Skip to content

La giurisdizione esclusiva nel processo amministrativo

La giurisdizione esclusiva nel processo amministrativo


Se il cittadino è leso da un provvedimento, esso va impugnato per vizi di legittimità secondo le regole generali; solo in alcune ipotesi tassative è conferito al giudice amministrativo il potere di pronunziarsi “anche in merito” (in queste ipotesi si configura, pertanto, una giurisdizione insieme esclusiva e di merito).
Naturalmente, il giudice amministrativo, anche se siano in gioco diritti, non è soggetto alle limitazioni stabilite dagli artt. 4 e 5 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo, perché esse valgono solo per il giudice ordinario.
Si ritiene in genere che il giudice amministrativo, anche nei casi di giurisdizione esclusiva, non possa procedere alla “disapplicazione” di un atto amministrativo, dato che la disapplicazione è un rimedio “alternativo” all’impugnazione e all’annullamento.
Maggiori problemi sono sorti nel caso in cui il cittadino sia leso non da un provvedimento, ma da comportamenti non riconducibili alla titolarità di un potere.
La disciplina sul processo amministrativo prevedeva sempre che il giudizio fosse introdotto con un ricorso contro un provvedimento.
Nessuna disposizione considerava, invece, l’ipotesi di un diritto fatto valere senza che vi fosse un provvedimento da impugnare.
Il Consiglio di Stato, alla fine degli anni ’30, superò l’equivalenza fra ricorso al giudice amministrativo e impugnazione di un provvedimento, elaborando la distinzione fra provvedimenti e “atti paritetici”.
Anche nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva l’impugnazione è necessaria (e va proposta entro il termine di decadenza), quando in discussione sia un provvedimento.
Quando invece sia in discussione un diritto soggettivo del cittadino e l’atto dell’Amministrazione non costituisca l’esercizio di un “potere”, ma sia meramente “ripetitivo” di un assetto già stabilito dalla norma, allora non ha senso richiedere l’impugnazione dell’atto, perché comunque la posizione soggettiva fatta valere in giudizio non dipende da esso.
L’atto dell’Amministrazione, in questi casi, non è un provvedimento che esprima la posizione “di potere” di un’autorità pubblica, ma è un atto “paritetico”, ossia un atto o un comportamento posto in essere dall’Amministrazione come da qualsiasi soggetto di diritto comune.
Pertanto, non vi è alcuna necessità di impugnare l’atto dell’Amministrazione e il ricorso non è neppure soggetto a un termine di decadenza (il decorso del tempo rileva solo per la prescrizione del diritto).
La figura dell’”atto paritetico” ha finito con l’estendere la sua portata rispetto all’ambito originario, perché non identifica più solo comportamenti o atti che non siano riconducibili a una “potestà” dell’Amministrazione, ma ricomprende anche atti dell’Amministrazione che siano espressione di un’attività totalmente vincolata.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo riassunto in versione integrale.