Skip to content

L’inammissibilità


L’inammissibilità si realizza quando manca un presupposto anteriore ed esterno all’atto d’appello.
Essa è sempre rilevabile d’ufficio e non conosce sanatoria.
Sono quattro le disposizioni dalle quali emerge la categoria dell’inammissibilità:
- l’art. 331 c.p.c. secondo cui in materia di cause inscindibili o dipendenti “l’impugnazione è dichiarata inammissibile se nessuna delle parti provveda all’integrazione nel termine” di sanatoria fissato dal giudice;
- l’art. 334 c.p.c. che disciplina le impugnazioni incidentali tardive, alla cui stregua “se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale perde ogni efficacia”;
- l’art. 345 c.p.c. secondo cui le domande nuove “devono essere dichiarati inammissibili d’ufficio”;
- l’art. 358 c.p.c. secondo cui “l’appello dichiarato inammissibile non può essere riproposto anche se non è decorso il termine fissato dalla legge”.
L’appello è inammissibile anche quando:
- è proposto dopo la decorrenza dei termini previsti dagli artt. 325, 326, 327 c.p.c., o dopo che si è verificato il fenomeno dell’acquiescenza;
- è proposto contro una sentenza inappellabile;
- trattandosi di appello incidentale è proposto oltre il termine previsto dall’articolo 343 c.p.c.
La conseguenza della dichiarazione di inammissibilità è la non riproponibilità dell’atto d’appello, anche se non sono decorsi i termini per appellare.
Da ciò si evince l’importanza a livello di conseguenze pratiche di classificare un vizio come inammissibilità o come nullità; la nullità infatti è suscettibile di sanatoria e di per sé non preclude mai la riproposizione dell’appello, l’inammissibilità è una sanzione molto più rigida che lascia spazio solo alla proposizione di altri mezzi di impugnazione (revocazione, regolamento di competenza, ecc…).

Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.