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La motivazione nella funzione giurisdizionale

La motivazione nella funzione giurisdizionale


Infine, l'ultima garanzia è quella della motivazione.
Siamo in presenza di una garanzia relativamente recente, un portato dell'idea dello Stato di diritto, per cui il potere giudiziario, se può certo porre comandi im­perativi, deve, però, giustificarne la ragione, rendere conto del fondamento di essi.
Il dovere della motivazione risponde ad una duplice logica.
La prima ha valenza extraprocessuale e risponde ad un'esigenza di traspa­renza nella gestione della funzione giurisdizionale. Del resto, se è vero che «La giustizia è amministrata in nome del popolo” (art. 101.1 Cost.), è an­che vero, allora, che il giudice deve rendere conto al popolo del suo operare, per poter essere da questo controllato.
La seconda ha valenza endoprocessuale e si risolve nel dovere del giudice di rendere conto ai soggetti coinvolti nella singola attività processuale, affinché questi possano esercitare con effettività i poteri di controllo che pur la legge gli conferisce.
Cosi, vedremo che le sentenze pronunciate nel processo dichiarativo sono normalmente assoggettabili a rimedi denominati mezzi di impugnazione, con i quali l'interessato contesta la loro invalidità e/o ingiustizia.
Ma, come po­trebbe l'interessato esercitare effettivamente il suo diritto di impugnazione se non conoscesse le ragioni che hanno condotto il giudice a prendere una decisio­ne piuttosto che un'altra? Ecco allora che, conosciute quelle ragioni attraverso la lettura della motivazione, egli potrà attaccare la sentenza con maggiore co­gnizione e, quindi, con maggiori possibilità di vittoria, attaccando appunto (an­che) quelle ragioni.

Tratto da PROCEDURA CIVILE di Beatrice Cruccolini
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