo e in errores in iudicando:
Gli errores in procedendo, o vizi di attività, determinano l’invalidità della sentenza. 
Essi possono consistere:
- nella mancanza di requisiti extraformali non sanati o non sanabili: difetto di giurisdizione, di competenza, di legittimazione ad agire, di litisconsorzio necessario, di interesse ad agire, ecc…;
- in nullità formali non sanate che in forza del principio della estensione delle nullità agli atti dipendenti si siano riverberate sulla sentenza; 
- in vizi attinenti immediatamente alla sentenza, cioè nel difetto di condizioni extraformali o di requisiti formali propri della sentenza.
Gli errores in iudicando, o vizi di giudizio, determinano l’ingiustizia della sentenza. 
Essi inquinano direttamente l’operazione logica destinata a determinare quale è la volontà concreta di legge nel caso concreto.
Possono consistere:
- in errori nella individuazione e/o nella interpretazione della norma sotto cui si assumere il diritto fatto valere in giudizio: cioè relativi alla quaestio iuris;
- in errori commessi nell’accertamento dei fatti controversi: cioè relativi alla quaestio facti.
È opportuno a questo mondo svolgere alcuni cenni di carattere storico.
Gli strumenti attraverso cui far valere l’invalidità della sentenza si sono evoluti secondo questa progressione:
- inizialmente il rimedio esperibile era azione di nullità: imprescrittibile, suscettibile di essere fatta valere da chiunque vi avesse interesse ed a contenuto esclusivamente rescindente; a successivamente il sistema si è voluto prevedendo l’istituto della querela nullitatis, rimedio specifico esperibile contro le sentenze invalide: soggetto a termine, esperibile unicamente dalla parte a cui danno era andato il vizio, ma ancora a contenuto esclusivamente rescindente; 
- l’ultima fase di questa evoluzione è consistita nel prevedere quale unico rimedio attraverso cui fare valere l’invalidità della sentenza i mezzi di impugnazione: rimedi soggetti a termine, esperibile unicamente dalla parte praticamente soccombente, diretti non solo all’eliminazione, ma anche alla sostituzione della sentenza. 
Risultato di questa lenta evoluzione è il principio della conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione; conversione che si fonda sul presupposto secondo cui qualora il loro difetto non abbia determinato danno per la parte, questa, in quanto praticamente vittoriosa, non possa far valere.
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Dettagli appunto:
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                                Autore:
                                Stefano Civitelli
[Visita la sua tesi: "Danni da mobbing e tutela della persona"]
 - Università: Università degli Studi di Firenze
 - Facoltà: Giurisprudenza
 - Esame: Diritto processuale civile, a.a.2007/2008
 - Titolo del libro: Lezioni di diritto processuale civile
 - Autore del libro: A. Proto Pisani
 
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