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La tutela di condanna nel caso di diritti soggettivi assoluti

La tutela di condanna nel caso di diritti  soggettivi assoluti


Ma, si pensi anche ad una situazione nella quale il diritto di partenza era un diritto assoluto, magari un diritto di proprietà. Il titolare del diritto di proprietà su un certo bene non ha bisogno della cooperazione di qualche altro soggetto per realizzare il suo interesse, che, fra l'altro, non trova certo la sua realizzazio­ne attraverso l'estinzione del diritto soggettivo, quanto, piuttosto, attraverso il perdurare della vita di questo. lì proprietario gode semplicemente del suo bene, col quale egli ha una relazione diretta e non vi è qui un rapporto obbligatorio dalla cui attuazione si realizza il diritto, ma semplicemente vi è la (perdurante) esistenza di un diritto a fronte di tutti gli altri consociati (come si suole dire erga omnes), i quali sono destinatari di un generico dovere di non ledere l'altrui sfera giuridica.
Tuttavia, è possibile che tale dovere generico di neminern laedere sia violato, danneggiando il bene o addirittura sottraendolo al proprietario, ed allora nascerà in capo a questi un diritto relativo a fronte di colui che ha violato il detto dovere generico, il cui contenuto sarà adeguato al tipo di ripristino necessario in conseguenza della lesione subita, così, ad esempio, se vi è stata sottrazione si tratterà di un diritto alla restituzione. A questo punto è possibile che il soggetto "colpe­vole" della lesione ripristini la situazione precedente all'illecito ed in tal caso non vi sarà bisogno dell'intervento giurisdizionale. Ma, se ciò non dovesse ac­cadere, il proprietario agirà in giudizio chiedendo, per un verso, una serie di ac­certamenti, ovvero del suo diritto di proprietà, della lesione subita, del conse­guente diritto di ripristino e dell'inadempimento a petto di questo, e, per altro verso, un ordine di prestazione, insomma la condanna del convenuto a tenere quel comportamento che sul piano del diritto sostanziale egli avrebbe dovuto porre in essere.

AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA TUTELA DI CONDANNA 


Da questi esempi si possono ricavare, innanzitutto, due rilievi.
Il primo: la tutela di condanna è immaginabile sempre a fronte di un rappor­to obbligatorio, originario o derivato dalla lesione di un diritto assoluto, che non ha trovato la sua fisiologica realizzazione. Il titolare della situazione di vantag­gio (credito), oltre ad affermare l'esistenza del diritto, chiede anche la pronuncia di un ordine di prestazione, il cui contenuto sarà, in ipotesi, coerente, col conte­nuto del rapporto obbligatorio.
Il secondo: la tutela di condanna, a differenza di quella di mero accertamen­to, non è autosufficiente, perché l'attore vittorioso, ottenuta la pronuncia della sentenza di condanna a suo favore, con ciò solo non ha ancora realizzato il suo interesse, avendo egli pur sempre bisogno di un comportamento successivo del convenuto condannato, che si adegui all'ordine di prestazione. Se tale compor­tamento non viene posto in essere, allora si aprirà eventualmente la strada della tutela esecutiva, ossia di quella particolare forma di tutela che, lungi dal servire all'accertamento del modo di essere della realtà sostanziale, serve puramente e semplicemente alla realizzazione dei diritti di credito.

Tratto da PROCEDURA CIVILE di Beatrice Cruccolini
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